di Riccardo Falcetta

HorrorRock.jpgAlessio Lazzati, Eduardo Vitolo, Horror Rock. La musica delle tenebre, ed. Arcana, 2010, pp. 479, € 24,00.

È una passione incomprensibile ai più, eppure bruciante, assoluta quella che nutre i fan del rock a tinte forti, idolo dai mille volti, tenebroso nei suoni e nei nuclei tematici, una musica che può arrivare a fissarsi come un chiodo duro e arrugginito al centro della fronte.
È proprio la tensione totalizzante che scaturisce da certe sonorità estreme, nella forma e nei contenuti, a trasformarle in tendenze, stili di vita sino a farle considerare come “sospette”. Tanto si è detto sul fenomeno del rock estremo e sulla sua presunta pericolosità sociale, qualche volta con cognizione, più spesso con pressapochismo e profusione di pregiudizi favoriti dall’onnipresente soggezione nei confronti di Madre Chiesa: ricordo il famigerato libro “Inchiesta sul rock satanico” dell’oltranzista Carlo Climati, all’epoca rilasciato con tanto di cassetta riportante le registrazioni di presunti messaggi subliminali estratti da dischi di band storiche (Beatles, Led Zeppelin, etc.) al fine di testimoniare una tutt’altro che occulta “simpatia per il diavolo” di tanta musica rock e metal…
I numerosi fan italiani comprenderanno allora l’entusiasmo che mi accompagna nel commentare l’uscita di “Horror rock”, voluminoso feticcio per appassionati e possibile toccasana per torme di denigratori.

Il libro è il resoconto del viaggio di due fan lungo una corrente carsica, non del tutto mappata, che da decenni attraversa le zone impervie e umbratili della cultura pop rock, producendo capolavori, spazzatura, opere complesse, fenomeni mediatici, qualche tragedia e polemiche infinite.
“È solo rock ‘n roll questa ispirata, vituperata, adulata e dannata, seducente e deviante eruzione meta musicale chiamata horror rock?” In prefazione, un inquadramento di rara lucidità prospettica, a firma di Alan D. Altieri, fornisce già una risposta negativa: “L’horror rock è simultaneamente ricettacolo e spettacolo, grafica e lirica, poesia e profezia […]. Oggi, passati esattamente quarant’anni dai suoi esordi, l’horror rock è forse la frontiera definitiva della critica sociale […]. Attingendo dal gotico al thriller, dal metafisico allo splatter, dall’alieno al necrofilo, l’horror rock contemporaneo è in grado di condannare, celebrare un’epoca […] che ogni giorno di più appare come la discesa entropica terminale […].”
Dopo decenni di analisi occasionali, faziose, disinformate e dibattiti con sacerdoti, sociologi e giornalisti in posa confessionale, una presa di coscienza ci arriva da intellettuali. Accanto alle testimonianze dirette di protagonisti della scena (Trevor, singer dei prog deathsters genovesi Sadist, il singolare sacerdote-cantante Fratello Metallo), scrittori come Danilo Arona e Stefano Di Marino, intervengono tra le pagine di “Horror Rock”; c’è persino un’intervista al giornalista Stefano Marzorati, responsabile vent’anni fa, sui primi almanacchi di Dylan Dog, di pionieristiche rubriche sul tema. Dunque, è possibile ancora oggi liquidare tutto un filone musical-culturale come roba tamarra, fuori tempo, criminogena, idonea a ragazzini nerd cerebrolesi, insicuri e sociopatici?
Alessio Lazzati, uno dei due autori spiega: “L’horror in generale è da sempre vittima di preoccupazioni eccessive da parte di una censura bacchettona e arretrata (vedi il caso de “L’Esorcista” di Friedkin). Se poi parli di “horror rock” le cose si fanno ancora più disarmanti: possibile che al giorno d’oggi non si riesca ancora a distinguere la finzione dalla realtà? È possibile poter ritenere nel 2010, che un film o un disco possano essere pericolosi? Noi non ci crediamo e lo abbiamo ampiamente spiegato nel saggio”
Per mezzo di un approccio che, pur non rinunciando alle suggestioni, predilige il distacco del saggio antropologico, il volume raccoglie il meglio di quanto prodotto negli ambiti del rock musicalmente e concet-tualmente più controverso, dalle scene estreme underground e dalla critica di settore, mappando il fitto reticolo di nodi che questo “meta genere” forma con gli aspetti più oscuri della cultura di massa. Il fine è quello di emanciparlo una volta per tutte dalla palude di fraintendimenti e mistificazioni in cui resta impantanato da decenni. Come?
“Abbiamo privilegiato gli aspetti letterari (narrativa e fumetto in primis), le connessioni col cinema e col quotidiano”, suggerisce Eduardo Vitolo, l’altro autore del volume. La trattazione si apre infatti con uno sguardo al fecondo legame che intercorre tra tanto rock e i terrori cosmici concepiti nel secolo scorso dallo scrittore americano H. P. Lovecraft. La musica influenzata dal “solitario di Providence” è ancora oggi un’ondata brulicante e inarrestabile e lo è dalla fine di quei famigerati anni ’60, quando eruppe dall’inconscio collettivo e divenne materia transmediale grazie ad artisti come i Blue Oyster Cult — aver saputo tratteggiare una tra le esperienze discografiche più potenti e impenetrabili della storia del rock, è un merito che vale da sé qualche encomio. Il libro risale oltre, alle origini delle gothic tales anglosassoni, del mito faustiano e di quello vampirico, tornando a Poe e al ‘Frankenstein’, sondandone gli influssi sulla cultura pop rock della contemporaneità, in cui autori seminali (i romanzieri Stephen King e Clive Barker e registi come Bava, Argento, Fulci, Carpenter e Craven) hanno trasferito all’estasi allucinatoria delle loro opere la passione per una musica che rimane forse l’unica forma artistica in grado di far progredire l’anarchia immaginifica e sovversiva della letteratura e del vecchio cinema di genere. Tant’è, e il volume ne da conto, che tutta una genia di scrittori dalla fine degli anni ’70, si (ri)appropria, attraverso lo “splatter punk”, degli estremismi espressionistici e iperrealistici dell’“horror rock” da una parte e del “new horror cinema” americano dall’altra, decretando un continuo interscambio tra media fino a Robert Cunningam, alias Rob Zombie, nella cui personalità di musicista e regista l’insano connubio visual shock/shock rock diviene rappresentazione “incarnata”, definitiva.
La serie di riferimenti incrociati a un retroterra culturale ricchissimo di brani, rock opera, musicisti, artwork, dischi seminali e fuori catalogo, band celebri o dimenticate, pare interminabile. Un sentiero sul quale perdere la bussola non sarebbe stata affatto un’impresa. Invece gli autori se la cavano alla grande, uscendo indenni persino da quei “campi minati” in cui, attraverso il crimine violento, gli assassini seriali, la necrofilia e le fisime per l’occulto, l’horror rock eredita le gesta di personaggi storici come Erzebeth Bathory, Gilles De Rais e Jeff Dahmer, assurgendo a mostra dei fenomeni più controversi della realtà ed esplodendoli nel magma sonico dell’heavy metal, che del rock oscuro rappresenta il volto più aggressivo e socialmente disapprovato. Del metal, la cultura mainstream continua a confondere le band che trattano l’orrore corporeo e quelle di vocazione satanica, letteralizzando i significati, spogliandoli di una malcelata ironia quasi sempre presente, ignorando le differenze sostanziali tra sottogeneri come il death, il grind core e il black metal, che più di altri hanno istigato le furie censorie.
“Chi suona Horror Rock (intendendo questo come rock influenzato da letteratura, fumetti e suggestioni visive “alternative”) nella maggior parte dei casi non ha assolutamente nulla a che fare con la celebrazione del Diavolo in senso religioso e anticristiano. C’è una percentuale minima di musicisti, riscontrabile soprattutto in generi estremi come il black metal o il death metal, che si connota per derive “sataniche”, ma anche lì si dovrebbe valutare caso per caso. Il confine tra convinzione e uso dell’immagine e del simbolismo satanico in chiave “shock” è davvero labile. Il finto fideismo a scopo sensazionalistico è all’ordine del giorno”.
Va detto che i casi di omicidi (il caso Vikernes/Euronymous in Norvegia), suicidi (Dead dei Mayhem e Jon dei Dissection), scomparse, incendi di edifici religiosi, aggressioni omofobe, le provocazioni in odore di nazionalsocialismo (anche da parte di importanti band come gli Slayer), nonché il confuso intruglio ideologico di contemplazione panica, satanismo e atavismi risorgenti che hanno fatto pensiero e cronaca di tanto metal estremo, non hanno certo corroborato una corretta interpretazione del fenomeno, non frenando tuttavia nemmeno la corsa di molte band coinvolte in questi fatti verso i successi planetari. Il meccanismo ai più smaliziati apparirà chiaro: si tratta di generi musicali che un po’ per inclinazione ribellistica, un po’ per sensazionalismo, traggono il proprio fuoco dai tabù, dalle fobie, dal nichilismo sociale e da un’estetica dell’instabilità (corporea, spirituale, psichica, etica, dottrinale): aspetti dell’esistenza che affascinano perchè il “sistema” tende generalmente a non elaborarli, relegandoli ai confini della coscienza collettiva. Quando la musica (arte pervasiva e influente, dato il suo potere di intelligibilità universale) ne diviene ricettacolo, può fare davvero paura, inutile nasconderlo, e continuerà a scatenare vespai, timori e azioni censorie, finendone danneggiata e nutrita al contempo. Emblematico è il caso del libro “Lord of Chaos, the bloody rise of satanic metal underground”, coacervo di saggio e reportage, volto a indagare l’origine della violenza scatenatasi negli ambienti del black metal nordeuropeo, durante i primi anni ’90. Pubblicato oltre un decennio fa, il volume di Didrik Soderlind e Michael Mohynian, continua a infiammare polemiche e dibattiti nei circoli di musicisti e tra gli appassionati, e nonostante questo, a tutt’oggi, è tradotto e ristampato ovunque — da qualche mese anche in traduzione italiana.
È nella natura delle cose liminari, che forse, come suggerisce Altieri, restano quelle più adatte a descrivere un mondo e un epoca come questi.
“Horror Rock” non è un lavoro enciclopedico e definitivo sull’argomento ma è certamente quel saggio di so-lido rigore documentario e interpretativo che mancava a un intero settore, da sempre disconosciuto dall’establishment, per riappropriarsi di tutto il suo peso culturale. Con buon tormento di tanti, troppi codini le cui certezze continueranno a crollare sotto i colpi inferti dalla musica contemporanea più amata e più odiata. La più inquietante, dinamica e problematica che esista.