di Paolo Lago e Gioacchino Toni

La serie televisiva cilena 42 giorni nell’oscurità (42 días en la oscuridad, 2022 – Netflix), diretta da Claudia Huaiquimilla e Gaspar Antillo, è stata ideata dal giornalista Rodrigo Fluxá derivandola dal suo libro Usted sabe quién: Notas sobre el homicidio de Viviana Haeger del 2019 incentrato sulla vicenda realmente accaduta di Viviana Haeger Massé, una donna scomparsa nel 2010 a Puerto Varas, nel Cile del sud, rinvenuta cadavere 42 giorni dopo. Derubricato per diversi anni come suicidio, il caso è stato più volte riaperto alla ricerca di un colpevole della morte della donna.

Disponendo di tutti gli elementi utili a suscitare l’interesse dei media e della società cilena, la vicenda è stata trasposta in serie televisiva nonostante la contrarietà delle figlie della vittima stanche di vedere la tragedia famigliare sotto i riflettori cosa che, paradossalmente, non manca di denunciare la stessa fiction palesandolo esplicitamente in una sequenza dell’ultima puntata in cui i personaggi delle due sorelle, rivolti ai giornalisti che stazionano sotto casa, scostano la tenda con cui tentano di mantenere un minimo di privacy, espongono dalla finestra un cartello recante la sintetica ma efficace scritta “+ noticias – morbo”, prontamente ripreso dagli obiettivi dei cronisti.

Come in altri casi di crimini che impattano sull’opinione pubblica e che finiscono al centro dell’interesse mediatico, in un meccanismo di reciproco rafforzamento, la stessa fiction che ne deriva mostra tutte le sue contraddizioni nel proporsi da un lato di dar voce a legittimi desideri di verità e giustizia, denunciando le miopie investigative e quanto, al di là del caso specifico, siano diffusi certi tipi di reato e le mentalità da cui derivano, non mancando di condannare la morbosità con cui la gente e i media guarda a questi casi, mentre dall’altro la stessa fiction non è esente dalla morbosità voyeuristica che denuncia.

Risulta davvero un cortocircuito potente quello che deriva dalla sequenza citata di una fiction realizzata a dispetto della contrarietà dalle figlie della vittima, in cui i personaggi che le impersonano espongono un cartello che invita i media a preoccuparsi di fare informazione anziché foraggiare morbosità all’indirizzo dell’obbiettivo dei cronisti e dello spettacolo mediatico. Un cortocircuito di contraddizioni che coinvolge gli stessi spettatori che tentano di controbilanciare la dose di morboso voyeurismo che sentono di avere e di cui, forse, provano qualche imbarazzo, con la necessità di ovviare all’oscurità che rischia di calare su certi crimini accendendo su di essi i riflettori dello spettacolo.

Ambientata nell’esclusivo quartiere residenziale immerso nella natura di Altos del Lago, a Puerto Varas in Cile, la vicenda narrata dalla serie televisiva racconta del ritrovamento, a 42 giorni di distanza dalla scomparsa denunciata alla polizia, del cadavere di Veronica Montes (Aline Kuppenheim), moglie dell’ingegnere Mario Medina (Daniel Alcaino) con cui ha due figlie: la quattordicenne Karen (Julia Lubbert) e la piccola Emilia (Monserrat Lirat) di otto anni.

Una volta che il marito ha denunciato la scomparsa di Veronica, alle indagini della polizia condotte in maniera approssimativa da agenti del tutto impreparati ad affrontare un caso di tal genere, finiscono per affiancarsi – per conto della sorella della donna scomparsa, Cecilia (Claudia Di Girolamo), e del marito di quest’ultima, Arturo (Daniel Munoz) –, le indagini condotte dallo squattrinato e dimesso avvocato Victor Pizarro (Pablo Macaya) coadiuvato dai suoi collaboratori Nora Figueroa (Amparo Noguera) e Braulio Sanchez (Nestor Cantillana).

Il personaggio dell’avvocato Victor rappresenta una variante particolare della figura dell’indagatore ombroso e solitario (lo vediamo spesso con la sigaretta in bocca in atteggiamenti alla Humphrey Bogart) che si ritrova in tanta fiction intento a combattere caparbiamente la sua battaglia per risolvere i casi confrontandosi con la miopia e il disinteresse delle autorità. Padre separato dell’adolescente Joaquin (Ivan Caceres), con cui fatica a mantenere gli impegni, al pari di tanti suoi omologhi che si incontrano nelle narrazioni crime, Victor paga con la compromissione dei legami famigliari il suo farsi assorbire dai casi di cui si occupa.

In questa serie viene messo in rilievo come il protagonista, prima ancora che da ragioni etiche o di prestigio professionale, sia mosso dalla necessità economica di accaparrarsi clienti, anche a costo di promettere loro ciò che potrebbe non essere in grado di mantenere. È un’urgenza di ordine economico quella che conduce Victor a proporsi alla sorella della donna scomparsa per indagare sull’accaduto. A riprova delle difficoltà economiche in cui versa, non disponendo di uno studio personale, l’avvocato è costretto a riunirsi con Nora e Braulio, suoi amici e collaboratori di vecchia data che lo aiutano nelle indagini, al tavolino di una locanda popolare.

La differenza di status sociale tra l’universo in cui vivono la loro quotidianità Victor e i suoi collaboratori e quello della famiglia da cui è scomparsa la donna è evidenziata anche dalle differenti ambientazioni: l’affollato quartiere urbano, con i suoi modesti appartamenti, le sue caotiche stradine disseminate di bancarelle e taverne popolari, da una parte e, dall’altra, l’esclusivo e tranquillo quartiere di Altos del Lago, immerso nel verde, contraddistinto da abitazioni spaziose e ben distinte le une dalle altre.

In 42 giorni nell’oscurità, la natura viene mostrata non solo per l’aspetto paradisiaco che accoglie i facoltosi abitanti di Altos del Lago come in una cartolina, ma anche per il suo lato selvaggio, fatto di freddo e umidità, di piogge incessanti, di monti scoscesi all’orizzonte tra cui svetta il profilo di un poderoso quanto minaccioso vulcano, di oscure ed infinite foreste tagliate da interminabili strade ondulate.

L’ambiente che circonda la vicenda appare rivestito di connotazioni inquietanti e quasi spettrali: quella natura fredda e umida, quei boschi e quelle foreste appaiono quasi come degli enormi fantasmi che potrebbero aver essi stessi celato il “desaparecido” corpo di Veronica. Il bosco e le foreste sono tetri spazi nei quali ci si può irrimediabilmente perdere – simili, in questo, a quelli che vediamo nella serie danese L’uomo delle castagne (Kastanjemanden, 2021 – Netflix) diretta da Kasper Barfoed e Mikkel Serup e nella serie polacca Pantano (Rojst, dal 2018 – Netflix) diretta da Jan Holoubek – che possono essi stessi risucchiare le persone nelle loro terribili viscere. Sono luoghi semisconosciuti nei quali, forse, soltanto un cane addestrato (come vediamo nella serie) potrebbe riuscire a fiutare la pista giusta.

Avvolgente e inquietante appare anche la distesa lacustre ma essa assume delle connotazioni dal carattere regressivo e ‘amniotico’: come un oscuro liquido prenatale, il lago sembra richiamare a sé Cecilia e Karen nel momento in cui le vediamo entrare e successivamente camminare nell’acqua. La distesa d’acqua si associa anche al ricordo di Veronica: nelle sequenze della memoria, Veronica si trova spesso a passeggiare insieme alle figlie e al marito sulla riva. In questi momenti sembra che ci sia un baratro quasi insormontabile fra lei e il marito: infatti, se la vediamo sempre insieme alle due bambine, il marito compare perennemente distaccato da loro, lontano o sullo sfondo e sembra muoversi come un essere meccanico, come un lugubre pupazzo non dotato di volontà propria.

Il ritmo lento e dolente con cui procede la narrazione è accompagnato dalle sonorità e dalle parole di Que entre el frío (2017) di Niña Tormenta – Me quiero congelar / Dejar de sentir / Si no puedo sentir todo / Y que entre el frío / Por la ventana / Me quiero congelar / Y no sentir nada – che contribuiscono a rafforzare la sensazione di dimessa e rassegnata sospensione che contraddistingue una vicenda che sembra destinata a non trovare soluzione definitiva, dunque a prolungare nei famigliari un dolore impossibile da metabolizzare.

La figura e il corpo di Veronica, per tutta la durata della vicenda, sono relegati nell’oscurità; la giovane donna appare sempre fuori scena, dichiarata “desaparecida”, scomparsa, termine che in Cile, come in altri paesi dell’America latina, richiama alla memoria la tragedia dei desaparecidos, quei dissidenti fatti letteralmente ‘sparire’ dopo essere stati torturati e uccisi sotto l’egida di un terribile potere dittatoriale. Per certi versi è come se quel potere dittatoriale non fosse mai morto, continuando a sopravvivere nell’indifferenza, nel maschilismo imperante, nel patriarcato e nell’alone di subalternità a cui, nonostante tutto, appare ancora legata la figura della donna nell’epoca di internet (la vicenda inizia nel 2010 e si trascina lungo tutto il decennio).

Come detto, il cadavere viene trovato in casa. Nei 42 giorni di sparizione la donna non ha mai abbandonato la propria dimora; è come se ne fosse stata inghiottita, vittima di un orrore domestico che non manca di rinviare alla subalternità impostale dalla cultura patriarcale del marito, una cultura che gli concede ogni diritto sulla donna, persino quello nasconderla al mondo e di darle la morte. Come nella realtà quotidiana, in molte opere di crime fiction la mostruosità si annida tra le mura di casa; il calore promesso dalla dimora famigliare in contrapposizione al freddo mondo esterno non si rivela tale, anziché un rifugio in cui sottrarsi dalle brutture del mondo esterno, quello domestico può rivelarsi uno spazio di prigionia, fin anche di morte e sepoltura.

Siamo in un paese dell’America latina in cui, come del resto anche in Italia, il potere patriarcale risulta ancora molto influente; non sapremo mai con certezza se il colpevole dell’omicidio di Veronica è il marito ma, fra le righe, la serie televisiva suggerisce come le donne siano vittime di un greve ed oscuro potere diffuso che le relega in secondo piano, che letteralmente le nasconde, le fa ‘sparire’, Veronica è “desaparecida” ma risulta viva e attiva nella memoria e nel ricordo. È soprattutto un’altra giovane donna, la figlia Karen a ricordarla: i momenti passati insieme sono ancora vividi nel ricordo e spesso le sequenze in cui vediamo Veronica vivere e parlare si intervallano alla vicenda principale in cui è ormai assente.

La donna è una vittima destinata a sparire, ad essere fagocitata nell’indifferenza: non esposta in una teca di vetro come nella serie svedese Glaskupan (2025) diretta da Lisa Farzaneh ed Henrik Björn o appesa morta e mutilata in boschi e parchi autunnali come nella serie danese citata L’uomo delle castagne, ma sepolta nell’oscurità e occultata, letteralmente “desaparecida” all’intero della dimora in cui viveva. Ci può venire in mente il personaggio femminile rapito e rinchiuso nella camera iperbarica protagonista di un vecchio caso irrisolto nella serie britannica Dept. Q – Sezione casi irrisolti (Dept. Q, 2025 – Netflix) diretta da Scott Frank e Elisa Amoruso. Dopotutto anche l’avvocato Victor Pizzarro si occupa di “casi irrisolti”: intende infatti continuare ostinatamente le indagini archiviate dalla polizia come un suicidio di cui nessuno è responsabile. Il termine “suicidio” suona indubbiamente più tranquillizzante rispetto a “femminicidio”, un delitto che, come ricorda una didascalia alla fine della serie, continua ad essere molto ‘praticato’ in Cile, come, del resto, in Italia.

42 giorni nell’oscurità si conclude in modo affascinante su una situazione sospesa, su una frase non detta, su una sparizione della verità, molto più realistica di altri più ‘risolutivi’ finali più o meno ‘felici’. La verità rimane essa stessa rinchiusa nell’oscurità, come il povero corpo di Veronica: e su questa oscurità la vicenda si chiude, con un greve dolore forse anche catartico. La stessa verità è un fantasma, pesante e umido come la natura, silenzioso come i boschi, il lago, come il poderoso vulcano innevato che, meditabondo gigante, ha osservato in silenzio l’intera vicenda. Qualsiasi situazione risolutiva è “desaparecida”, nell’oscura e invisibile dittatura che ancora governa in modo implacabile le coscienze e la luce dei riflettori dei media non può che restare restare sospesa tra denuncia e spettacolarizzazione.