Gioacchino Toni, Gianluca Ruggerini, Guida agli stili nell’arte e nel costume. L’età contemporanea, Odoya, Città di Castello (PG), 2020, pp. 432, € 25,00

[Si riporta un breve stralcio tratto dal testo ove vengono riprese alcune riflessioni dell’artista Enrico Baj e del filosofo-urbanista Paul Virilio. A seguire una scheda dell’opera – ght]

Il sistema dell’arte contemporanea risulta imprescindibilmente legato al mercato, alle strategie di promozione e valorizzazione economica delle opere e degli autori: dal momento in cui l’opera diventa una forma di investimento, parallelamente al livello estetico-culturale assume sempre più rilevanza un livello economico-speculativo. In questo intreccio, si giocano i rapporti degli artisti contemporanei con il mercato, di volta in volta conflittuali o assecondanti. Il mercato stesso oscilla tra l’imposizione di nuove mode, improvvise rivalutazioni e rincorsa a quanto il panorama artistico tende a produrre autonomamente. La scena contemporanea è attraversata costantemente da tentativi di autonomia dai meccanismi commerciali e di sottomissione, più o meno volontaria, alle direttive da questi esercitate. Ne risulta in definitiva un sistema strutturato attorno a varie figure che, in percentuali variabili, concorrono al suo mantenimento: l’artista, il critico, il curatore di mostre, il mercante, le gallerie, i musei pubblici e privati, i collezionisti, i finanziatori, i creatori di eventi, i mass media, il pubblico di addetti ai lavori e di semplici appassionati ecc.

Sulla base della sperimentazione più o meno consensuale delle dinamiche di questo “sistema”, i fermenti contemporanei di autoriflessione dell’arte su se stessa spingono sempre più autori a interrogarsi sulle modalità e sui ruoli giocati nella propria appartenenza alla contemporaneità. In apertura di nuovo Millennio, in tal senso, l’artista Enrico Baj e il filosofo-urbanista Paul Virilio, discutendo delle modalità con cui l’arte e gli spazi che la accolgono vengono percepiti a quelle date, individuano nell’arte contemporanea una delle dimensioni privilegiate utili a cogliere lo spirito dei tempi, tanto che, sostengono i due, il mercato dell’arte ha preannunciato l’avvento della New Economy e con essa di numerose altre virtualità (E. Baj, P. Virilio, Discorso sull’orrore dell’arte, Elèuthera, Milano, 2019).

Nell’attuale maniera di rapportarsi all’arte, continuano Baj e Virilio, si sarebbe prodotto una sorta di plusvalore divenuto talmente importante da rendere impossibile una critica seria. In tale contesto, secondo i due, la critica sembra spesso non andare oltre al mero pettegolezzo celebrativo e l’opera d’arte pare giocarsi le proprie carte in maniera del tutto autoreferenziale, come una macchina progettata allo scopo di produrre «pseudo-filosofie, pseudo-estetiche, pseudo-problematiche». Una macchina inutile, dunque, al pari di quelle ironizzate dal Dada. Baj e Virilio manifestano in realtà una critica serrata nei confronti dell’intero sistema-arte contemporaneo, caratterizzato, a loro dire, da un’autoreferenzialità che si irradia su vari livelli: dai direttori dei musei ai curatori di mostre, dai critici alle opere stesse, il tutto indirizzato alla logica dello spettacolo e alla speculazione del mercato. Un sistema chiuso, totalmente ripiegato su se stesso, precluso al pubblico se non per la piccola parte che gli compete: «l’arte, come tutto oggi, diventa affare di esperti, mentre gli altri sono esclusi, possono solo partecipare a visite guidate, tanto per informarsi» (p. 20).

Ad essere attaccata è anche la marginalità a cui sono costrette le arti plastiche, la cui crisi, sostiene Virilio, sarebbe «il proseguimento di quello che è accaduto negli anni Venti e Trenta tra il cinema e la pittura […]. Il cinema parlato ha inferto un colpo fatale alle immagini: il sonoro ha anticipato quel che succede oggi con il video e l’infografia. L’arte motorizzata, attraverso la video arte e l’informatica, ha contribuito a eliminare progressivamente molte tecniche della rappresentazione» (p. 22). Il sistema-arte contemporaneo sembrerebbe quasi imporre il divieto di dipingere; nelle gallerie newyorkesi imperversano foto e video installazioni. Sostiene Baj: «Le immagini che contano sono quelle che la tecnica rende vistose e con cui la qualità dell’artista non ha nulla a che vedere» (p. 22).

La polemica nei confronti del sistema-arte va ovviamente letta attraverso la filigrana di una più ampia messa in discussione dei modelli esistenziali contemporanei. Secondo Virilio, per certi versi, artisti come Alberto Giacometti e Francis Bacon, con le loro immagini capaci di mostrare il “miserabilismo dell’uomo”, hanno annunciato l’imminente deriva, una deriva in cui, commenta Baj, l’essere umano, oppresso dalla tecnica, disperdendosi nel web nel tentativo di superare se stesso subisce un vero e proprio processo di disincarnazione, di annullamento fisico. Per questa via il collegamento è presto servito e la disincarnazione dell’arte consegue a quella dell’essere umano: «Da un lato vi è la società che spinge nella direzione dell’annientamento critico e morale, dall’altro ci sono degli artisti che non sono più interessati a realizzare opere che possano suscitare interessi, emozioni, coinvolgimento e modificazioni del comportamento e del pensiero umani. Per tale via si crea un vuoto che deve essere riempito con dei succedanei (ersatz) della società dello spettacolo, del narcisismo e dell’immagine, dove la fotografia trionfa» (p. 42).

Come uscire da una tale gabbia? Secondo i due, “l’incidente” è sempre in agguato – come più volte è accaduto in passato nel sistema-arte – e da esso può prendere il via lo sgretolamento dei vincoli. Intanto, suggeriscono, occorre riappropriarsi del corpo, nella sua fisicità, nella sua materialità, sebbene in questo richiamo sia implicito il limite, evidente oggi ancor più di quando scrivevano i due autori, di un ulteriore paradosso contemporaneo, evocato intorno alle domande su cosa sia divenuto però nel frattempo il corpo fisico, e soprattutto su quanto l’immaginario contemporaneo voglia, possa e sappia fare i conti con il corpo trasformato nel corso del tempo.

Nella denuncia dell’inutilità di tanta arte contemporanea proposta dai due autori, non si può non ravvisare un parallelo a distanza con la contestazione Dada, condotta però in quel caso attraverso uno statuto di vacuità cercato, pianificato nelle macchine prese a soggetto, ma in definitiva nell’opera d’arte in sé. Anche nell’esperienza del dadaismo, la critica finale era volta al razionalismo positivista borghese, alla sua tendenza alla mercificazione di ogni aspetto della vita quotidiana – comprese l’arte e la letteratura passata e presente – nonché al suo «linguaggio ingannevole». «L’arte serve per ammucchiare denari e accarezzare i gentili borghesi?», si chiedeva polemicamente Tristan Tzara nel Manifesto Dada del 1918, mentre Marcel Duchamp opponeva le sue “macchine celibi” all’universo utilitaristico imperante.

Ma se il Dada cercava di far girare a vuoto – per renderla improduttiva – un’arte asservita al potere e alla mercificazione, l’inutilità a cui fanno riferimento Baj e Virilio, invece, è paradossalmente utile. Utile al mercato in un sistema avviato, nel passaggio di millennio, a una finanziarizzazione e a una virtualizzazione in cui anche il nulla può essere trasformato da un buon pubblicitario in merce, inconsistente e insignificante quanto si vuole, ma redditizia.

***

Scheda dell’opera

Gioacchino Toni, Gianluca Ruggerini, Guida agli stili nell’arte e nel costume. L’età contemporanea (Odoya, 2020)

Il cammino dell’arte contemporanea è visto, in sostanza, come la tensione dialettica tra due modelli, l’uno dei quali volto a raggiungere una sintonia tra la sensibilità dell’uomo e una tecnologia di specie meccanica, mentre l’altro modello si ispira all’avvento dell’elettronica, tratto caratterizzante del postmoderno. (Renato Barilli, L’arte contemporanea, Feltrinelli 2014)

L’abito è sempre stato il tramite di una rappresentazione pubblica, ma le dimensioni del pubblico sono passate dal salotto alla sala da ballo, poi alla città, per finire al mondo globale, e contemporaneamente dal rotocalco e dal grande schermo hollywoodiano al piccolo schermo della TV, fino al portatile e ubiquo schermo del cellulare e della nuova televisione degli anni Duemila, Instagram e Pinterest, con il relativo proliferare dei selfie più o meno professionali. (Nicoletta Polla-Mattiot, Le migrazioni della moda, in D. Baroncini (a cura di), Moda, metropoli e modernità, Mimesis 2018)

A breve distanza dal testo riferito alla modernità [qua], giunge in libreria il volume Guida agli stili nell’arte e nel costume dedicato all’età contemporanea. Il saggio di Gioacchino Toni e Gianluca Ruggerini analizza le esperienze artistiche del periodo con particolare attenzione al contesto culturale e materiale in cui si sono manifestate e ai protagonisti che le hanno animate. Attraverso inserti dedicati al costume viene inoltre restituito il quadro dell’epoca in termini di immaginario collettivo e orientamenti di gusto con un occhio di riguardo all’abbigliamento e ai mass media più influenti del periodo (cinema, televisione, web). L’apertura è dedicata alle sperimentazioni postimpressioniste, indagate dagli autori nelle cesure che attuano rispetto agli schemi di vita e ai riferimenti culturali della tradizione occidentale. Il generale scollamento dell’arte dalla rappresentazione mimetica conduce da un lato lungo la via dell’astrazione (attraverso una stilizzazione delle forme naturali) e dall’altro verso quella della concretezza (dove l’arte mira, sull’onda dell’immaginario industriale, alla realtà artificiale). Passate in rassegna le Avanguardie storiche, il volume affronta le “poetiche della materia” degli anni Quaranta e Cinquanta, le “poetiche dell’oggetto” degli anni Sessanta e Settanta e le proposte artistiche che, dalla fine degli anni Sessanta, si propongono di istituire un nuovo rapporto con la realtà circostante. L’ultima parte del volume individua le principali trasformazioni del sistema dell’arte contemporanea giunto al cambio di millennio, riflettendo sulle nuove dinamiche del mercato artistico e sul ruolo del circuito espositivo-museale.