dick.jpgPer riprendere la celebrazione che Carlo Formenti ha lanciato sul Corriere a proposito di Philip K. Dick, risucchiamo dalle vecchie pagine di Carmilla un illuminante intervento di Nico Gallo a proposito della “repressione preventiva”: che in giorni come questi richiama alla mente ben concrete ipotesi di ciclopiche repressioni preventive.

Le intuizioni politiche di Philip Dick: Repressione preventiva
di Domenico Gallo
Philip Kindred Dick è oggi il più celebrato autore di fantascienza, un primato che, dopo la sua morte, ha strappato a Isaac Asimov e a Ray Bradbury. Morto nel 1982, dopo il successo cinematografico di Blade Runner, le sue opere sono progressivamente uscite dalla ristretta cerchia degli appassionati di fantascienza e sono state apprezzate nel vasto mondo della letteratura. Romanzi come Ubik, Le tre stimmate di Palmer Eldricth, Il tempo si è spezzato, L’uomo nell’alto castello hanno il grande pregio di avere espresso, attraverso le storie avvincenti tipiche della fantascienza, le complesse domande che, per tutta la sua vita, hanno turbato Philip K. Dick.

E’ la vera realtà questa che ci sembra di percepire o si tratta di un raffinato complotto, di una tragica illusione? Domande che nessun altro scrittore ha saputo esprimere con altrettanta efficacia. Minority Report (oggi in libreria assieme ad altre tra le più famose opere brevi, Fanucci, pp. 224, 12,50 euro) è un racconto pubblicato nel 1956 dalla rivista popolare statunitense, “Fantastic Univers”. Nell’epoca della Guerra Fredda sono soprattutto le storie di fantascienza a interrogarsi sul totalitarismo, sulla minaccia nucleare, sul diffondersi di apparati polizieschi fuori controllo, sulle nuove e insinuanti forme di produzione del consenso sociale. Una fantascienza che, infatti, sarà battezzata “social science fiction”.
Philip Dick è da subito uno di questi giovani autori, che non esiteranno a schierarsi contro l’intervento statunitense in Vietnam in una raccolta di firme pubblicata dalla rivista “Galaxy” nel giugno 1968, e molte delle sue storie sono ambientate nello scenario di Stati Uniti sopravvissuti a una guerra. Guerra che, oltre alla distruzione del territorio statunitense, come in Ma gli androidi sognano pecore elettriche? , lasciano dietro di sé inquietanti raggruppamenti militari che detengono un potere di vita e di morte. Minority Report è una delle tante prove di come Philip Dick abbia saputo cogliere nella società della Guerra Fredda elementi che, purtroppo, si sono sviluppati fino a manifestarsi compiutamente oggi. Con agghiacciante sincronismo constatiamo come il concetto di “arrestare persone che non hanno violato la legge” sia oggi la base dell’ideologia dell’ordine pubblico maldestramente praticata da Bush jr. e dai suoi più solerti imitatori.
Nemico acerrimo di Richard Nixon, Philip Dick racconta in molte sue storie del tradimento dei valori originali americani, quell’unità di libertà e moralità che stettero alla base della formazione degli Stati Uniti e del testo della sua Costituzione. Quasi come in un’ossessione, si pensi a un romanzo come I simulacri, Philip Dick si convince di un enorme e diffuso complotto che si è impossessato degli apparati dello stato. Apparati deviati dediti alla menzogna, alla manipolazione, alla repressione, al controllo.
Minority Report è un thriller, certamente, e si basa anche su una logica sottile, ma questa logica risulta incomprensibile se non è collocata all’interno della descrizione di una società che ha sacrificato la propria libertà.