di Paolo Lago

Ezio Sinigaglia, Il pantarèi, Terrarossa Edizioni, Alberobello, 2019, pp. 312, € 15,50.

Giunti alla fine della lettura de Il pantarèi di Ezio Sinigaglia non si può non essere catturati e avvolti dalla vorticosità della scrittura, da un flusso magmatico di parole, di voci, di pensieri che rimangono come in sospeso, perduti nel vortice di un nuovo inizio. L’istanza narrativa del romanzo si infrange nell’estensione pressoché infinita del pensiero del protagonista, il giovane collaboratore editoriale (e aspirante scrittore) Daniele Stern. Quello di Sinigaglia, infatti, è un romanzo sperimentale che utilizza diversi registri stilistici, che si inerpica in una sempre nuova mescolanza degli stili per offrire immagini fuori dai canoni e assolutamente non scontate. Ma, soprattutto, è un metaromanzo che riflette e si interroga sulla letteratura e, in special modo, sui grandi romanzi del Novecento. Il libro era stato concepito dall’autore a partire dal 1976, un periodo denso di sperimentalismi sulla scena romanzesca italiana: basti ricordare solo Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979) di Italo Calvino o Petrolio (1992) di Pier Paolo Pasolini, al quale l’autore stava lavorando al momento del suo assassinio, nel 1975. Pubblicato per la prima volta nel 1985, Il pantarèi viene ora riproposto da Terrarossa Edizioni con una nuova presentazione dell’autore. Il titolo, tratto da una massima di Eraclito (panta rèi: “tutto scorre”), bene rappresenta la vorticosità della scrittura, uno scorrere di parole e pensieri che seguono i pochi giorni della vita di Stern focalizzati all’interno della narrazione.

La vorticosità della scrittura è racchiusa da un apparente ordine tradizionale, un prologo e un epilogo che chiudono, in una sorta di Ringkomposition, le vicende narrative. Sia il prologo che l’epilogo, infatti, si svolgono presso la casa editrice che commissiona a Stern una storia del romanzo del Novecento per una Enciclopedia delle Donne. Tale ordine è solo apparente perché l’epilogo abbraccia un finale aperto, una prospettiva imprevedibile che male si concilia con le strutture chiuse del romanzo tradizionale. L’oggetto-romanzo messo in funzione da Il pantarèi è un qualcosa di metamorfico, mai definito, in continuo divenire, scosso dalla marca dell’ambiguità e degli sconfinamenti. Se la struttura aperta del libro, allora, può ricordare i dieci possibili inizi di Se una notte d’inverno un viaggiatore, la caratterizzazione del protagonista, bisessuale, perduto nel vortice di avventure erotiche sia con ragazze che con ragazzi, può ricordare il protagonista di Petrolio, Carlo, sessualmente metamorfico e transgender, che nel corso dell’opera subirà una trasformazione in donna per poi tornare uomo.

Come già accennato, Il pantarèi è anche un metaromanzo: un romanzo-saggio, cioè, che riflette sulla letteratura e sulle stesse dinamiche letterarie. In esso, infatti, sono inseriti degli stralci saggistici sui più importanti autori del Novecento che il protagonista compone sulla propria macchina da scrivere. Ecco allora materializzarsi, sotto diversa veste grafica (in corsivo) rispetto alla narrazione, delle parti dedicate alle figure e alle opere di Proust, Joyce, Musil, Svevo, Kafka, Faulkner, Céline, Robbe-Grillet. Allora, se la narratività di tipo tradizionale, nel seguire la vita di Stern, si infrange continuamente in una sapiente mescolanza di stili che, come notato, è inserita in un inarrestabile vortice narrativo, si può riconoscere una importante impronta narrativa anche agli stralci saggistici del romanzo. Le parti dedicate agli scrittori del Novecento sono un autentico capolavoro stilistico che mescola saggistica e narrazione. È raro, infatti, trovare dei profili storici e teorici sul romanzo del Novecento scritti con una leggerezza e, contemporaneamente, con una profondità come questa; degli inserimenti saggistici accessibili a chiunque, leggibili da chiunque, senza pesantezza, senza inutili fronzoli o autocompiacimenti, senza sfociare in termini astrusi e complessi. Sì, certamente, il merito è di Stern ma, sotto sotto, quello più grande è dell’autore nascosto, Ezio Sinigaglia, abile burattinaio che, con sottile ironia, anche facendosi beffe di noi lettori, tiene le fila dell’intero mondo finzionale. Tra l’altro, come ricorda l’autore nella sua nota introduttiva, “tutto quel che si può leggere nel Pantarèi a proposito di Céline, di Faulkner e di Robbe-Grillet è farina del sacco di Stern”. E cioè è farina del sacco di Sinigaglia. Infatti, per questi tre autori “non esisteva all’epoca nessuna prospettiva critica consolidata”.

Inoltre, sembra che gli inserti saggistici fungano quasi da specchio per la costruzione del protagonista. Daniele Stern, mentre scrive, ad esempio, di Proust, di Joyce o di Kafka, sembra comportarsi proprio come un personaggio di Proust, di Joyce o di Kafka. Quando scrive su Kafka, Stern scrive di notte, proprio come Kafka e, quasi trasformatosi in personaggio kafkiano, subisce appunto una situazione kafkiana: un suo vicino, il geometra Sambò (altro personaggio che sembra uscito da un racconto dello scrittore praghese) gli suona il campanello pregandolo di smettere perché nella notte rimbomba il ticchettio della sua macchina da scrivere. Oppure, quando si accinge a scrivere di Joyce, lo fa quasi ubriaco, reduce da una serata di abbondanti libagioni e sembra di vedere e ascoltare Mr. Bloom che volteggia inebriato per le vie di Dublino appena uscito dal pub. Proust, inoltre, fra gli autori trattati, appare quasi come un grande archetipo, l’inizio di tutto, un inestricabile vettore di memoria e ricordi: non a caso, scrivendo di Proust, Stern viene assalito dal lancinante ricordo della moglie che lo ha lasciato cinque mesi prima.

Tutto Il pantarèi è poi percorso da un identico e onnipresente suono: quel già ricordato ticchettio della macchina da scrivere che sveglia il povero geometra Sambò. Come nota Sinigaglia nella sua prefazione, il romanzo “è stato concepito, ed è ambientato, in un mondo che non esiste più. Di conseguenza nel romanzo accadono vari fatti che oggi non potrebbero accadere”. Lo stesso incarico ricevuto da Stern, la collaborazione a una enciclopedia, molla che fa scattare l’intreccio narrativo, oggi – ricorda l’autore – non potrebbe avvenire: “la stagione delle enciclopedie, che negli anni Settanta era al suo culmine, è finita da tempo”. Ed ecco che poi, oggi, non potrebbe più verificarsi un caso come quello del vicino di casa che si lamenta della notturna battitura a macchina di Stern: la tastiera di un PC fa sicuramente meno rumore di quella di una macchina da scrivere, la quale si trasforma quasi in emblema vintage dello stesso Pantarèi, riprodotta sulla copertina del libro. Curioso, allora, pensare che un romanzo sperimentale si possa trasformare anche, per certi aspetti, in un romanzo ‘storico’, in quanto concepito e ambientato in un periodo non lontanissimo ma comunque vittima della velocità dei mutamenti sociali contemporanei.

L’invenzione linguistica del romanzo, poi, trova probabilmente la sua massima espressione nel vivace dialogo fra il protagonista e Madame Stella (quasi omonima del protagonista in quanto “Stern”, in tedesco, significa “stella”). L’anziana governante della casa del nuovo compagno della moglie di Stern, infatti, è di origine straniera e la sua allocuzione è infarcita, appunto, di ispanismi e francesismi che modellano un buffo eloquio italiano. Si potrebbe pensare all’eloquio anglo-italiano di Mrs Wilson in Eclissi (2016), il secondo romanzo di Sinigaglia, rivestito di una struttura sicuramente più ‘tradizionale’ ma anch’esso incline al lusus linguistico e alla mescolanza degli stili.

La narrazione del Pantarèi ci avvolge perciò in un serrato vortice e, all’interno di esso, noi lettori veniamo trascinati: un vortice-viaggio, uno spostamento continuo che, come il movimento delle onde del mare, ci porta dall’inizio alla fine e quasi ci culla. Ci porta dall’inizio alla fine (o forse, meglio, alla non fine) attraverso invenzioni linguistiche, inserzioni saggistiche, riflessioni su alcuni dei più grandi autori del Novecento, cogitazioni di tipo enigmistico (indovinelli, rebus, sciarade), flussi di memoria, pensiero e racconto che, spesso liberandosi della prigione della punteggiatura, fluiscono come un fiume in piena. E, in tale vortice in piena che plasma questa sapiente e riuscita prova narrativa di Sinigaglia, anche noi lettori siamo chiamati a compiere, appunto, una lettura che, libera, si libra in volute di pensiero e di voce valicando e distruggendo frontiere.

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