di Daniela Bandini

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I Confini dell’evoluzione di Ian McDonald (Fanucci Editore, pp.458, euro 16,00) è un imponente romanzo di grande fascino e suggestione. E’ un romanzo per sognare, per immaginare altri mondi possibili, e per viaggiare. Tra fantascienza e fantapolitica, tra genetica e biologia, il Chaga si manifesta laddove le condizioni dell’ecosistema sono più favorevoli: la meravigliosa terra del Kenya, in Africa. “L’aria era umida e sapeva di Africa, un odore costituito da molti elementi – fumo di legna, terra rossa, frutta, escrementi, fiori che sbocciano di notte – …” Il Chaga è un mondo nel nostro mondo, che si sviluppa inglobando tutto senza distruggere nulla, è un ammasso vegetale che avanza, si inerpica in verticale, ingloba il nostro ambiente, a volte deformandolo, a volte modellandolo secondo il principio della teoria darwiniana sull’origine della specie: l’adattabilità. Esso sfrutta il virus dell’HIV come vettore nelle cellule per riprogrammare i geni.

“…Il Chaga era a un livello minimo di abitabilità. Non conoscevamo i suoi modi e non eravamo sicuri che potesse nutrirci e offrirci rifugio. Alcuni sono morti — i bambini, quelli molto vecchi, i più deboli — e il Chaga ha imparato dai loro corpi i bisogni degli esseri umani. La carne che mangiamo viene da loro, l’acqua che beviamo viene dal loro sangue: abbiamo costruito i ripari dalla loro pelle, le nostre città, i nostri insediamenti vengono dalle loro ossa e la luce, il calore e l’elettricità vengono dai loro spiriti. Tra noi è quasi una preghiera, come una scrittura religiosa. Stai pensando che il Chaga è diventato il nostro Dio? E’ vero, almeno in senso africano. Dèi minori e pratici, che ti chiedono se preferisci avere un’anima perfetta o una nuova BMW e non si offendono quando scegli la BMW. Il Chaga ci dà entrambi e assorbe in se stesso le cose esterne e le rende qualcosa in più di quelle che sono. E agendo così esso stesso diventa qualcosa di più. Al di fuori il Chaga è vita. Dentro è una vita al quadrato…” Certo, c’è una giornalista discretamente affascinante che seduce il lettore nella sua ricerca anticonformista della verità, c’è l’immedesimazione nelle sue scelte, e l’incedere femminile nella natura organica ci sembra quasi dovuto, atteso, finalmente svelato. “… Gaby fece una cosa che non faceva da quando aveva dieci anni, nei luoghi segreti che solo lei conosceva. Si tolse i vestiti, li ripiegò in un mucchio ordinato, trovò degli appigli e si arrampicò fino a raggiungere un altro arco. Qui trovò un punto sicuro sul bordo e sedette con i piedi penzolanti nell’abisso colmo di stelle. Ascoltò il gocciolio dell’acqua nella foresta e sentì il Chaga sulla pelle. Un nuovo Eden, il ritorno alla consapevolezza umana, l’eterno Ora prima che la Caduta dotasse l’umanità di coscienza e fatica. Al di là del denaro, dell’energia, delle telecomunicazioni, delle ricevute delle tasse, al di là delle ipoteche, dei prestiti bancari, delle pensioni e delle assicurazioni. Oltre alla monotonia di spingere giorno dopo giorno il masso della vita in società su per il pendio asintotico del monte Entropia. Libertà senza codici a barre. Non c’era da meravigliarsi che gli industriali occidentali lo volessero isolare dietro un recinto: l’abbondanza del Chaga era la negazione del consumo capitalista…”
Ci sono pagine, come queste, che si vorrebbero fissare per sempre nella memoria, pagine di un libertà incondizionata. E ci sono persone che queste cose le vivono e le scrivono per farci il più prezioso dei doni possibili: immaginare la possibilità di un destino diverso, almeno in campo psichico. Captare le potenzialità della nostra struttura umana, direi molecolare, e concederle tutta la grandezza che si meriterebbe.
E’ difficile definire le pagine che seguono “fantapolitica”, chissà perché ci sembrano già uno scenario possibile. “… I soldati dell’ONU ai varchi sono armati di fucili che imprimono tatuaggi istantanei, senza provocare dolore, o almeno così mi hanno detto. Una volta che ti hanno marchiato e hai passato il varco, se torni indietro possono spararti. ‘Che simbolo usano?’ Una lettera E sul dorso della mano. Significa ‘Esilio’. Avrebbe dovuto essere una C. ‘Nel senso di Chaga?’ No, nel senso di Cittadino”.
L’ottusità del mondo militare, le sue gerarchie senza speranza, l’incapacità di riconoscere la bellezza, se vogliamo, fanno parte delle prerogative di un mondo che da sempre si scontra con l’altro, senza possibilità di dialogo. La storia del Chaga è una storia bellissima e piena di speranza, di possibilità . Finirei con queste righe: ”Ora, dopo cinque anni mi accorgo che il Chaga ci sta dando il tempo, lo spazio e le risorse per costruire il Kenya che avremmo dovuto costruire. Una bella nazione, una nazione africana, non una continuazione del colonialismo occidentale in un’altra forma… Nel Chaga possiamo trovare soluzioni africane ai problemi africani; magari là scopriremo che quelli che consideravamo i nostri problemi sono stati creati dall’Occidente. Possiamo fare una cosa che incute paura: costruire una nuova Africa che non deve nulla all’Occidente…”