di Gioacchino Toni

Ezio Sinigaglia, L’imitazion del vero, TerraRossa Edizioni, Alberobello (Bari) 2020, pp. 106, €14,00

“Lettore ideale: chi è stufo di leggere romanzi scritti tutti allo stesso modo e pensa che l’editoria italiana sia poco coraggiosa; chi ama il ritmo della scrittura non meno di quello della narrazione; chi è attratto dalla grande letteratura libertina di tutte le epoche, a partire da Boccaccio, e chi apprezza quegli autori che si divertono a fare il verso all’antico, come il Balzac delle Sollazzevoli istorie”. Così, sul risvolto di copertina, viene tratteggiata la figura del lettore ideale dell’ultima opera di Ezio Sinigaglia, scritta in realtà parecchio tempo prima rispetto alla pubblicazione, in cui l’autore si cimenta in un racconto erotico steso con una lingua e uno stile che imitano, senza scimmiottarla, una lingua arcaica dal sapore quattro-cinquecentesco.

Viveva un tempo nella città di Lopezia un artefice di grandissimo ingegno, donde la fama oltre le mura della città ed i confini medesimi del Principato volava tanto che nei più remoti angoli della Cristianità l’eco se ne coglieva. E benché questo si fosse in effetto il mestier suo, grave ingiuria gli si farebbe chiamandolo col nome di falegname; poiché si era bensì col legno che le sue mani costruivano, ma tali e così fatti prodigi da quelle mani uscivano, che nessuno nel legno da umana scienza costrutti crederli non poteva.

Questo l’incipit del racconto incentrato attorno alla bottega di tal Mastro Landone, “il più talentuoso artigiano e inventore che vi sia al mondo”, alle prese, nella piccola località immaginaria di Lopezia, con l’infelicità derivata dalla solitudine e dal dover reprimere la propria sessualità. Sarà proprio la necessità di dar libero sfogo ai propri desideri al riparo dalla luce del sole a suggerire a tale “uomo di bellissimo aspetto”, dotato di “chiari occhi fiammeggianti d’ingegno, una gran barba dorata, e così alto, forte e imponente nella persona”, di ricorrere alla macchina dell’inganno.

Macchina da intendersi tanto come artefatto materiale (la costruzione di un’ingegnosa botte tagliata a metà e vincolata al pavimento, oggetto attraente contenente le delizie e le sofferenze dei personaggi, in grado di dispensare piacere al giovanetto, Nerino, giunto da poco a bottega), che come artificio dell’inganno ai danni della vittima che per qualche tempo resta all’oscuro del fatto che a dargli piacere è lo stesso Mastro Landone che, a sua volta, risponde così al proprio soddisfacimento. Nel corso del racconto, spunterà anche un terzo personaggio, Petruzzo, a complicare le cose e Nerino si sostituirà a Landone al comando della macchina, operando così un’inversione di ruolo e di potere, facendosi da vittima a padrone del gioco dell’inganno.

La stessa arte narrativa, costruita com’è da Sinigaglia sull’inganno di una lingua pseudo-arcaica, può dirsi una macchina dell’inganno costruita attorno a una dialettica verità/finzione, desiderio/controllo, dentro/fuori e, come si chiarirà leggendo il racconto, sopra/sotto.

Se nella novella tradizionale tendenzialmente non sono previsti particolari sviluppi di personalità, ne L’imitazion del vero i personaggi principali subiscono un’evoluzione nel corso del racconto: ciò avviene tanto nel giovane Nerino, presentatoci inizialmente come ingenua vittima predestinata dell’inganno ordito da Mastro Landone, quanto in quest’ultimo. A far mutare i personaggi saranno i meccanismi dell’amore che, forse inaspettatamente, scaturiranno da quella che sembrava semplicemente una ricerca di mero soddisfacimento sessuale. Insomma, tra i meccanismi dell’erotismo, del desiderio individuale accresciuto dal divieto sociale, sarà proprio la presa di coscienza dell’innamoramento a fungere da agente di cambiamento.

Viveva Mastro Landone e giorno e notte del carnal desiderio in sull’ardenti braci, e tanto più dell’usato codesta fiamma divampava che giammai gli pareva, al paragone, di non aver nella vita desiderato veracemente creatura nessuna. La mattina, mentre nell’officina all’opera sua attendeva, quantunque Nerino sol di rado dalla bottega in sulla soglia dell’officina apparisse, l’aria era di Nerino ricolma siccome è talora ricolma d’un odore di fieno o d’arance o di mare, quantunque in nessun luogo la marina o gli aranci od i campi mietuti non si vedano; e in quel sentor di Nerino movendosi, respirava Mastro Landone ad ogni istante il suo crudele destino. Di poi, dopo il meriggio, mentre a palazzo i suoi complicati meccanismi apprestava, da per tutto dove guardava, Nerino nuovamente vedeva: ora era la levigata quercia ad avere il color della sua pelle, ora da una venatura più cupa del legno erano i nerissimi suoi occhi a prender sostanza, ora in un subitaneo cangiar della luce era il sorriso a brillare, ed ora verso una pozza d’ombra la mano egli tendeva quasi ripeter potesse quella sola carezza ch’aveva il primo giorno fra i capelli di Nerino gustata. La notte, cercando il sonno, Nerino solamente trovava e fra i sospiri chiamandolo si figurava di spogliarlo colle sue mani ignudo e di poi, colle sue mani, di leggierissime carezze tutto dai piedi ai capelli nuovamente di vestirlo. Piangeva a tarda notte Mastro Landone nel nero della stanza giacendo, dissimil troppo dal nero col quale giacer si voleva, e di Dio dubitava. Iniquo giudicava il crudele castigo di dovere ogni giorno, con quello del suo vagheggiar lussurioso, lo spettacolo dell’innocenza di Nerino paragonare, d’ogni vaga speranza nella sua vergogna orbato restando. E tuttavia ogni mattina, d’un breve ed agitato sonno destatosi, allo spettacolo di quell’innocenza com’ad una festa Mastro Landone correva

Sinigaglia, con L’imitazion del vero, in cui è possibile individuare anche aspetti propri del romanzo di formazione, “gioca con le regole della sintassi e della morale per lanciare una nuova sfida letteraria e farci riflettere sui labili confini tra realtà e inganno, verità e finzione”. L’imitazione a cui fa riferimento il titolo è per certi versi plurima; se da un lato ha a che fare con la vicenda narrata, in cui sono disseminati artefatti e artifici ingannevoli, finalizzati a suscitare impressioni poi rivelatesi meramente tali ai personaggi stessi, dall’altro si riferisce al lavoro dello scrittore che ricorre a una studiata costruzione ritmico-musicale sintattica volta a dare l’impressione a chi legge di trovarsi di fronte a un italiano arcaico che, forse perché lontano da quello in uso nell’odierna quotidianità, ammalia e seduce, sembrando ancor più ricco e prezioso di quel che è.

Il giudizio favorevole sulle doti narrative di Ezio Sinigaglia espresso a proposito di Eclissi (Nutrimenti 2016) viene sicuramente confermato dalla lettura di L’imitazion del vero. Non è frequente imbattersi in autori dotati di tanta originalità ed estro. Pochi hanno il coraggio di cimentarsi in una scrittura così ricercata prescindendo dall’ossessione del consenso tra gli editori, prima ancora che tra i lettori. In un panorama nazionale in cui troppi sembrano scrivere soprattutto in funzione dei like facili, che qualcuno si ostini a farlo con passione, senza adeguarsi agli standard imperanti, è di per sé lodevole e quando opere di autori di tal genere incontrano editori disponibili a pubblicarle, vale la pena di farle conoscere perché leggendo autori come Sinigaglia e facendoli leggere ne trarremo tutti giovamento.


Su “Carmilla”: Ezio Sinigaglia, Eclissi, (Nutrimenti 2016); Ezio Sinigaglia, Il pantarèi, (Terrarossa 2019).

 

 

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