di Walter Catalano

CatalanoDischi1212) Jozef Van Wissem/ Sqürl, Only Lovers Left Alive, 2014

Il film di Jim Jarmush Only Lovers Left Alive è un capolavoro assoluto e sicuramente l’opera più compiuta e significativa del cineasta/musicista statunitense: la storia dei due vampiri Adam ed Eve, innamorati, belli, colti, saggi (secoli di esistenza avranno pure insegnato loro qualcosa…), con un personale pusher di sangue “pulito” che evita sgradevoli ricorsi alla violenza e ai canini, è metafora di una nobile sconfitta: perché quando l’imprevisto, il destino e la volgarità del mondo li metteranno davvero in pericolo saranno ancora costretti ad un occasionale ritorno ai metodi primitivi: il sangue degli amanti nutrirà gli amanti, perché “Solo gli amanti sopravvivono”… La colonna sonora non poteva essere da meno in questo intenso, pacato, atmosferico  road movie notturno diviso fra Detroit e Tangeri: il vampiro Adam (l’attore Tom Hiddleston, affiancato nel film dalla splendida Tilda Swinton, Eve, vent’anni più di lui ma portati da vampira vera…) è un musicista, un distaccato genio dell’underground: e che musica potrebbe comporre un vampiro ? Qui Jarmush scatena il suo estro e si affida al compagno di avventure musicali (vari album live insieme negli ultimi anni) Josef Van Wissem, liutista olandese artefice di partiture minimaliste che fondono atmosfere rinascimentali e gotiche con lo sperimentalismo contemporaneo. Alle liuterie barocche si aggiungono i feedback e i rumorismi elettrici degli Sqürl, la band di Jarmush, e il Raï della cantante libanese Yasmine Hamdan: un potpourri affascinante che assembla uno dei dischi più interessanti e creativi della stagione. La prima parte dell’album (e del film), dislocata a Detroit, inizia con le distorsioni chitarristiche di Street of Detroit e con il rockabilly stralunato e acido di Funnel of Love, gargarizzato dalla voce abrasiva di Madeline Follin; alla terza traccia arriva Van Wissem con Sola Gratia (Part 1), pezzo in equilibrio fra gli arpeggi delicati del suo liuto e l’effetto larsen della chitarra elettrica di Jarmush; segue l’ipnotica e ossessiva The Taste of Blood, uno dei miei pezzi preferiti del disco, con Van Wissem al liuto e gli Sqürl al completo, in evidenza una batteria incalzante e tribale; poi libero campo al gruppo, questa volta senza Van Wissem, nelle successive e altrettanto notevoli, Diamond Star, Please Feel Free To Piss In The Garden e Spooky Action At A Distance: pura psichedelia. La seconda parte, dislocata a Tangeri, è più intimista: inizia con gli arpeggi orientaleggianti di Street of Tangier, prosegue con la maestosa Templum Dei, con il liuto di Van Wissem accompagnato dai vocalizzi di Zola Jesus (russo americana, regina del “lo-fi goth”, no-wave aggiornata nel solco di Lydia Lunch e Siouxsie Sioux: nella sua discografia titoli come Stridulum o Conatus); poi  Sola Gratia (Part 2), altro pezzo collettivo e indimenticabile; nella successiva Our Hearts Condemn Us, imperversa invece il liuto da solo; poi la title-track Only Lovers Left Alive e la sensualissima Hal dell’affascinante Yasmine Hamdan (che compare anche in un’intensa sequenza del film con una battuta significativa di Eve: “Sono sicura che diventerà molto famosa”, replica Adam: “Dio, spero di no. È troppo brava per esserlo”); l’opera si chiude egregiamente con gli  Sqürl di This Is Your Wilderness. Questo disco mi ha seguito per settimane: non ascoltavo altro. Poi mi sono flippato con Josef Van Wissem da solo e ho cominciato con lui: non ho ancora finito. Lo so di essere un tipo un po’ ossessivo.

 

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13) Leonard Cohen, Can’t Forget: A Souvenir of The Grand Tour, 2015

No, ancora Cohen ! Ebbene sì !… E ancora live, per giunta ! …Ma basta ! No invece ! Non basta. Questa volta il disco documenta i soundcheck che precedono i concerti (e che soundcheck !) o l’esecuzione di pezzi minori, dimenticati, poco eseguiti o di cover insolite. Non si può dire che non si sia dato fondo a tutto quello che i tour dell’ebreo canadese potevano offrire, ma la qualità è così alta che ben venga, non c’è proprio da lamentarsi. Il disco è bellissimo (non solo per noi coheniani fissati e strafogati ma, obbiettivamente, per tutti): si comincia con il recupero della ingiustamente trascurata Field Commander Cohen, uno dei miei pezzi preferiti per l’incedere sarcasticamente marziale e per il testo ironico, cinico e romantico, pieno di autocritica e contraddittorio compiacimento: “Il Comandante di campo Cohen era la nostra spia più importante:/ferito sul fronte del dovere/ mentre paracadutava LSD ai cocktail party diplomatici/ o costringeva Fidel Castro ad abbandonare campi e fortezze;/ lascia perdere tutto e, da uomo,/ ritorna a niente di speciale/ come sale d’attesa e file per i biglietti/ suicidi con pallottola d’argento/ e messianiche oceaniche maree/ o sfide razziali alle montagne russe / e altre forme di noia / pubblicizzate come poesia./ So che vorresti dormire ora./ So che la tua vita è stata dura,/ ma molti uomini sono caduti dove avevi promesso di fare la guardia./ Non te l’ho mai chiesto ma ho sentito che hai condiviso la sorte del povero/ ma poi ho origliato la tua preghiera/ che saresti stato nient’altro che questo: /solo il cantante favorito milionario di una donna riconoscente e fedele,/ il santo patrono dell’invidia/ e il droghiere della disperazione/ al soldo del dollaro yankee./ ‘Bevendo rum e coca cola/laggiù a Point Koomahnah / con la mamma e con la figlia/ Al soldo del dollaro yankee’/ So che vorresti dormire ora./ So che la tua vita è stata dura,/ ma molti uomini sono caduti dove avevi promesso di fare la guardia./ Amore, vieni a letto con me,/ se davvero sei il mio amore./ E cerca da principio di essere più dolce possibile / finché non concepirai una sete più profonda;/ poi vai là dove sorgono i sé e l’identità / evocali e radunali/ finchè l’amore sarà trafitto e impiccato / e ogni sapore sarà sulla lingua/ e ogni genere di libertà cancellato,/ allora, oh amore mio, oh amore mio…”/); segue un altro brano valido ma poco ricordato nonostante il titolo (che dà nome al disco) I Can’t Forget con il suo refrain “Non posso dimenticare ma non mi ricordo cosa”; una versione eccelsa dell’eccelsa Light as the Breeze; un omaggio al nativo Quebec con la cover di La Manic, brano di Georges Dor, chansonnier franco-canadese di una certa reputazione anche in Francia ma del tutto ignoto altrove: una bella canzone che Leonard avrebbe voluto tradurre in inglese (ma che esegue in originale), in cui un operaio della grande diga di Manicouagan, deportato come tanti per lavoro nel nord del paese, scrive una lettera d’amore alla donna che forse lo aspetta ancora nella lontana Montreal: “Si tu savais comme on s’ennuie à la Manic/ Tu m’écrirais bien plus souvent à la Manicouagan”, e il pubblico di Quebec City (dove è stato registrato il pezzo) ovviamente va in orgasmo; poi The Night Comes On, canzone fra le più intimiste e private, finora assente da qualsiasi altra raccolta live del cantautore; Never Gave Nobody Trouble, un inedito, adrenalinico blues sulla linea dei molti che ultimamente Leonard ci propone, con voce più nera del nero; una versione bomba (ed era solo un soundcheck…) del classico Joan of Arc; un altro inedito rhythm & blues in stile Tamla Motown, Got a Little Secret; la cover di un classico del country, Choises, di George Jones; e per finire Stages, un estratto da Tower of Song, in versione blues e con un’esilarante introduzione che mostra il talento di Lenny come stand-up comedian: “Parlavamo, coi ragazzi della band delle varie fasi che un uomo attraversa in relazione al proprio potere di attrazione nei riguardi del sesso opposto. Naturalmente non è un rapporto scientifico, solo qualcosa nato intorno ad una tazza di caffè, una cosa del genere: All’inizio sei “irresistibile”; poi diventi “resistibile”; poi diventi “trasparente”, non esattamente invisibile ma come se ti si vedesse attraverso un pezzo di plastica vecchia; subito dopo diventi davvero “invisibile”; poi, e questa è la trasformazione più straordinaria, diventi “ripugnante”; ma non è ancora la fine della storia, dopo che sei stato ripugnante diventi “tenero” (cute), ed ecco dove sono arrivato io…”. Voci di donna in coro si levano a smentire, “I love you, Lenny”, gridano… beato lui !

 

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14) Jozef Van Wissem, It Is Time for You to Return, 2014

Ultimamente non ascolto altro: l’ho scoperto grazie al film di Jarmush e il liutista olandese mi ha catturato completamente. Una musica apparentemente semplice ma terribilmente complessa che nasce alla confluenza di tradizioni e stili musicali e culturali diversissimi: la musica antica, il post-minimalismo, il modern folk – sospeso però in un’estetica doom e black metal; Van Wissem applica alle partiture rinascimentali la tecnica del cut-up affinata da William Burroughs e Brion Gysin e le riscrive trasferendole dal diciassettesimo al ventunesimo secolo e immergendole in un’atmosfera spirituale oscuramente mistica che guarda a Swedenborg, a Jacob Böhme e a San Giovanni della Croce. Molto prolifico ha realizzato decine di dischi e si è impegnato in innumerevoli, feconde collaborazioni solo una delle quali è quella con Jim Jarmush (presente insieme a Yasmine Hamdan, anche in un pezzo di questo suo ultimo lavoro: Invocation of the Spirit Spell che ripropone le atmosfere rarefatte di Only Lovers Left Alive). L’album conta nove pezzi di cui tre per solo liuto, negli altri appare, oltre ai già citati, anche Domingo García-Huidobro, chitarra dei Föllakzoid, insolito gruppo di krautrock e Kosmische Musik non teutonico ma cileno. In alcuni brani Van Wissem perfino canta con voce composta e baritonale: ad esempio in Love Destroys All Evil in cui consegna all’ascoltatore un loop intenso ed evocativo in chiave minore dove scandisce ossessivamente un mantra liberatorio e apotropaico che ripete “Love destroys all evil/And frees us from fear”. Melodie per palati delicati intessute da un compilatore di palindromi musicali.

 

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15) John Carpenter, Lost Themes, 2015

Un caso particolare nelle relazioni fra musica e cinema fantastico è rappresentato da John Carpenter, regista ma anche compositore di buona parte delle musiche dei propri film. La validità dei suoi brani musicali anche ad un ascolto indipendente dalla visione cinematografica è testimoniata da questo recentissimo Lost Themes, ricco di composizioni assolutamente godibili e mai inserite in film realizzati. Il fenomeno Carpenter è atipico ma non è unico, ad esempio David Lynch, dopo aver pubblicato almeno due ottimi pezzi (in cui si esibisce anche come chitarrista e cantante) utilizzati per il film Inland Empire (2006), si è estesamente dedicato alla musica con due cd molto interessanti, Crazy Clown Time (2011) e The Big Dream (2013), il compositore d’elezione per i suoi film, comunque, è stato e resta Angelo Badalamenti; Tornando a Carpenter, il regista si è sempre dichiarato incapace di leggere e scrivere musica ma di cavarsela bene con le tastiere elettroniche e lo ha dimostrato fin dal suo primo film Dark Star (1974) e nel seguente Distretto 13 – Le brigate della morte (1976) di cui realizza per intero la colonna sonora, nel secondo caso ispirandosi – ha confessato – al tema conduttore del film Ispettore Callaghan il caso scorpio è tuo di Don Siegel e alla canzone dei Led Zeppelin Immigrant Song. E’ comunque con Halloween – La notte delle streghe (1978) che l’autore ottiene, oltre il successo del film, l’autonoma persistenza nella memoria e nell’immaginario collettivo del leitmotiv, un pezzo estremamente semplice ed efficace che molto deve sia al vecchio Mike Oldfield dell’introduzione di Tubular Bells (1973), usurpata dal pestifero Pazuzu ne L’esorcista di William Friedkin, che, soprattutto, al gobliniano Profondo Rosso: una melodia di pianoforte, suonata al ritmo di 5/4, che modula su una nota che resta costante. Si resta nelle vicinanze con la soundtrack del film successivo, The Fog (1980), mentre in quello ulteriore, il fantascientifico 1997: Fuga da New York (1981), Carpenter inizia la collaborazione con Alan Howarth: i due stringono da questa pellicola in poi un sodalizio che durerà per molti anni: useranno sempre numerosi Synth (tra i quali l’allora avanguardistico Prophet 5), sovrapponendo sequencer, vocoder e drum machine. Alan Howarth commentò così il loro metodo di lavoro: “Il film viene prima trasferito su di una videocassetta temporizzata e sincronizzata su un registratore audio a 24 tracce; in seguito, mentre guardiamo il film, componiamo la musica confrontandola con le immagini. L’intero processo è veloce e ci mostra all’istante il risultato finale, permettendoci di valutare la colonna sonora in contemporanea al film”. Carpenter invece nei suoi film relativamente più recenti ha leggermente trascurato le tastiere elettroniche per tentare esperimenti diversi: ad esempio in Vampires (1998), ha mescolato assieme i generi horror e western, utilizzando la melodia del “Deguello” (dai classici western Rio Bravo e Alamo), che ispirò anche Morricone per la celeberrima marcia funebre che accompagna l’epico duello di Per un pugno di dollari, sostituendo la tromba con la chitarra spagnola. Purtroppo fermo da qualche anno con il cinema, John Carpenter si dedica oggi continuativamente alla sua seconda passione e commentando i brani raccolti in Lost Themes dichiara: “Il miglior modo per descrivere quello che abbiamo fatto è una serie di sampler per colonne sonore. Sono piccoli attimi di musica per film che abbiamo immaginato. Adesso, noi speriamo che ciò inspiri la gente a creare film che possano usare queste musiche”. Esortazione che qualcuno dovrebbe raccogliere…