No, guarda, è che proprio non mi sento.
Intanto, era da un po’ che glielo volevo dire al capo cosa passa, ma sempre fisso sui suoi, chi lo capisce? E sai cosa? Fa anche soggezione. Sarà che se gli girano, e gli girano con niente, prende la scopa e chi c’è c’è nel mucchio. E capirai quanto ci mette con uno sfigato come me.
Come sarebbe, esagero? Ma pensi che quella volta, sì, quella, fossero davvero tutti ribelli? E che non gliene sia scappato qualcuno? Stai fresco! Le vedo io le cere quassù. E poi quell’altro fa santi cani e porci, e si nasano subito.


Che anzi, una volta viene in guardiola Gabriele e dice: – Pietro, sai che gli stronzi hanno fatto mucchio? E anche con la bandiera, azzurra, e il simbolo, una mano con le stimmate. Dice che è un partito, che così è democrazia. Ma che cazzo è? Se comanda lui!
– E nel mondo, no? – gli dico calmo, perché ci tengo che andiamo d’accordo. – Anche là fanno sempre quello che vuole uno. Dai, che è solo fumo negli occhi, non cambia mai niente, basta che ci fai la coppa.
Ma mi guarda storto e fa: – Mortali e falsi, che siete. L’avete rovinato voi questo posto e neanche il capo è più lo stesso. – E se la svolazza via incazzato.
Intendiamoci, non che avesse torto. Tra residenti e nuovi inquilini sono sempre state storie, anche noi sapiens mica andiamo tanto d’accordo con i neandertal, perché quelli sbafavano tutto quello che trovavano…
D’accordo, ci davamo dentro anche noi, ma quando finiscono i mammut, ti voglio vedere a mangiare la neve.
Comunque, sul capo, Gabriele sbaglia. Per come lo conosco io, il vecchio è sempre stato così. O neanche sai che c’è, e intanto va tutto a puttane, o che ti salta su e vuole le cose per ieri. E’ incostante, ecco com’è.
Sì, sì, dicono che a conoscerlo non è cattivo, che ne ha troppe per la testa… Ma allora fai meno, dico io, e magari fallo meglio. Insomma, cos’era ‘sta smania dei sei giorni, se si poi doveva stancare così? E perché non ha detto chiaro quando si è riposato? Era venerdì, sabato, domenica? Nessuno sa un cazzo, tutti si sbudellano, e lui niente. E dà anche la colpa agli altri!
Però non sarebbe stato neanche quello. E’ che ne arrivavano sempre meno. Guarda, non è che mi freghi se vanno tutti sotto, affari loro, e forse hanno anche ragione, perché la gnocca vera sta là, e anche quelli buffi. Solo che sono il portinaio, e se non passa nessuno, che ci faccio qui? Spolvero arpe e ali per l’eternità? Comunque, era ancora tran tran, e pazienza.
Solo che poi vedo ‘sto tizio. Oh, niente di che, insulso, vestito com’è morto, con un completino da rappresentante, ma è sempre uno che arriva, così prendo la penna, apro il registro e gli dico alla mano: – Nome?
– Oh, bè – barbuglia.
Sarà confuso, penso, meglio fare prima quattro chiacchiere. – Incidente o infarto? – chiedo.
Si guarda attorno e dice distratto: – Auto, auto.
– Eh, alla tua età càpita. Se eri negro, no, perché o è guerra, oppure stai sicuro che…
– Scusa – fa il tizio. – Ma qua è tutto così?
– In che senso?
Allarga le braccia. – Mah, non so, così.
– Cos’è, non ti piace?
– No, no, capirai se non è bello.
– Però volevi i cori degli angeli, le trombe e magari il capo in persona che ti dà le chiavi in mano.
– Macché, va bene così. Sul serio. Guarda solo che verde.
– Già. E allora, ‘sto nome?
– Ma, sai, ci devo pensare un po’.
– Come sarebbe?
– Niente, solo che prima volevo vedere cosa c’è in giro. Posso, no?
– Hai il libero arbitrio.
– Ecco. Allora do un’occhiata anche agli altri posti.
– Ma senti un po’…
– Ehi, non ti scaldare, è solo per rendersi conto. Non prendo niente a naso, vendevo piani d’investimento, so come va a finire. E poi torno, mica saranno meglio inferno e purgatorio. Ma per scrupolo un’occhiata gliela devo dare. Bè, ci vediamo. Oh, comunque, grazie, eh?
Lo guardo sparire pacifico e sento di avere passato il limite. Così sbatto il registro, metto il cartello “Torno subito” e corro dal capo.
Che almeno una cosa buona ce l’ha: non ti fa fare mai anticamera. Se hai bisogno, sai dov’è.
Come poi la prenda, è un altro paio di maniche.
Ed eccolo là che osserva un mucchio di fango. Poi aggiunge una manata, controlla l’effetto, e così via.
– Ehm – tossisco.
– Pietro. Come va?
– Insomma. Senti, ti devo parlare.
– Dopo – fa e indica il mucchio – Che te ne pare?
Guardo meglio, ma vedo solo fango. – Mah….
– E’ un prototipo, fesso! – E sento un brontolio di tuono.
– Sì, sì, adesso che me lo dici… ma prototipo di che?
– Secondo te, perdo tempo in cazzate? Ma di una nuova specie intelligente, è chiaro.
– E gli uomini?
– Bah! Tempo un duecento anni, e sono andati.
– Tutti? Ma cos’è successo?
– Niente, siete sempre uguali: arroganti, meschini, violenti. Teste di cazzo destinate a finire male. No, c’era qualcosa di storto dal principio.
– Ma guarda te. E che sarà stato?
Mi fissa, poi dice: – Due gambe. Perché hai due gambe?
– Prego?
– Non ti piacerebbe strisciare?
– No, non credo proprio.
– Ai serpenti piace. Anche alle lumache. O ci vogliono più gambe? E la testa: perché solo una? E gli occhi, le mani… Ah, vedi quanti problemi ho.
– Scusa, ma non ti seguo. Di che stiamo parlando?
– Ma della forma, coglione! E’ quella che ha sballato tutto. Ma come li faccio i nuovi? A gambero, baccalà, tulipano? A ippopotamo? O invento qualcosa di nuovo?
– Ma non dovrebbe contare quello che uno ha dentro?
– Ma quando mai! Dentro vi ho fatti a mia immagine e somiglianza. E mi sono anche trattenuto. Ma rimedio con i prossimi.
– Sì, però…
Ma salta su, brutto come solo un dio incazzato può essere.
– Io ho sempre ragione! – grida tra i lampi.
E mentre butta fuochi d’artificio dappertutto, scappo in portineria.
Sì, continuo a sistemare arpe, ma va bene così. Tutto va bene, basta che non penso a come sarà quando cominceranno ad arrivare gamberi con la sua testa.

racconto di Gianfranco Sherwood