di Gioacchino Toni

Paolo Pasi, Pinelli. Una storia, elèuthera, Milano, 2019, pp. 184 con illustrazioni di Fabio Santin, € 16,00

«Pinelli è inquieto mentre nel gelo di dicembre sobbalza sull’acciottolato delle strade di Milano in sella al suo Benelli rosso. L’anno magico della Luna e della rinascita libertaria si sta chiudendo male. Gli scontri sono diventati sempre più aspri, le intimidazioni sempre più aggressive. Sta per succedere qualcosa, pensa Pinelli con il bavero alzato e il collo affondato nelle spalle, stanno alzando il tiro».

Quella di Pinelli non è soltanto la storia della diciassettesima vittima della strage di piazza Fontana, ma è una storia che prende il via tra le case di ringhiera, tra i ballatoi e le trattorie popolari di porta Ticinese, è la storia di un uomo legato ai suoi famigliari, orgoglioso del suo mestiere e che «leggeva poesie e faceva volare gli aquiloni», è la storia di un uomo che ha vissuto la sua epoca a testa alta, lottando per un mondo migliore fino a quella notte tra il 15 e il 16 dicembre del 1969, quella notte in cui ha incontrato quella finestra spalancata della questura milanese. Come tutte le vite vissute e non subite, la sua è anche una storia collettiva, una storia che riguarda tutti e tutte i compagni e le compagne di quel viaggio di libertà e per la libertà, una storia che non si è affatto chiusa.

Il giornalista e scrittore Paolo Pasi1, già autore del libro Antifascisti senza patria (elèuthera, 2018)2, si è occupato di questa storia individuale e collettiva nella sua recente pubblicazione Pinelli. Una storia (elèuthera 2019), volume impreziosito dalle illustrazioni di Fabio Santin.

La storia che racconta Paolo Pasi prende il via dal fortuito ritrovamento di un suo quaderno d’infanzia che diviene per l’autore una sorta di mappa di quel periodo con la «la scrittura sempre meno precaria, pagina dopo pagina, le lettere più precise, regolari, allineate come soldatini diligenti nei quadrettoni dei fogli, i disegni, i voti della maestra, i brevi dettati. Uno è del 20 novembre: “Due uomini sono andati sulla Luna. La Luna è lontana”. Penso d’istinto all’allunaggio di qualche mese prima, il 20 luglio 1969, ma poi scopro che una missione successiva, quella dell’Apollo 12, sbarcò di nuovo sul satellite pochi mesi dopo, il 19 novembre. Ed eccomi di nuovo a cavalcare i ricordi di quell’anno, le serate di fronte al televisore, Carosello e il tenente Sheridan, i cartoni animati, l’avanzare dell’autunno verso l’inverno, il tema sulla neve, i regali per il Natale imminente… Più mi addentro nelle pagine del quaderno, più avverto la presa soffocante del passato che non ha niente di nostalgico, perché fa venire a galla anche le insicurezze e le profonde malinconie di me bambino. Poi arrivo a quella pagina. La scrittura è la mia, il testo mi è stato dettato: «Avviso. Lunedì 15 la maestra parteciperà allo sciopero». Lunedì 15 dicembre 1969. Il giorno dei funerali delle vittime della strage di piazza Fontana. Il mio viaggio è iniziato così. Da un quaderno di scuola in cui la Storia ha fatto irruzione come il richiamo secco di un testimone scomodo. Ho pensato che sarebbe stato bello raccontare quei mesi, così irrequieti e tragici, attraverso gli occhi di un bambino. Ma poi ho chiuso il quaderno, e l’eco del passato è tornata all’immagine di copertina, il disegno accurato di un razzo spaziale su un fondo bianco. Lo chiamavano Lem, o modulo lunare, e in quei mesi non si parlava d’altro che del progetto Apollo. Sembrava che lo stesso concetto di essere umano fosse stato creato per dare giusta luce alla Luna. Così grande e luminosa da assomigliare a uno specchio che rifletteva fantasie e sogni, inquietudini e malinconie di tante altre persone. Se c’è una storia che va raccontata, ho pensato, è quella di un uomo che sapeva sognare, che nel suo viaggio ha toccato l’apice della Luna e il fondo della tragedia. Ripenso a mio padre davanti al televisore, lo sguardo infervorato nella notte di fine luglio, e io che gli sto accanto con un piccolo cannocchiale, a illudermi di poter scorgere gli astronauti mentre camminano sulla superficie butterata della Luna. Anche Giuseppe Pinelli ha vissuto una notte simile. Padre e insieme fanciullo. Il quaderno di scuola è sempre davanti a me. La navicella in copertina mi sta riportando indietro nel tempo».

Così dunque Pasi decide di ripercorrere la vita di Pinelli precedente la sua morte avvenuta in quella maledetta notte all’interno di quella ancor più maledetta questura milanese. Come scrive Paolo Finzi, intervistando Pasi e recensendone il libro per “A – Rivista Anarchica”, l’autore «si muove con onestà e sicurezza in un terreno rischioso e friabile quale è quello del romanzo storico. Che è quello della ricostruzione e dell’approfondimento della persona nel suo contesto, “inventandosi” che cosa pensava, poteva pensare o dire o sognare il “suo” protagonista in quella determinata situazione»3.


  1. Paolo Pasi (Milano, 1963), giornalista e scrittore, nel 1995 vince la prima edizione del premio giornalistico Ilaria Alpi e dal 1996 lavora in Rai come redattore del TG3. Ha inoltre scritto numerosi romanzi, tra cui Ultimi messaggi dalla città (2000), Le brigate Carosello (2006), L’estate di Bob Marley (2007) e i più recenti Memorie di un sognatore abusivo (2009) e Il sabotatore di campane (2013), L’era di Cupidix (2015) e La canzone dell’immortale (2017), usciti per le edizioni Spartaco. 

  2. A proposito di tale libro – dedicato alle vicende dei confinati politici antifascisti di Ventotene e in particolare degli anarchici che tra questi furono coloro che subirono il trattamento peggiore e più discriminante – si veda la recensione pubblicata su Carmilla

  3. Curioso e diverso. Conversazione di Paolo Finzi con Paolo Pasi, Giuseppe Pinelli un uomo, un anarchico, A – Rivista Anrachica