di Gioacchino Toni

Grazie all’editore Meltemi ritorna in libreria Lo spirito del tempo di Edgar Morin, saggio che, uscito nei primi anni Sessanta, nonostante il passare dei decenni, si dimostra ancora capace di offrire importanti spunti di riflessione. Di questa nuova edizione, in cui è contenuta anche una Prefazione inedita in lingua italiana stesa dall’autore nel 2006, occorre assolutamente menzionare la cura prestata alla traduzione affidata a Claudio Vinti – professore ordinario in Lingua e traduzione francese presso l’Università di Perugia e profondo conoscitore del cinema francese – e alla studiosa Giada Boschi. L’attenzione riservata alla traduzione è particolarmente meritoria vista la complessità linguistica che contraddistingue i testi di Morin, come testimoniano le note di apertura dei due traduttori.

Compongono il volume anche due preziosi contributi di Ruggero Eugeni, professore ordinario di Semiotica dei Media presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, e Andrea Rabbito, professore associato di Cinema, fotografia e televisione presso l’Università degli studi di Enna “Kore”. L’intervento di Eugeni mette in luce la rilevanza del contributo offerto da Morin, per certi versi in anticipo sui tempi, a proposito della condizione mediale contemporanea, mentre lo scritto di Rabbito, curatore del volume, approfondisce il legame tra Lo spirito del tempo e il mondo della cultura visuale sviluppato dalle nuove immagini che, nel loro illudere una perfetta duplicazione del reale, non provocano più la sensazione che in esse il rappresentante ceda il posto al rappresentato ma, piuttosto, l’assenza del rappresentante e la percezione di trovarsi il rappresentato presente davanti agli occhi. Sarà proprio sulle letture dell’opera moriniana effettuate alla luce dell’oggi proposte dai questi due studiosi che ci soffermeremo.

Ruggero Eugeni, nel suo scritto “I media o l’uomo post-immaginario”, propone quattro possibili letture contemporanee del libro di Morin. Una prima lettura si “limita” a esporre sinteticamente i contenuti de Lo spirito del tempo: nella prima parte Morin introduce l’oggetto (la cultura di massa), il metodo (fondato sulla volontà di mettere da parte le letture prevenute nei confronti della cultura di massa e sulla necessità di un approccio multidisciplinare) e lo sfondo (la ludificazione, la spettacolarizzazione e l’erotizzazione dell’esistenza dell’individuo postindustriale). Dall’incrocio di queste tre componenti, sostiene Eugeni, emerge sia il carattere dialettico e dinamico della cultura di massa, oscillante tra la standardizzazione-omogeneizzazione e la creatività-individualizzazione, sia il ruolo centrale dell’immaginario. «Un’analisi di tali contenuti corrisponde dunque a una radiografia della psiche collettiva dell’uomo occidentale» (p. 14) e ciò è affrontato da Morin nella seconda parte de Lo spirito del tempo, ove si occupa delle forme della mitologia contemporanea.

Una seconda lettura contemporanea del volume di Morin, sostiene Eugeni, è di tipo storico ed è volta a individuare nel testo un quadro del contesto in cui è stato elaborato e steso dallo studioso francese a cavallo tra gli anni Cinquanta ed i Sessanta del Novecento, in un contesto panorama culturale caratterizzato da importanti studi cinematografici e antropologici, semiologici e mediologici, sulle comunicazioni di massa e sulla psicanalisi lacaniana.

La terza lettura oggi possibile, continua Eugeni, è prospettica, nel senso che risulta interessante valutare quanto Lo spirito del tempo abbia saputo anticipare gli sviluppi della sociologia e pure, suggerisce lo studioso, alcune argomentazioni sviluppate da Guy Debord ne La società dello spettacolo, testo uscito sul finire degli anni Sessanta. Lo stesso Morin in uscite successive – alcune delle quali meritoriamente riportate in appendice dall’edizione presentata da Meltemi – rispetto alla prima stesura del suo volume non manca di evidenziare alcuni limiti della sua ricerca vista alla luce delle novità portate dal Sessantotto.

La quarta lettura del saggio dello studioso francese suggerita da Eugeni viene definita archeologica. «Si tratta in questo caso […] di chiedersi a partire dalla situazione attuale dei media cosa il libro di Morin ci dice sulla condizione precedente e in cosa tale condizione ci appare oggi superata» (p. 17). Da un lato Morin intende i media «come strumenti di produzione di ibridi che mediano e contaminano il reale e l’immaginario; dall’altro lato, tale ibridazione e contaminazione avviene a partire da una rete di dispositivi individuabili e localizzabili. In tal modo Morin coglie bene e traduce in modo originale lo spirito del tempo dei primi anni Sessanta: l’idea che i dispositivi mediali nella loro riconoscibilità costituissero strumenti di artifcializzazione dell’esperienza intima e sociale dei soggetti» (p. 20). Dunque, Morin legge il processo di artificializzazione dell’esperienza alla luce di una doppia ibridazione: «i dispositivi e gli universi mediali riformulano i dispositivi e gli universi mitologici e simbolici delle culture premoderne; in tal modo all’ibrido reale/immaginario si sovrappone quello moderno/premoderno» (p. 20). Eugeni concentra il suo intervento sulla lettura di Lo spirito del tempo alla luce delle trasformazioni dei dispositivi mediali contemporanei da lui approfonditi, questi ultimi, nel saggio La condizione postmediale. Media, linguaggi e narrazioni (2015).

Da parte sua Andrea Rabbito, nel suo prezioso intervento “Morin e la cultura visuale contemporanea”, sottolinea come il francese sia stato per certi versi lungimirante nel prospettare le trasformazioni avvenute nei decenni successivi alla stesura del testo, tanto da risultare in grado non solo di cogliere «lo spirito del tempo che animava gli anni Sessanta, ma anche quello che caratterizza i giorni nostri e anticipa percorsi di ricerca attuali o, meglio, ne apre le strade, indicando un metodo che risulta particolarmente produttivo» (p. 289). Basti pensare a come alcune riflessioni dello studioso francese sulla centralità dell’immagine nella vita quotidiana siano alla base dei cultural studies diffusisi soprattutto nel corso degli anni Novanta. Gli studi di Morin si sviluppano lungo un percorso che parte da Il cinema o l’uomo immaginario (1956) [ne abbiamo parlato su Il Pickwick: Cinema ed immaginario secondo Edgar Morin] e prosegue con Le star (1957), Lo spirito del tempo (1962) per poi giungere a L’Esprit du temps 2. Nécrose (1975). I quattro volumi, sostiene Rabbito, formano una tetralogia omogenea utile alla comprensione del nuovo tipo di immagini caratteristiche della contemporaneità. Importante risulta, inoltre, il metodo adottato da Morin,

particolarmente audace nel suo intento di ibridare, fondere più saperi per lo studio del fenomeno preso in considerazione; ma è proprio quest’audacia che gli permette di precorrere i tempi e di entrare nel cuore della questione, e, in questo caso, nella questione della cultura visuale che le nuove immagini determinano […] Proprio il posizionarsi sulla linea di confine, sull’impercettibile linea d’ombra che separa i diversi saperi, viene reputata da Morin la condizione più privilegiata e più proficua per cogliere gli aspetti di ciò su cui si focalizza, e nello specifico […] sulle nuove immagini (pp. 291-292).

Morin si è rivelato capace di ricomporre la spaccatura esistente tra cultura umanistica e cultura scientifica tentando di elaborare un metodo in grado di articolare ciò che si presenta separato e di collegare quanto è disgiunto con il fine di «riconoscere la complessità dei fenomeni [e] valorizzare un “paradigma unitario di connessione e distinzione”» (p. 293). Rabbito avanza l’ipotesi, suffragata anche da alcune riflessioni dello stesso studioso francese, che tale metodo derivi anche dagli studi che il francese ha dedicato alle nuove immagini. Le proposte moriniane paleserebbero, secondo Rabbito, l’intento di individuare e comprendere la complessità del mondo delle nuove immagini

interpellando vari campi scientifici e creando un dialogo fra questi, per meglio approfondire la sua analisi: antropologia, sociologia, mediologia, filosofia, estetica, psicologia, film studies, studi letterari, storia dell’arte, scienze cognitive, sono queste le varie discipline che vengono fuse assieme, ibridate, per dare vita a quello che Morin definisce come “pensiero multidimensionale” […] E tale multidimensionalità del pensiero è stata proprio dalle nuove immagini sollecitata durante lo studio condotto da Morin, in quanto la loro natura raccoglie molteplici aspetti individuabili solo attraverso la visione mediante le diverse lenti che i vari saperi propongono (p. 294-295).

Morin si rivela consapevole anche di dover adottare una strategia capace di controllare «l’indebolimento e il nutrimento della vita pratica messa in atto soprattutto dalle nuove immagini» (p. 315). Su tali problematiche Rabbito stesso ha insistito parecchio nella sua personale tetralogia di saggi composta da: Il cinema è sogno. Le nuove immagini e i principi della modernità (2012); L’illusione e l’inganno. Dal Barocco al cinema (2010); Il moderno e la crepa. Dialogo con Mario Missiroli (2012) e L’onda mediale. Le nuove immagini nell’epoca della società visuale (2015). In particolare dell’ultimo saggio dell’autore abbiamo già avuto modo di occuparci dettagliatamente su Carmilla [L’onda mediale e Forme di resistenza all’onda mediale].

Rabbito si sofferma, inoltre, sulla questione del rapporto tra modernità e arcaismo che ha attraversato l’intera opera moriniana e che ha portato il francese a coniare, proprio in Lo spirito del tempo, il termine “neoarcaismo”, allargando il discorso ben oltre il cinema e aprendo così la strada a riflessioni utili alla comprensione dell’incidenza sullo spettatore di mass media, new media e nuove immagini.

Gli studi di Morin si rivelano pertanto fondamentali alla costruzione di una strategia che ha come suoi obiettivi tanto la comprensione del potere delle nuove immagini (come vengono intese e cosa producono), quanto di fornire all’utente di queste strumenti di difesa, rendendolo consapevole delle forme di rappresentazione che lo circondano.

Lo studio dell’immagine, da un lato, e la diffusione del sapere sull’immagine, dall’altro, si offrono in questo modo come i due processi principali della strategia da attuare, al fine di circoscrivere la potenza del diluvio delle immagini […] Il fine è dunque quello di far sviluppare allo spettatore una audiovisual e media literacy, una conoscenza sulle nuove immagini, che gli garantisca di avere una propria autonomia di pensiero, una capacità di corretto uso dei vari media, e che lo renda in grado di non essere fortemente influenzato da ciò che gli viene proposto (p. 328).

Morin ne Lo spirito del tempo sostiene che una cultura è in grado di orientare, sviluppare e addomesticare certe potenzialità umane, inibendone e proibendone altre e ciò che occorre ostacolare, sottolinea Rabbito,

sono proprio le forme di inibizione e proibizione che la cultura visuale mette in atto; e inoltre bisognerà tener ben conto nella strategia che si vuole portare avanti con i visual studies che, come evidenzia sempre Morin, ci troviamo dinnanzi ad una “seconda colonizzazione” che riguarda quella grande Riserva che è l’anima umana. Studiare attentamente la cultura visuale e diffondere un sapere adeguato su di essa permetterà di contrastare questo fenomeno di colonizzazione e di convertirlo in una dinamica che risulti proficua per tutti noi utenti delle nuove immagini. Ed è proprio quello che Morin ha proposto e continua a proporre con i suoi studi, dimostrandosi così, ancora una volta, un punto di riferimento imprescindibile per la comprensione dello spirito del nostro tempo (p. 339).


Serie completa: Il reale delle/nelle immagini