di Gioacchino Toni
Edoardo Boncinelli, Marco Rossano, La maschera e il codice. Trasfigurare l’identità dai riti di passaggio agli avatar digitali, Fotografie di Ferdinando Scianna, Luiss University Press, Roma 2025, pp. 168, edizione cartacea € 18,00, ebook € 9,99
Sebbene le maschere ed il mascheramento tendano spesso ad essere associati, negativamente, al nascondimento ed al menzognero, si tratta in realtà di prodotti culturali complessi che hanno assunto nei secoli e nelle diverse culture molteplici significati simbolici. Il volume steso da Edoardo Boncinelli e Marco Rossano, impreziosito da una serie di fotografie di Ferdinando Scianna, affronta l’universo delle maschere ricostruendone i meccanismi di funzionamento sia storici che relativi alla contemporaneità digitalizzata. Se, come scrivono gli stessi autori, esistono numerosissimi studi sulle maschere, decisamente meno sono quelli che le accostano all’universo digitale e questo volume intende essere un contributo a questo ultimo ambito di analisi che merita assolutamente di essere approfondito.
Indossare una maschera comporta sempre una trasformazione di un individuo in un “altro”: indipendentemente dalla finalità per cui si ricorre al mascheramento, chi vi ricorre «esce momentaneamente dalla sua identità e subisce una sorta di metamorfosi; si trasforma transitoriamente in un personaggio contraddistinto dall’anonimato, spesso libero da qualsiasi inibizione, che agisce in modo inusuale e dà spazio a comportamenti trasgressivi» (pp. 15-16).
Oltre a modificare l’aspetto con cui ci si presenta o a rappresentare manifestazioni di una realtà soprannaturale, la maschera ed il maschermento «contribuiscono anche a tracciare i contorni fra le diverse sfere della realtà e della vita sociale ed individuale» (p. 17). Allo stesso tempo la maschera traccia i confini e mette in comunicazione ambiti diversi, consente di essere sé stessi ed al tempo stesso altro da sé, racchiude un doppio significato: ciò che si cela con il mascheramento e ciò che si mostra e si vuole rappresentare attraverso esso. La maschera funziona però soltanto nel momento in cui viene indossata, quando vive di una realtà sociale.
Nell’attuale universo digitalizzato la maschera assume forme e funzioni particolari: è attraverso essa che ci si presenta in quel “non-luogo virtuale” che rappresenta ormai un’estensione della vita quotidiana degli individui e delle società. Si può parlare di maschera, sostengono gli autori, anche facendo riferimento ai «rivestimenti virtuali propri delle tecnologie digitali» (p 42).
Se una delle funzioni delle maschere è quella di connettere la realtà umana con una realtà “altra”, allora «questo lo si può fare anche attraverso il virtuale per mezzo di un’identità virtuale, che sempre più spesso prende la forma di un avatar che è al tempo stesso virtuale e reale» (p. 42). Profili social, avatar nei mondi virtuali e identità digitali sono dunque le nuove forme assunte dalle maschere ai nostri giorni.
La realtà virtuale non è irreale, sottolineano Boncinelli e Rossano, ma una simulazione realistica ed immersiva in un ambiente digitale tridimensionale vissuta e controllata dagli utenti attraverso i movimenti del corpo e percepita attraverso i sensi. Attraverso le apparecchiature indossate, l’utente invia informazioni su di sé al computer mentre, al contempo, riceve immagini della situazione simulata. «Si tratta di vere e proprie maschere e mascheramenti che non mettono più solo in comunicazione con un “altrove”, ma che permettono di entrare e di vivere completamente questi spazi» (p. 45).
Quando invece si parla di realtà aumentata, continuano gli autori, si fa riferimento ad una tecnologia immersiva che permette
l’uso in tempo reale, in un ambiente fisico reale, di informazioni e contenuti digitali, sotto forma di testo, grafica, audio, filmati che son integrati con oggetti del mondo reale in modo da arricchire la percezione sensoriale dell’utente, potenziare la sua interazione con il mondo materiale e avere una conoscenza più approfondita, o aumentata, dell’ambiente che lo circonda. La caratteristica principale della realtà aumentata è che stabilisce un legame tra gli oggetti presenti nella realtà materiale e quelli della realtà virtuale (p. 51).
Insomma, se nella realtà virtuale l’ambiente è ricostruito ed al suo interno l’utente può muoversi liberamente immerso all’interno dell’esperienza, nella realtà aumentata viene invece raffigurato il mondo materiale arricchito in tempo reale con elementi virtuali che si aggiungono ad esso sovrapponendosi a ciò che l’utente vede.
Nell’affrontare l’utilizzo ed il ruolo della maschera nell’era digitale, Boncinelli e Rossano prendono in esame alcune produzioni audiovisive che hanno consapevolmente affrontato la questione. Serie televisive come Black Mirror (dal 2011) ideata e prodotta da Charlie Brooker hanno il merito di essersi più volte occupate di come le maschere digitali (profili social, avatar…) possano alterare la percezione che si ha di sé stessi e degli altri soggetti con cui si interagisce.
In particolare gli autori fanno riferimento a episodi come Bianco Natale (White Christmas, 2014) diretto da Carl Tibbets, Caduta libera (Nosedive, 2016) diretto da Joe Wright, Giochi pericolosi (Playtest, 2016) diretto da Dan Trachtenberg e San Junipero (2016) diretto da Owen Harris. Si tratta di opere incentrate sul ruolo di maschera digitale che vengono ad assumere le esperienze immersive in realtà “altre” e di come l’identità online si riversi su quella offline.
Gli autori si soffermano anche sulla serie Altered Carbon (2018-2020) creata da Laeta Kalogridis e derivata dal romanzo Bay City (Altered Carbon) del 2002 di Richard K. Morgan, ove, narrando di una realtà in cui alla coscienza umana immagazzinata su un device digitale può essere assegnato corpo fisico intercambiabile, si propone una riflessione su quanto l’identità di un essere umano sia o meno legata al corpo.
Se ad assumere il ruolo di maschere in Altered Carbon sono i corpi, nella loro materialità, in Caprica (2010), serie tv che funge da prequel di Battlestar Galactica (20014-2009) creata da Ronald D. Moore (remake dell’omonima serie del 1979 di Glen A. Larson), le maschere, oltre che fisiche, sono anche psicologiche e virtuali.
Impiantando la conoscenza di un essere umano su una macchina dotata di intelligenza artificiale è come se lo si dotasse tanto di una maschera digitale che di una più materiale, meccanica consentendogli di operare e navigare in universi virtuali sperimentando versioni alternative di sé. «Questi mondi virtuali fungono da maschere, permettendo alle persone di esplorare desideri nascosti e identità alternative sena le conseguenze del mondo reale» (p. 65).
Attraverso le maschere, siano esse fisiche, digitali o psicologiche, diviene possibile esplorare la complessità della coscienza e della moralità in questi universi proiettati nel futuro. Le difficoltà identitarie che affliggono la protagonista di Caprica, la sui coscienza è stata impianta su una macchina dotata di intelligenza artificiale, divengono «una metafora della ricerca di sé stessi in un mondo sempre più dominato dalla tecnologia» (p. 66).
La relazione tra identità umana, maschere e intelligenza artificiale è al centro delle serie televisive Westworld. Dove tutto è concesso (Westworld, 2016-2022) creata da Jonathan Nolan e Lisa Joy, derivata dall’omonimo film del 1971 diretto da Michael Crichton, e Raised by Wolves. Una nuova umanità (Raised by Wolves, 2020-2022) creata da Aaron Guzikowski e prodotta da Ridley Scott.
Nel caso di Westworld lo scenario è quello di un parco divertimenti a tema in cui operano robot antropomorfi indistinguibili dagli esseri umani programmati per soddisfare i desideri dei facoltosi visitatori sotto la discreta sorveglianza di operatori umani da una sala di controllo. Il concetto di maschera in tale serie è ravvisabile innanzitutto nel fatto che gli utenti del parco a tema si possono godere le loro avventure indossando maschere metaforiche che consentono loro di abbandonare le loro inibizioni e identità quotidiane.
In Westworld ad essere una maschera, sottolineano gli autori, è anche lo stesso parco a tema che non è che una facciata di una complessa costruzione che mantiene celato il dietro le quinte fatto non solo di macchinari e tecnologie ma anche di intenti non dichiarati. Maschere sono anche gli anfitrioni creati per duplicare gli umani, maschere che iniziano a sgretolarsi nel momento in cui anziché seguire meccanicamente quanto programmato per loro, questi iniziano a interrogarsi circa la loro natura e identità. Questo ultimo tipo di maschera induce a riflettere su ciò che differenzia l’umano dalla macchina dal momento che un’intelligenza artificiale si rivela in grado di sviluppare consapevolezza, memoria e desiderio.
Raised by Wolves propone invece uno scenario distopico collocato nel futuro su un lontano pianeta in cui una coppia di androidi sono stati programmati per proteggere alcuni bambini umani. Si tratta dunque di macchine che indossano una maschera di umanità sotto la quale, però, risiedono tecnologie, programmi ed obiettivi che spesso confliggono con le emozioni ed i comportamenti umani che i due androidi sono tenuti a manifestare. Nel conflittuale rapporto tra maschera e ciò che questa cela nei due esseri si palesa come la natura della coscienza e del libero arbitrio delle intelligenze artificiali siano ambiti di difficile definizione dal momento che la distinzione tra macchina ed essere vivente appare tutt’altro che definita.
L’universo virtuale è indubbiamente caratterizzato dall’incorporeità, chi lo frequenta manifesta una separazione dal corpo nella sua fisicità, questo è sostituito da una rappresentazione virtuale ed è in tale condizione che struttura le sue interazioni sociali che, sottolineano gli autori, non sono interazioni reali, non immaginarie. Sulla rete si crea «un’identità frammentata e flessibile in cui gli individui sembrano diventare maschere» (p. 70).
Attraverso mascheramenti (scelta dei nickname, creazione dei profili ecc.) nell’universo digitale gli individui plasmano l’immagine con cui ritengono utile mostrarsi celando al contempo ciò che non desiderano venga visto in un meccanismo che da un lato comporta parcellazione identitaria e dall’altro crea nuove possibilità identitarie.
Potremmo dire che si tratta di maschere/personae che permettono a ogni individuo di creare e sviluppare il proprio io telematico che ne cyberspazio interagisce e comunica con le maschere/personae create dagli altri utenti. Nel cyberspazio gli utenti si rappresentano come persone ne senso originario del termine, cioè maschere (p. 72).
Boncinelli e Rossano si soffermano anche sull’universo videoludico indagando quanto siano in esso oggi ravvisabili nuove forme di ritualità e iniziazione. Secondo gli autori i ragazzi di oggi sperimentano nei mondi virtuali in generale e in quello videoludico in particolare i desideri di avventura, di viaggio e di emancipazione dalla famiglia che non riescono o non vogliono più sperimentare nel mondo in cui si trovano a vivere. L’universo virtuale, soprattutto videoludico, diviene pertanto un luogo privilegiato per la messa inscena di riti iniziatici.
Il giovane iniziato un tempo doveva confrontarsi con le sue capacità di affrontare le proprie paure e le insidie della vita attraverso rituali di passaggio per accedere alla comunità adulta. Nel mondo digitalizzato i giovani gamer affrontano l’iniziazione nell’universo videoludico al fine di accedere a comunità di giocatori esperti. Il concetto di maschera trova applicazione nel mondo dei multi-user dungeon (Mud), dei giochi di ruolo e dei videogame multiplayer online. Si tratta di ambiti in cui la questione identitaria assume notevole importanza assumendo forme multiple e fluide che possono ricalcare quella reale o proiettarsi lontano da essa variando a piacere.
Boncinelli e Rossano insistono nel sottolineare come reale e virtuale non siano due universi separati bensì strettamente intrecciati. «Il virtuale diventa una categoria del reale, con delle particolari qualità diverse da quelle fisiche e tangibili» (p. 76). Gli utenti portano all’interno della sfera virtuale parte di quella reale e quest’ultima viene accresciuta delle esperienze virtuali che funzionano da rito di iniziazione.
Il giocatore non si incarna nell’avatar che lo rappresenta nel gioco, non diventa un’altra persona, è ben consapevole di trovarsi ad accedere a un mondo virtuale comodamente seduto sul divano di casa, ma, al contempo, nello spazio virtuale si muove liberamente, interagisce, agisce e stabilisce relazioni cognitive e percettive (p. 76).
Gli autori riportano alcuni casi in cui l’universo videoludico è stato investito da problematiche proprie del mondo reale: dalle proteste di Black Lives Matter che hanno raggiunto videogame di basket fino alle manifestazioni a difesa della libertà di informazione e di stampa che hanno dato luogo alla costruzione e alla messa a disposizione di una grande biblioteca online all’interno del videogame sandbox Minecraft che vanta attualmente una community di oltre 145 milioni di gamer. A sbarcare sugli scenari virtuali non sono soltanto campagne della società civile, visto che non mancano esempi di commistioni tra realtà virtuale e realtà materiale in ambito artistico o di grandi multinazionali che pubblicizzano i loro prodotti su tali scenari.
Nella parte finale del volume gli autori ragionano sulla codificazione nella comunicazione come forma di mascheramento sottolineando come il linguaggio permetta di riferirsi anche a cose differenti da quelle immediatamente presenti, cose che possono essere persino inesistenti. Boncinelli e Rossano spiegano dunque come la maschera sia una codificazione che assume significato esclusivamente all’interno di uno specifico contesto culturale e rituale e come le cerimonie rituali siano un sistema di comunicazione contraddistinto dalla rigidità e dalla ripetitività dei gesti, delle parole, dei costumi ecc. di cui hanno consapevolezza i partecipanti. È all’interno del rituale che la maschera assume un senso e trasmette un messaggio codificato all’interno di un sistema di segnali, simboli e credenze richiedenti partecipazione emotiva e sociale dei partecipanti.
In questo modo la maschera mette in comunicazione il mondo umano con altri mondi, visibili e invisibili, naturali e soprannaturali, possibili e virtuali. Ci mette in comunicazione con il nostro essere più profondo e nascosto facendoci varcare la soglia di un mondo “altro” in uno spazio senza tempo, che è il mondo del mito, dell’origine e dell’eternità (p. 158).
Nickname, ID digitali, avatar ecc., sono maschere che, per quanto non servano all’essere umano per entrare in contatto con il sacro e l’invisibile, permettono di interfacciarsi comunque con un mondo “altro”, quello digitale che è, a tutti gli effetti, un mondo reale, per quanto differente da quello abitato dal corpo.