di Daniela Bandini

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Gordiano Lupi, Serial killer italiani. Cento anni di casi agghiaccianti da Vincenzo Verzeni a Donato Bilancia, Editoriale Olimpia, 2005, pp. 298, € 16,50.

Nell’ordinanza di tre pagine dei Giudici del Tribunale di Sorveglianza di Palermo si legge, a proposito di Angelo Izzo: “Bisogna preservare il condannato dai rischi di una prolungata segregazione”. Dalla relazione dello psicologo che lo ha in cura: “Oggi egli (Angelo Izzo) chiede fiducioso la riammissione al regime dei permessi premiali, consapevole di essere un individuo ormai completamente rinnovato e, in aggiunta, animato da una costruttiva volontà realizzativa pensando al suo futuro. Mi ha detto che avverte con acutezza il bisogno di verificare il rapporto che intrattiene con la sua fidanzata in ambiente extracarcerario ed è suo desiderio tornare ad allacciare i legami con il mondo esterno e in generale con i propri familiari…” Se i Giudici del Tribunale di Sorveglianza di Palermo e lo stesso psicologo avessero letto il libro di Gordiano Lupi sui serial killer, probabilmente avrebbero fatto un’altra scelta.

Un caso, analogo, e passiamo al libro di Lupi. Maurizio Minghella, classe 1958, nasce a Genova, violento e ritenuto minus habilis, pugile dilettante, frequenta l’obitorio, vuole vedere i cadaveri e assistere alla disperazione dei familiari. “I delitti di Minghella si concentrano tutti tra il 9 e il 3 dicembre del 1988: colpisce perché è uno psicopatico sessuale, giudicato del tutto incapace di intendere e di volere… Abborda le giovani donne, le convince a salire in auto, le conduce in un ambiente isolato, le picchia, le violenta, e infine le uccide compiendo atti di necrofilia sui corpi… Prostitute, commesse, donne che si trovano a passare per caso, la professione non è importante, quello che conta è la presenza del periodo mestruale… Al momento dell’arresto è condannato all’ergastolo”. Continua Lupi: “ La nostra legislazione permette la possibilità di reinserimento… Minghella è psicopatico ma non completamente stupido e come tutti i serial killer cerca di comportarsi bene per poter uscire di galera. Nel 1996 lavora come falegname e trova pure una compagna che nel 1998 di darà un figlio. In ogni caso quando è fuori dal carcere ha il tempo per rapinare e violentare una prostituta, quindi è nuovamente recluso . Nel 2001 gli investigatori si rendono conto che, Minghella, quando è a lavorare fuori dal carcere ha fatto ben di peggio che rapinare prostitute. Nel periodo 1996-2001, infatti, risultano una serie di omicidi insoluti ai danni di prostitute e per tre di essi il colpevole sembra proprio lui. Tant’è che gli sono stati comminati altri due ergastoli”.
Né Lupi né io, credo, siamo qui ad invocare l’ergastolo “comunque”, ma molti, troppi precedenti, ci inducono a trattare questa categoria psicologica seriale, se vogliamo quasi stereotipata, con estrema attenzione. Il grande lavoro di Lupi sta proprio in questo: riuscire a ripercorrere la metodica dei trascorsi psicologici di questi personaggi, e verificarne lo stesso imprinting, le stesse umiliazioni subite, le stesse deprivazioni culturali ed affettive, lo stesso indissolubile dolore, la stessa sessualità manipolata e deviata, la stessa matrice. Qualche esempio, tratto da libro. Vincenzo Verzeni, il primo serial killer italiano definito tale , colpisce dal 1870 al 1874 nel bergamasco. Un padre quasi sempre ubriaco che lo picchia per nulla, una madre remissiva e succube. La sua famiglia è povera e soprattutto avara in modo patologico, al punto di vietare ogni tipo di relazione sentimentale a Vincenzo per timore di dovere affrontare le spese di un futuro matrimonio… Due omicidi, vittime due ragazzine, strangolate, mutilate, le membra devastate, gli arti fatti a pezzi, compie atti di vampirismo sui corpi. L’imputato afferma: “Io ho veramente ucciso quelle donne e ho tentato di strangolarne altre perché provavo in quell’atto un estremo piacere. Le graffiature che si trovano sui corpi non erano prodotte con le unghie ma con i denti, perché io, dopo strozzate le mordevo e ne succhiavo il sangue che era colato, cosa che mi faceva godere tantissimo…”
Callisto Grandi è un toscano, uccide quattro bambini tra il 1873 e il 1875, tozzo e sgraziato, viene chiamato “orango tango” per la sue sproporzioni fisiche, che lo fanno assomigliare a uno scimmione ritardato Dichiarerà: “Mi canzonavano, mi prendevano a burla, mi dileggiavano, mi dicevano pelato, ventundito, perché ho un piede con sei dita, e mi dicevano guercio, nano, e mi facevano il capo grosso, e quando venivano in bottega mi facevano sempre qualche birichinata…” Un caso più recente. Giulio Collalto, classe 1953, abbandonato dalla madre, finirà in un istituto, famoso per le sevizie sui bambini. “Giulio passa undici anni di inferno, dove una direttrice sadica lo costringe a mettere il viso nei propri escrementi, lo fa legare ai termosifoni, lo incatena al letto e lo ammanetta per farlo stare fermo. Le percosse col bastone sono all’ordine del giorno e restano indelebili su un corpo che anche da adulto mostra ferite alle braccia e al collo”. Giulio Collalto riuscirà a instaurare un legame affettivo solo con dei bambini, ma in modo morboso, e sfocerà nell’omicidio e nella violenza sessuale su due piccoli.
Il trauma, è questa la caratteristica comune, il minimo comune denominatore che caratterizza queste personalità per così dire interrotte nel loro armonico sviluppo psico-fisico. Altri casi, eclatanti, che non riguardano serial killer italiani, tutti caratterizzati dal travestimento forzato, in grado di fare scoppiare una autentica bomba nell’adolescenza se subita durante il delicato sviluppo infantile: “Lo zio folle di Charles Manson lo mandava a scuola con abiti femminili perché riteneva che quella cosa assurda gli avrebbe insegnato ad essere uomo. La madre di Hanry Lucas invece gli faceva indossare gonna e riccioli finti come forma di punizione e poi lo spediva a scuola. Ottis Toole che una sorella maggiore vestiva con sottane e merletti quasi fosse la sua bambola vivente. Carrol Cole veniva costretto a vestirsi da donna e servire il caffè alle amiche di sua madre. La mamma folle di Gordon Northcott ha vestito il figlio da bambina fino all’età di sedici anni. Rodney Beel pare che sia diventato uno stupratore proprio perché la matrigna lo vestita da bambina per punirlo delle sue malefatte”.
Lupi analizza i casi di Unabomber, Ludwig, la Uno Bianca, il Mostro di Firenze. Ho dedicato pochissimo spazio alla descrizione del libro, che parla da sé. Leggerlo è senz’altro la cosa migliore da fare, se vogliamo capire con lucidità e un poco di compassione la tragedia di queste vite che hanno fatto del loro vissuto la tragedia delle loro vittime.

[Nel raccomandare a mia volta questo saggio, di gran lunga superiore a tutti quelli finora scritti sullo stesso tema, voglio segnalare un’altra bella iniziativa di Gordiano Lupi: la creazione, presso la casa editrice Il Foglio da lui diretta, di un’importante collezione di letteratura cubana contemporanea. Primo titolo, Vita da jinetera, di Alejandro Torreguitart Ruiz. Altri testi di pari valore sono annunciati sul sito de Il Foglio.] (V.E.)