1981: l’arresto collettivo dei familiari di Cesare Battisti

A cura di Francesca e Stefania Battisti

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MOIRA BATTISTI

Siamo venuti a conoscenza dell’evasione da una pattuglia di carabinieri, venuti a casa nostra nel pomeriggio a portarci la notizia. La sera, verso le 22, si sono presentate di nuovo le pattuglie dei carabinieri per prelevare mia madre Assunta e mia zia Rita, col pretesto di interrogarle sui fatti. Mio padre le ha seguite, mentre io sono andata a dormire a casa di zia, visto che aveva due bambini piccoli. Ero frastornata e spaventata.


Io, a quell’epoca, avevo 14 anni e mi sono ritrovata all’improvviso sola, con una casa sulle spalle, i bambini di zia Rita da accudire, mio padre che non sapeva come gestire la situazione, tipo sentire e pagare gli avvocati e gestire il budget familiare.
In tutti i giornali e le televisioni, l’evasione e gli arresti erano sempre in prima pagina, tanto che si faceva fatica a uscire per non sentire su di sé gli sguardi compassionevoli o severi che ti venivano puntati addosso. Gli amici si allontanarono tutti, chi per paura di essere fermato e perquisito, come successe a qualcuno più audace, chi per vigliaccheria.
Mia nonna era piantonata al Gemelli, in gravissime condizioni per l’ennesima operazione subita, e a sua insaputa veniva piantonata dai carabinieri che avevano la speranza che Cesare andasse a trovarla. Mio nonno, malato di tumore, era rimasto a casa, disperato per la situazione.
Da parte mia ero esasperata e stanca dalle quotidiane perquisizioni in casa, dove non facevano altro che rovesciare i cassetti e rovistare negli armadi, e dal fatto che ogni notte mi trascinavano in caserma. Qui mi interrogavano, minacciando di portarmi in carcere con l’accusa di reticenza, o cercavano di ingannarmi mostrandomi falsi interrogatori di mia madre, che mi accusava di conoscere notizie relative all’evasione. Il tutto senza la presenza di un avvocato.
Ricordo che una sera i carabinieri si sono presentati a casa mia e mi hanno prelevata. A bordo di una volante, mi hanno condotta alla caserma di Frosinone. Durante il tragitto mi incutevano terrore, dicendo che questa volta non l’avrei passata liscia, visto che a interrogarmi sarebbe stato il procuratore Paolino Dell’Anno in persona. Anche questa volta tutto si svolgeva senza la presenza dell’avvocato. Arrivati in prossimità del paese, si sono aggiunte altre quattro volanti, e io per la vergogna mi sono sdraiata sul sedile.
Ho subito fortissimi shock da parte dei carabinieri, perché non bastava che avessi mia madre detenuta: dovevo sopportare anche le aggressioni verbali che rivolgevano a mio padre, insultandolo in tutti i modi. Questa è la storia che ho vissuto, e che mi ha lasciato dentro una ferita che porterò per sempre.
Di quell’esperienza mi è rimasto il terrore nel vedere una divisa, e la delusione verso chi avrebbe dovuto difenderci e invece ci trattò come delinquenti pericolosi, non meritevoli di nessuna comprensione a messi alla berlina davanti a tutti. Questa situazione non posso considerarla superata, malgrado i miei sforzi, visto che i mass media continuano a seminare odio e diffamazione.

(CONTINUA. Prossima testimonianza: Domenico e Ivea Battisti)