ssitaliane_1.jpgDa: Claudia Cernigoi, Operazione foibe. Tra storia e mito, Kappa Vu, Udine 2005.

Oltre alla “lotta antipartigiana” i membri dell’Ispettorato [di Pubblica Sicurezza di Trieste] si occupavano anche di prelevare gli Ebrei da deportare in Germania: gli agenti si presentavano in casa delle persone da prelevare, in genere in seguito a denuncie di solerti vicini di casa o bottegai della zona (va ricordato che i nazisti ricompensavano con 10.000 lire – dell’epoca! – i delatori per ogni denuncia che portava ad un arresto) [1], i prigionieri venivano poi portati in via Bellosguardo e da lì “smistati” in Risiera.
Uno dei membri dell’Ispettorato che, secondo le teorie storiche descritte più sopra, viene considerato “infoibato” in quanto incarcerato a Lubiana e probabilmente fucilato, è l’agente Alessio Mignacca, specializzato nella ley de fuga, come leggiamo in alcuni documenti raccolti nel “carteggio processuale Gueli”.
Ad esempio uccise Francesco Potocnik, che «rotto un vetro della finestra saltava dal I piano nel cortile interno e cercava di fuggire. Fatto segno a vari colpi di pistola da parte dell’agente Mignacca e raggiunto da un proiettile cadeva ucciso» [2]; e ferì gravemente Roberto Caprini che «tentava di darsi alla fuga saltando da una finestra al primo piano nel sottostante giardino ove veniva raccolto dalla guardia di PS Mignacca Alessio».

Mignacca partecipava anche agli “interrogatori”, come nel caso di Umberta Giacomini, che quando fu arrestata era incinta di quattro mesi: fu “interrogata” da Collotti in persona, che la picchiò selvaggiamente assieme ad altri agenti, tra i quali Mignacca, che la colpì con un calcio ed in seguito a questo la donna abortì.
Nei ranghi dell’Ispettorato entrarono molti volontari, persone che lasciarono il proprio lavoro per potersi permettere impunemente violenze e saccheggi, come nel caso di Mario Fabian, che lasciò il suo posto di tranviere, perché come membro dell’Ispettorato aveva maggiori possibilità di guadagno. Fabian fu ucciso nei primi giorni di maggio ’45 ed è l’unica persona che risulta essere stata gettata nel pozzo della miniera di Basovizza [3].

[…] Un altro personaggio degno di nota nella storia del confine orientale che andiamo raccontando e legato alla X Mas è Remigio Rebez, detto il “boia” della caserma di Palmanova. Così si legge nell’estratto della sentenza n. 120 del 5/10/46 della Sezione Speciale della corte di Assise di Udine nella causa penale contro Ruggiero Ernesto, Rebez Remigio, Rotigni Giacomo:

«Il primo novembre 1944 fu mandato a Palmanova un reparto della milizia fascista, composto da una cinquantina di uomini, comandato dal capitano Ruggiero Ernesto per coadiuvare il capitano Pakibusch nella lotta antipartigiana. Il reparto stette a Palmanova, nella caserma Piave, fino al 19 aprile 1945 e ad esso si aggregò il sergente Rebez Remigio della X MAS… Durante tale periodo, innumerevoli e feroci delitti furono commessi nei territori dei mandamenti di Palmanova, Udine, Codroipo, Latisana, Cervignano, Monfalcone e Gradisca dal reparto che meglio potrebbe denominarsi… “banda Ruggiero”. Furono arrestate ed imprigionate circa 500 persone e molte centinaia di esse furono percosse e seviziate perché dessero le informazioni che gli aguzzini volevano sull’entità e dislocazione delle forze partigiane e sulle loro armi» [4].

Rebez venne condannato a morte per aver collaborato con il tedesco invasore e per aver privato della libertà «centinaia di persone sottoponendo moltissime di esse a violenze inaudite e cagionando loro lesioni anche gravi e persino la morte mediante torture raccapriccianti…».
[…] In ogni caso Rebez non solo non pagò con la vita i suoi misfatti, ma neanche con il carcere: godette infatti dell’amnistia di Togliatti ed è vissuto libero e indisturbato a Napoli.
Il “Piccolo” di Trieste ha pubblicato, in data 26 marzo 1996 un articolo su di lui dal commovente titolo “Rebez voleva tornare a vivere nella sua Muggia”. Ma, come spiega poi l’articolo, una decina d’anni prima Rebez fu “salvato” dalla polizia, perché «era apparso a una commemorazione funebre nel cimitero di Muggia e, riconosciuto, per poco non venne linciato dalla folla».
Nonostante ciò, Rebez risulta come “infoibato” negli elenchi di “scomparsi” stilati da Gianni Bartoli, Luigi Papo, Marco Pirina. Nessuno di questi evidentemente ha fatto un minimo controllo sui nomi.

Note

1. La maggior parte degli Ebrei triestini fu però “venduta” dal collaborazionista ebreo Grini che, nonostante – o forse proprio per – questo, finì anch’egli bruciato in Risiera proprio al momento in cui i nazisti smobilitarono il lager.
2. “Carteggio processuale Gueli” in archivio IRSMLT XIII 915. Non abbiamo trovato notizie su Francesco Potocnik, ma può darsi che questo fosse il nome risultante dai documenti falsi che l’uomo aveva addosso al momento della cattura e non il suo vero nome.
3. Si legga a questo proposito il capitolo dedicato alla “foiba” di Basovizza.
4. La strage di Stato – Vent’anni dopo, a cura di Giancarlo De Palo e Aldo Giannulli, ed. Associate 1989, pp.39-40.