di Sandro Moiso

Alessia Turri, Everland. Morti e rinascite nel sud-ovest americano, Cierre edizioni, Verona 2019, pp. 176, 14,00 euro

E l’America non è più America, non più un mondo nuovo: è tutta la terra. (Elio Vittorini – Americana)

Quando Elio Vittorini affermava, nel 1942, quanto riportato in esergo, il suo pensiero correva sicuramente all’enorme varietà di storie e vicende che lui e gli altri giovani autori italiani dell’epoca potevano scoprire oppure ritrovare nella letteratura nord-americana. Una letteratura che sembrava riportare e rileggere al suo interno, e nei vasti spazi che ne circondavano spesso le narrazioni, ogni possibile vicenda umana, ogni possibile storia. Antica e moderna.

All’epoca, naturalmente, l’introduzione che conteneva tale affermazione fu espunta, più dalla censura letteraria che da quella politica, dalla vasta raccolta di racconti ed estratti da romanzi statunitensi che l’autore aveva curato per l’editore Bompiani, destinata a tornare alla luce soltanto nella nuova edizione uncensored dell’opera ripubblicata nel 1968 dallo stesso editore.

Oggi chi si chiedesse dove e come gli autori e sceneggiatori americani oppure i folk singers traggano ispirazione per le innumerevoli storie di vita o di sventura che letteratura, cinema e canzoni provenienti da quel continente possono continuare a proporre, con un senso che è contemporaneamente di realismo e meraviglia, popolare e profondo allo stesso tempo, potrebbe trovare in questo piccolo e interessante libro una parziale risposta.

Alessia Turri, classe 1992, fotografa e scrittrice di viaggi, da tempo percorre le strade secondarie del continente nord-americano, alla ricerca di comunità scomparse, storie rimaste vive nella memoria di alcuni oppure semplicemente testimoniate dalle rovine di cittadine che non esistono più.
Mentre il testo attuale ci accompagna attraverso l’Arizona, il Nevada e il New Mexico, in uno precedente1 l’autrice aveva accompagnato il lettore in un viaggio simile tra le città fantasma e i deserti della California.

Ed è proprio lì, in quel vuoto, in quei luoghi spesso dimenticati da Dio e dalla cartografia stradale che l’autrice riscopre vicende umane, solitarie o collettive, che potrebbero riempire innumerevoli romanzi, racconti o trame cinematografiche e di serie televisive.
Storie di tribù Apache fantasma, di solitari eremiti di origini lombarde, di città cresciute e scomparse nel giro di cinquant’anni intorno a una miniera di carbone, di regolamenti di conti feroci dimenticati ormai sotto le sabbie del tempo, ma che un sogno, una testimonianza diretta, una traccia quasi impercettibile possono riportare alla memoria.

Storie di città illuminate dalla frenesia del gioco d’azzardo e di pompe di benzina abbandonate in mezzo al nulla. Storie di aree “sensibili” per l’attività degli extra terrestri, o almeno spacciate per tali per essere rese più appetibili per l’industria del turismo, e di altre devastate dai primi esperimenti nucleari, ancor oggi poco appetibili. Storie di natura selvaggia e di vita che si accompagnano costantemente alla morte, facendoci tornare in mente le pagine migliori di Hemingway, Melville e di tutta la grande letteratura americana fino a Cormac McCarthy e Larry McMurtry. Oppure le canzoni più belle di Johnny Cash.

Una memoria spesso soggettiva, il più delle volte legata a testimonianza orali in cui il passato e il presente sembrano tornare a ricongiungersi tra le curve del tempo. In cui la fisica moderna sembra sposare credenze e culture più antiche, apparentemente rimosse dall’istante che chiamiamo modernità, ma destinate a perdurare nella coscienza umana molto più a lungo di quanto ciò che è, solo apparentemente, attuale vorrebbe farci credere a suo esclusivo vantaggio.

Una memoria spesso trasmessa più per via orale che attraverso le pergamene della Storia ufficiale, destinate a rimuovere tutto ciò che non appare essenziale per la storia dello sviluppo della Nazione.
Una memoria “dal basso” che si rivela spesso più profonda e inclusiva di quella registrata dalla storiografia ufficiale che, per sua intima essenza, deve soprattutto rimuovere e cancellare i “documenti inutili” per riportare ordine là dove proprio non può esistere, se non nella finzione della ricostruzione documentaria e monumentale.

Un viaggio tra storie momentaneamente perdute che il soffio di un ricordo, una parola o uno sguardo più attento possono rivitalizzare e richiamare in vita. Facendoci altresì comprendere, come è capitato all’autrice stessa, come la morte sia soltanto uno degli aspetti momentanei dell’esistente.
Esistente colto anche dalle belle immagini fotografiche che accompagnano il testo ad opera della stessa Turri.

Credo, in chiusura, che possano essere le parole stesse dell’autrice a illustrare meglio di qualsiasi ulteriore commento l’esperienza che il lettore potrà provare nel leggere il suo bel libro.

[…] la mia percezione della morte è cambiata, e con lei la mia idea d’America. Quei luoghi desolati, abbandonati e malconci che continuo a incontrare durante i viaggi, si sono illuminati di vita nuova. La stessa vita che vedo risplendere nei cimiteri. Quelli più piccoli, semplici e modesti. Quelli nascosti tra le praterie, protetti da steccati e foreste d’abeti. La stessa vita che anima i deserti, pittura le steppe, satura i cieli. Quella vita che è anche morte, quel passato che è anche futuro. Quella serena commistione di generi, fasi e destini, che nell’Ovest americano prende forma. Leggende indiane, le lapidi del vecchio West. I miti alieni, le città fantasma. I culti messicani e le scienze cosmiche. Riti, storie, miti e utopie. Un ritmico ripetersi di eventi scomposti, un continuo alternarsi di alti e bassi, in una terra che è allo stesso tempo magia e sacrilegio. Quella terra che da per togliere, in un vivace fermento di stadi e condizioni. Quella terra che è sabbia mobile, in perenne mutazione. Quella terra che è idillio e dissidio, contrasto e armonia. […] Da qui l’idea di raccontare un Ovest diverso, misterioso, contraddittorio. Al tempo stesso patria di cimiteri e foresta di luci, monocromie d’asfalti e vortici di colore, profumi di spezie frasche e odori di antiche muffe. Terra di pasticcieri e nativi, scienziati ed extraterrestri, Babbi Natale e veterani, viaggiatori e artigiani. Terra di favole e dottrine, bombe atomiche e cactus. Terra di vita, come un folle mosaico di tinte ed emozioni. Terra di morte, percepita come limpida eternità, tutta da scrivere.2


  1. A. Turri, Wasteland. Viaggio nella California dimenticata tra città fantasma e deserti addormentati, Cierre edizioni 2017  

  2. A. Turri, Everland, p. 18