di Fabrizio Lorusso

Collagejuarez.jpg Con una storica e attesa sentenza, l’11 dicembre scorso, la Corte Interamericana dei Diritti Umani, composta da sei magistrati e inserita nel sistema dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), ha condannato lo Stato messicano per avere violato il diritto alla vita, all’integrità fisica e alla libertà personale dato che non ha indagato adeguatamente e ha discriminato i diritti di 3 vittime d’omicidio, Esmeralda Herrera, 15 anni all’epoca dell’assassinio, Claudia Gonzalez, di 20, e Berenice Ramos di 17, e dei loro familiari. Seguendo questa linea la Corte ha emesso il 16 dicembre un’altra sentenza emblematica relativa ai crimini statali commessi durante la guerra sucia degli anni settanta contro la popolazione civile di molte zone del paese. Ecco un’analisi dei due casi.

La sentenza dell’11 dicembre è inappellabile e riguarda appunto i casi citati di “femminicidio” che risalgono al novembre del 2001 quando insieme alle tre vittime furono ritrovati altri 5 corpi nel terreno conosciuto come “campo algodonero” (campo di cotone). Si tratta di una tipologia di violenza molto comune nel nord del Messico e lungo la frontiera con gli USA per cui vengono violentate, sequestrate e uccise prevalentemente donne giovani in età lavorativa o anche adolescenti. Si può trovare il testo integrale della sentenza alla pagina www.corteidh.or.cr.
Cos’è il feminicidio? Il sito molto attivo dedicato alle questioni di genere http://www.nosotrasenred.org/index.html lo definisce come un neologismo che si riferisce agli assassinii contro le donne a causa del loro genere, una sorta di genocidio ai danni delle donne quindi distinto dal termine omicidio per esigenze politiche, linguistiche e sociali di differenziazione. Viene dalla traduzione dei vocaboli inglesi feminicide o gendercide, introdotti da Jill Radford e Diana Russell con il libro Femicide: The Politics of Woman Killing, del 1992, così come da Mary Anne Warren nel 1985 con il suo libro Gendercide: The Implications of Sex Selection. A Ciudad Juarez, città con oltre un milione di abitanti che è anche uno dei comuni più violenti di tutto il paese, sono oltre 600 le donne uccise dalla metà degli anni novanta ad oggi e l’impunità regna sovrana in quasi tutti questi casi. La sentenza della Corte arriva quindi dopo molti anni a sanzionare un comportamento complice dello Stato messicano e in particolare dell’autorità locale dello Stato di Chihuahua e dei vari governatori che lo hanno retto negli ultimi 15 anni.
L’atteggiamento lassista nei confronti dei crimini contro le donne (ricordiamo che fino a qualche anno fa, e probabilmente ancora oggi, l’uomo accusato di stupro godeva di generose attenuanti se la vittima portava i jeans o se camminava da sola per la strada con atteggiamento equivoco o in minigonna, eccetera) e la connivenza delle autorità con il narcotraffico costituiscono forse i fattori principali che alimentano la spirale di violenza in certe zone calde del Messico.
Infatti i problemi della più lunga frontiera del mondo tra un paese in via di sviluppo con 110 milioni di abitanti e circa 60 milioni di poveri, il Messico, e il mercato più ricco e grande del mondo rappresentato dagli Stati Uniti si fondono in queste zone con quelli causati dalla delinquenza organizzata che traffica droga, persone e merci contraffatte ed è in guerra con uno Stato messicano debole e corrotto che per combattere ha deciso di impiegare massicciamente l’esercito e la polizia, la retorica e la paura, anziché puntare su strumenti più lungimiranti come lo sviluppo economico e del lavoro, i programmi sociali, il rispetto delle garanzie e lo stato di diritto, la cultura della legalità e le politiche di contenimento o di liberalizzazione della domanda e dell’offerta nazionale ed estera di stupefacenti.
Nel caso del “campo algodonero” sono state riscontrate gravi irregolarità nelle fasi preliminari delle indagini così come nelle successive per cui lo Stato messicano e il potere giudiziario devono farsi responsabili dell’impunità di cui godono i colpevoli e vengono condannati a continuare con le ricerche e risarcire i parenti delle vittime economicamente con ingenti somme di denaro e moralmente con cerimonie pubbliche e la costruzione di monumenti per le vittime. Mapitomexico.jpg
La sentenza risulta importante chiaramente non solo per il caso specifico quanto perché stabilisce un precedente autorevole ed evidenzia le colpe dello Stato e indirettamente del sistema politico a vari livelli per quanto riguarda il perpetuarsi dei crimini e della violenza contro centinaia di donne. Già nel 2003 si parlava infatti di oltre 300 assassinii comprovati e 500 sparizioni per motivi di genere dato che interessavano donne: le cifre sono praticamente raddoppiate in questi ultimi anni. Le ipotesi avanzate dalla stampa nei primi anni circa la presenza di un “mostro di Juarez” o di un serial killer non hanno retto nonostante gli sforzi dei media e del governo di far passare questa strage silenziosa come un fatto di cronaca che sarebbe durato poco. Spesso le vittime della delinquenza si ritrovano quasi sotto accusa o si sentono rispondere con estrema e crudele sufficienza dato che le autorità statali propiziano la criminalizzazione della denuncia e del dissenso civile attraverso un mix esplosivo di inazione, corruzione e indifferenza che porta intere famiglie alla disperazione o, nel migliore dei casi, a saltare le istituzioni locali o nazionali per rivolgersi a istanze superiori.
Le omissioni e l’omertà delle autorità vengono quindi oggi sanzionate internazionalmente mentre lo stesso governo nazionale non ha saputo giudicarsi o riformarsi adeguatamente. La cultura retrograda e maschilista di alcune zone del paese, la violenza diffusa in certi contesti sociali e regionali, la presenza dei cartelli del narcotraffico e delle tensioni tipiche del confine con gli USA, la connivenza delle autorità politiche con gli stessi cartelli e con le bande di delinquenti che lo tengono come alleato in scacco, la corruzione delle forze dell’ordine e le crescenti possibilità di lavoro e autosufficienza delle donne impiegate nella fabbriche maquiladoras che ne fanno delle “ragazze emancipate” sono alcuni elementi che chiariscono il fosco e adulterato panorama dipinto in questi anni dalla propaganda ufficiale. Consiglio al riguardo la visione del documentario Preguntas sin respuestas di Rafael Montero
(http://www.imcine.gob.mx/DIVULGACION/CIRCUITOS/HTML/LARGOS/05/pdf/Preguntas_sin_respuesta.pdf e http://noticias.kinoki.org/el-documental-preguntas-sin-respuestas-los-asesinatos-y-desapariciones-de-ciudad-jurez-estar-acabado-para-finales-de-ao/ ).
A partire da questa sentenza il problema principale starà nella storica inerzia istituzionale e l’apatia delle autorità per realizzare quanto viene loro imposto. Il Ministero degli Interni messicano ha sottolineato come molte della azioni stabilite dalla sentenza della Corte siano già state implementate e ha affermato semplicemente che “studierà attentamente la sentenza e farà gli sforzi necessari per il suo adempimento”. La freddezza della dichiarazione supera solamente la sua brevità. Un altro elemento negativo per le famiglie interessate direttamente dal provvedi mento della Corte Interamericana è la recente nomina a Procuratore Generale della Repubblica di Arturo Chavez che ha sostituito il celebre e discusso Medina Mora, ora ambasciatore a Londra, e che è stato procuratore proprio nello Stato di Ciudad Juarez, il Chihuahua, tra il 1996 e il 1998, anni non esattamente propizi e positivi per quel che riguarda i feminicidios e l’applicazione della legge, anzi sembra che l’ex procuratore di quella regione sia stato più volte segnalato tra i funzionari poco trasparenti e che ostruivano le indagini su questi crimini.
Quindi le organizzazioni che sostengono e portano avanti il caso del “campo algodonero”, come la CEDIMAC (Centro per lo Sviluppo Integrale della Donna), stanno progettando di integrare l’anno prossimo un comitato di esperti messicani e stranieri che possano supervisionare le condizioni e i progressi per l’adempimento da parte dello Stato messicano alla sentenza della Corte Interamericana la quale, da parte sua, comincerà un processo di controllo simile. La sentenza dovrebbe quindi servire, nelle speranze degli attori sociali coinvolti e dei familiari, a migliorare la trasparenza di tutto l’apparato di amministrazione della giustizia ed anche a spingere sempre più famiglie e organizzazioni a presentare il conto allo Stato per le sue incapacità strutturali.

Proprio in questi giorni, dopo 35 anni di attesa, è stata fatta giustizia anche nei confronti dei familiari e della memoria di un noto attivista, il professor Rosendo Radilla Pacheco, compositore di numerose canzoni dette corridos in onore di Lucio Cabañas, il più importante e leggendario guerrigliero degli anni 70 nella regione di Atoyac, Stato di Guerrero, a cento chilometri da Acapulco. La Corte Interamericana ha condannato il Messico della sparizione forzata (desaparicion) del maestro Rosendo Radilla che veniva accusato di sostenere il movimento di ribellione popolare capeggiato da Cabañas. La soppressione dell’attivismo politico o semplicemente delle basi di appoggio passive nelle “zone calde” passava attraverso la cosiddetta guerra sucia o guerra sporca dello Stato messicano contro i “residui” e i movimenti generatisi dopo la tragica repressione del 2 ottobre 1968. In quella data, poco prima delle Olimpiadi messicane, l’esercito uccise oltre 300 manifestanti stipati nella centrale Piazza di Tlatelolco a Città del Messico durante un’operazione repressiva pianificata dalle alte sfere governative che aveva la funzione di sopprimere la protesta studentesca e operaia in favore della democratizzazione del sistema politico egemonico retto dal partito unico PRI (Partido Revolucionario Institucional) e maggiori diritti sociali.
Anche qui l’importanza della decisione trascende il singolo caso. Infatti la Corte ha riconosciuto chiaramente il drammatico contesto storico dei crimini di lesa umanità degli settanta in Messico grazie alle sue ricerche che, tra varie fonti, ha fatto ampio uso di in un rapporto poco conosciuto e venuto alla luce qualche anno fa grazie ai lavori di una commissione speciale (FEMOSPP, Fiscalia Especial para Movimientos Sociales y Politicos del Pasado) istitutita dal presidente Vicente Fox che si occupava di studiare i crimini statali del passato (a questo link il rapporto: http://www.gwu.edu/~nsarchiv/NSAEBB/NSAEBB180/index.htm). Nulla successe in seguito alla pubblicazione di questo rapporto nel 2006 e quindi la decisione della Corte viene a rompere il silenzio su una serie di crimini che l’opinione pubblica messicana (e italiana?) tendono a dimenticare e ad associare a realtà più lontane e meridionali come l’Argentina, il Cile o il Brasile.
Il Ministero degli Interni ha replicato che la sentenza inappellabile della Corte sarà rispettata dati gli impegni internazionali sottoscritti dal paese e l’obbligatorietà giuridica e quindi si prevede il pagamento di 238mila dollari come risarcimento ai familiari della vittima oltre all’implementazione di un’indagine adeguata sul caso Radilla Pacheco e l’aggiornamento del quadro legale nazionale in tema di risarcimento e riparazione del danno da parte dello Stato. Inizialmente durante le fasi di elaborazione della sentenza la posizione ufficiale del ministero considerava eccessivo che si indagassero crimini risalenti a un’epoca così diversa e lontana. Invece bisogna sottolineare come l’impunità strutturale nel paese resti comunque un problema diffuso e importante che in un certo senso continua ad accomunare il Messico di oggi a quello di ieri nonostante gli sforzi del discorso ufficiale cerchino di costruire un’immagine ideale di ordine, trasparenza e legalità che raffiguri un Messico profondamente diverso da quello di 30 o 40 anni fa. Siamo appena a metà strada.

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