di Paolo Lago
Daniele Comberiati, Eugenio Barzaghi, L’uomo dall’altro mondo. Fantascienza di un’Italia [im]possibile, Machina Libro / DeriveApprodi, Bologna, 2025, pp. 96, euro 12,00.
Immaginiamo un’Italia appartenente ad una dimensione alternativa, in cui negli anni Sessanta avviene un colpo di Stato militare; d’altra parte, se guardiamo alla storia di quegli anni (con il Piano Solo del 1964 e il tentativo del golpe Borghese del 1970), era ciò che sarebbe anche potuto succedere. Siamo quindi proiettati in una vera e propria ucronia, una immaginifica e possibile direzione degli eventi storici diversa rispetto a quella reale. L’aspetto più interessante del recente, godibilissimo libretto di Daniele Comberiati ed Eugenio Barzaghi, uscito per Machina Libro / DeriveApprodi, è quello di presentarci quasi un’ucronia dentro un’altra ucronia: gli autori allestiscono infatti un vero e proprio saggio documentaristico sul cinema di fantascienza italiano prodotto sotto il regime militare fra anni Sessanta e Settanta. Si tratta di un cinema possibile, come d’altronde la stessa Italia raccontata, in cui il prefisso “in” è posto fra parentesi quadre.
Cerchiamo quindi di capire cosa è avvenuto, secondo i due autori, in quest’Italia «[im]possibile»: il 6 gennaio 1965 ha buon esito un colpo di stato militare guidato da Giovanni Paoloni, consulente del Ministero dell’Interno, coadiuvato dai servizi segreti. La sera stessa gli Stati Uniti appoggiano e riconoscono il governo formato da Paoloni, il quale diventa presidente della Repubblica acquisendo un potere esecutivo inedito. Non si tratta di un nuovo ventennio mussoliniano – come avvertono anche gli autori – ma di un potere autoritario gestito in modo più sottile, come è avvenuto nelle dittature dell’Europa meridionale di quegli anni (Spagna, Portogallo, Grecia). Il libro, nelle pagine iniziali, offre una cronologia degli accadimenti di natura politica e sociale avvenuti sotto la giunta Paoloni in cui si mescolano eventi reali e inventati: ad esempio, il disastro di Seveso nel 1976 al quale si aggiungono però altre tre fabbriche che rilasciano diossina, un nuovo Piano Marshall approntato dagli Stati Uniti per sostenere l’Italia, l’esondazione dell’Arno nel 1966, il ritiro di Moro dalla scena politica e il Partito comunista dichiarato come illegale (i cui membri sono costretti a andare in esilio in Francia), un terrorismo anti-regime che proviene soprattutto dal Meridione, la completa assenza nel Paese di qualsiasi manifestazione legata al ’68, un Grande Piano Energetico Nazionale che promuove e incentiva l’energia nucleare. Vengono anche nominati dei personaggi reali legati alla cultura e allo spettacolo come, ad esempio, Luigi Tenco (nell’Italia ucronica il suo suicidio diventa un omicidio imputato a dei terroristi anarco-comunisti), Umberto Eco, Emilio de Rossignoli, Pier Vittorio Tondelli, Lucio Villari mentre manca del tutto la presenza di un intellettuale significativo di quel periodo come Pasolini: forse, chissà, eliminato e fatto sparire dalla stessa giunta Paoloni prima che nel mondo reale del 1975 venisse massacrato e ucciso e ai giorni nostri trasformato in un’icona-giocattolo utilizzabile anche dai post-fascisti.
Quest’Italia «[im]possibile» è però anche “possibile” e vengono in mente diverse sottili connessioni con la realtà di oggi e con ciò che è stato il Paese a partire dal Dopoguerra. Come affermano i due autori in una interessante intervista dal titolo Come si immagina «L’uomo dall’altro mondo»? uscita lo scorso 16 ottobre su «Machina» (qui), il nome inventato «Paoloni», con la terminazione in “-oni”, possiede una singolare assonanza con un rilevante personaggio politico della contemporaneità. Gli autori ricordano poi come l’idea del libro sia nata da una visita, una domenica pomeriggio del dicembre 2019, all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate, nel quartiere di Tor Marancia a Roma, un edificio enorme costruito negli anni Sessanta intriso di un’atmosfera un po’ inquietante, coi muri umidi e con l’acqua che cadeva da un punto del soffitto. Come afferma Comberiati, «il giorno dopo ci sarebbero state centinaia di impiegati a lavorare, eppure sembrava un luogo post-apocalittico, che della burocrazia moderna – una modernità già vecchia, rimasta davvero agli anni Sessanta – portava solo i segni della scomparsa». Questo luogo (definito da Barzaghi come uno dei «luoghi in bilico che raccontano il passato ma respirano il presente e lasciano vedere il futuro») visitato dagli autori assume un valore emblematico divenendo quasi il simbolo di un oscuro e sottile potere che ha continuato a sussistere attraverso il tempo, forse dalle derive più autoritarie e violente del fascismo. Quella «modernità già vecchia» ci può far pensare a certi uffici del potere del futuro messi in scena da David Cronenberg in Crimes of the Future (2022): si tratta degli spazi di un futuro decadente e già vecchio, intriso di un’opprimente burocrazia, che sembra appartenere a un orrendo e greve passato. In Italia, più che in altre nazioni – a Roma soprattutto ma non solo – è possibile incontrare queste squallide vestigia appartenenti al passato: non soltanto architetture dell’era fascista ma anche edifici risalenti alle ricostruzioni degli anni Cinquanta e Sessanta realizzate da un potere democratico che – pure se non avviatosi verso una deriva dittatoriale come immaginato nel libro – nelle sue buie viscere è rimasto legato a doppio filo a un fascismo sovversivo; quel potere legato alle “stragi di Stato”, a relazioni occulte e segrete, agli insabbiamenti, a omicidi e sparizioni ancora irrisolti. Questi edifici mostruosi e grevi, che paiono abbandonati e in rovina ma che pure vengono utilizzati ancora oggi dagli apparati di potere, sono un po’ l’immagine dello stesso potere oscuro e patriarcale, familistico e paternalistico, destrorso e razzista, che vige più o meno occultamente nell’Italia di oggi. Non si parla naturalmente di un potere centrale che proviene dall’alto, ma di una «microfisica del potere» in senso foucaultiano, presente in modo sottile nelle più svariate dinamiche sociali.
Un’altra somiglianza fra l’Italia ucronica inscenata da Barzaghi e Comberiati e quella reale riguarda la caratterizzazione sociale degli anni Ottanta. Come nota Comberiati nella citata intervista, «nel nostro caso, vediamo come l’Italia di oggi sia molto più una conseguenza degli anni Ottanta che degli anni Settanta, al punto che, se quel decennio fosse stato diverso, forse il nostro presente non sarebbe così dissimile da quello che è. Si tratta ovviamente di una provocazione, ma con un fondo di verità, se ci pensiamo bene». Infatti, poco prima lo stesso Comberiati ricorda come «nei tempi distopici che stiamo vivendo la fantascienza sia una sorta di nuovo realismo. Il genere popolare che, proprio come il neorealismo degli anni Cinquanta, sottolinea le contraddizioni della realtà. Ecco, se la fantascienza è il nuovo realismo, l’ucronia è un liquido di contrasto che ci fa vedere non un altro passato, ma un altro presente. O almeno il presente da una prospettiva diversa». Gli anni Ottanta sorti dopo la caduta della giunta Paoloni, nel 1979, rappresentano per l’Italia, come afferma un Umberto Eco ‘ucronico’ in un articolo uscito nel 1989, una vera e propria «ubriacatura democratica». Nella realtà sappiamo bene cosa sono stati quegli anni, dominati dal disimpegno e dal rampantismo sociale.
Veniamo quindi al cuore pulsante del libro, e cioè alla fantascienza, definita come «nuovo realismo» all’interno della ‘distopia’ reale che ci troviamo a vivere. L’uomo dall’altro mondo offre le schede dettagliate di 23 film di fantascienza, con tanto di foto di scena, locandine e bibliografia critica, girati in Italia nel periodo della giunta Paoloni. Se la maggior parte sono opere, se così si può dire, di propaganda del regime, che mirano alla sua esaltazione, alcune rappresentano una contestazione più o meno velata allo stesso. Qual è il background reale di questi film inventati? Ci risponde Eugenio Barzaghi, sempre nell’intervista uscita su «Machina»: l’Elio Petri di La decima vittima, Mario Bava, Antonio Margheriti, Luciano Salce, Ugo Gregoretti con Omicron, Ubaldo Ragona con L’ultimo uomo della Terra e diversi altri. I nomi inventati di registi e attori fanno tanto – se così si può dire – anni Sessanta e primi Settanta: suonano come reali possedendo quasi l’anima di tutto quell’universo cinematografico di matrice ‘popolare’, fatto di attori di sceneggiati e di stuntmen (“cascatori”, come si diceva all’italiana), di campioni sportivi convertitosi al cinema (ad esempio Carlo Pedersoli-Bud Spencer), di registi-attori più che, come diversi anni dopo, attori-registi. Ricordiamone alcuni, che spesso tornano di film in film: Dino Cipressi, Italo Quassi, Arrigo Speri, Giacomo Infanti, Giuseppe Fagiani, Attilio Biseglie, Aldo Moiso, Giacomo Alberti.
Fra i film inventati e analizzati dagli autori incontriamo, all’inizio della disamina, La fabbrica, del 1965, con la regia di Carlo Sacci, «probabilmente il primo film di fantascienza contro il regime, anche se giunse nelle sale il 3 gennaio, tre giorni prima dell’arrivo al potere della giunta militare» (p. 30). La storia si ambienta «in un ipotetico 1999, anno in cui l’Italia non esiste più, inglobata in un’alleanza transatlantica che fa pensare alla Nato e che è riuscita a conquistare anche il blocco sovietico. Il mondo è un’immensa megalopoli gestita dai padroni della Fabbrica, l’impresa dell’alleanza transatlantica che organizza il lavoro globale» (p. 30). Un altro film contro il regime è Dopo la bomba, sempre del 1965, di Francesco Billotti, che mette in scena una Roma devastata dall’esplosione atomica; il lungometraggio, progettato nel 1964, ebbe degli intoppi produttivi perché la Rai, che avrebbe dovuto co-produrlo, si tirò indietro all’ultimo momento su pressione del ministro della ricerca scientifica che vi intravedeva una critica al Grande Piano Energetico Nazionale, varato solo nel 1970 ma presentato fin dall’insediamento della giunta Paoloni nel 1965. Il film si ricorda anche perché lo scrittore Emilio de Rossignoli ne rimase colpito e ne trasse ispirazione per il suo romanzo H come Milano (1966), che inizialmente ha circolato solo in traduzione francese perché vietato in Italia. Un esempio di cinema di fantascienza clandestino è Passaggio vietato (1970), di Aristide Tirotti, un regista dal passato letterario, in quanto aveva svolto l’attività di traduttore di autori come Aldous Huxley e George Orwell. Nel film si immagina una società del futuro iperproduttiva divisa in due classi sociali, i Liur, manager ricchi e potenti, e gli Opres, proletari schiavizzati dai ricchi. Il film, oggi, costituisce una testimonianza del clima di angoscia che si respirava in Italia all’inizio degli anni Ottanta. Ricordiamo anche La morte dolce (1976), realizzato dai Collettivi autonomi proletari, considerati dalla giunta Paoloni un’organizzazione terroristica (gli attori, infatti, per non essere riconosciuti hanno tutti il volto oscurato o coperto). Il film intende denunciare il disastro di Seveso del 1976 e l’esplosione nello stesso anno di altre tre fabbriche (fra cui una fabbrica di gazzosa al caffè) che rilasciarono ingenti quantità di diossina: è la storia di una coppia di operai in una fabbrica di gazzose che vengono avvolti da una nuvola di fumo grigio e intossicati. L’ultima scena mostra in modo raccapricciante la giovane operaia che partorisce un neonato mostruoso in un ospedale dietro l’immagine pubblicitaria della bibita. Fra i film ostili al regime si può infine ricordare quello che offre il titolo – con una leggera modifica – al volumetto di Comberiati e Barzaghi, cioè L’uomo dell’altro mondo, del 1977, con la regia di Aldo Moiso. Si tratta di una produzione ufficiale della Rai, finanziata con soldi pubblici del Ministero della Propaganda, eppure venne recepito come un film ostile alla giunta militare. La storia si incentra sull’arrivo, in un’azienda statale, di un nuovo impiegato che giunge da una dimensione parallela, un «altro mondo» appunto. Il messaggio implicito nel film (la cui ucronia riflette en abyme quella che avvolge l’intero libro), probabilmente voluto dagli stessi autori, è allora che esiste un «altro mondo» rispetto all’Italia irreggimentata dalla giunta Paoloni.
Fra i film ufficiali e inneggianti al governo troviamo invece La camminata sbilenca del granchio (1968), di Giacomo Infante, appartenente al sottogenere dei mostri mutanti, «piuttosto utilizzato nella fantascienza ufficiale durante la giunta Paoloni» (p. 38). Uno scienziato crea un granchio gigante per debellare un virus che si trasmette attraverso le acque salate ma un gruppo di terroristi, venuto a conoscenza della scoperta, uccide il dottore e cattura la sua assistente. Il granchio, che aveva un debole per quest’ultima, li elimina e riesce a debellare il virus. Probabilmente, nella figura del granchio vi è una metafora delle azioni della polizia nel 1968 a Catanzaro, quando una rivolta di studenti venne repressa nel sangue grazie a una manovra militare detta appunto “del granchio”. Interessante è anche Alieni ad Asmara (1974), di Adriano Grimi (il libro è corredato anche di una foto del regista con la divisa da ufficiale coloniale del nonno) un film di propaganda mirante a perseguire la legittimazione dell’avventura coloniale italiana portata avanti dalla giunta Paoloni. Ad Asmara, nonostante gli italiani abbiano riportato l’armonia fra la popolazione, ci sono ancora alcuni eritrei ostili. Arriva quindi una nave spaziale aliena con intenti bellicosi: sarà solo grazie agli italiani e agli eritrei fedeli che gli extraterrestri verranno sconfitti e sarà riportata la pace. Film di regime è anche Le proprietà dello stralisco (1976): racconta la ribellione di un giovane a un proprietario terriero generoso e di buon cuore; il giovane, grazie a una pozione realizzata con foglie di stralisco, una pianta che cresce in quelle zone, acquista una forza sovrumana e aggredisce il proprietario terriero il quale però riuscirà a impadronirsi della pozione e a ristabilire l’ordine. Si tratta di una storia caratterizzata da un’originale ambientazione bucolica che possiede un riferimento all’uccisione di due proprietari terrieri avvenuta nel 1975 a Matera, in piena crisi economica, attribuita a cinque militanti dei Collettivi autonomi proletari arrestati alla frontiera con la Svizzera. In un momento di crisi del regime, vicino al suo tracollo, si colloca Domani, l’apocalisse (1978), ultimo film di finzione prodotto in Italia sotto la giunta militare. Il protagonista è Franco Aldi, ex campione di catch (lo vediamo anche in una foto di scena, con baffi posticci e collanona) passato al cinema: il suo personaggio è ispirato allo Zed interpretato da Sean Connery nel film Zardoz (1975) e si muove in una Roma deserta attraversata di notte da terribili creature che rappresentano i nemici del regime. Le violenze inscenate sono una metafora dei pericoli che correva l’Italia ad abbandonare la sicurezza del governo Paoloni. Ma il film appare alla «vigilia delle elezioni che sancirono il declino politico di Paoloni, che però non venne mai arrestato né inabilitato politicamente» (p. 85).
Dopo aver qui preso in considerazione alcuni dei film presentati, possiamo quindi pensare che uno dei temi principali di L’uomo dall’altro mondo sia proprio la stretta connessione fra la dimensione socio-politica e la produzione artistica legata al genere della fantascienza. Nella realtà come nell’ucronia immaginata dai due autori, la fantascienza rappresenta una significativa cartina di tornasole delle dinamiche sociali, economiche e politiche; abbiamo visto come sia nei film ostili al regime sia in quelli ad esso compiacenti si riflettano costantemente gli avvenimenti legati a queste dinamiche: scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, arresti, attentati, crisi economica, sociale e politica, momenti di debolezza o di forza del potere. Come leggiamo nell’introduzione a un saggio sulla narrativa di fantascienza italiana contemporanea dal significativo titolo di Ideologia e rappresentazione, realizzato da Comberiati assieme a Simone Brioni, la produzione di genere ha sempre affrontato «importanti temi nella cultura italiana contemporanea quali, fra gli altri, il colonialismo e la sua eredità, la robotica, il sessismo, l’ecocritica, le leggi sui manicomi, il terrorismo, il ‘ventennio’ berlusconiano, il complesso rapporto fra l’Italia e l’Europa, e la fine dell’antropocene»1. I due studiosi affermano poi che l’intrattenimento che deriva dalla fruizione di queste opere potrà servire «come l’ispirazione per la creazione di un sistema di norme e regole alternativo a quello esistente»2. Come ha scritto Valerio Evangelisti, «l’immaginario è dunque tra i terreni salienti di battaglia, per chi voglia sottrarsi alla dittatura più insinuante, senza scrupoli e invasiva che la storia ricordi»3 cioè quella del capitale. Un importante terreno di battaglia che anche oggi, più che mai, dovrebbe essere tenuto vivo e acceso perché il pericolo dell’arrivo di nuove giunte Paoloni mascherate da alfieri della democrazia è sempre in agguato.
S. Brioni, D. Comberiati, Ideologia e rappresentazione. Percorsi attraverso la fantascienza italiana, Mimesis, Milano-Udine, 2020, p. 12. ↩
ivi, p. 15. ↩
V. Evangelisti, Prefazione. La lotta per le “altre” otto ore, in AA.VV., Immaginari alterati. Politico, fantastico e filosofia critica come territori dell’immaginario, Mimesis, Milano-Udine, 2018, p. 8. ↩



