di Luca Cangianti

Alberto Prunetti, Amianto. Una storia operaia, Feltrinelli, 2023, pp. 135, € 11,00 edizione stampa, € 6,99 ebook.

Sarebbe un grande sollievo sapere che questa storia è frutto della fantasia di Alberto Prunetti. Non è così e lo veniamo a sapere dalle prime righe di Amianto. Renato, suo padre, è un lavoratore specializzato, un saldatore tubista, fiero della propria cultura operaia. È cresciuto nella Toscana del dopoguerra e con il duro lavoro ha permesso alla sua famiglia di vivere dignitosamente. Nel tempo libero porta il figlio a vedere le partite di calcio e s’incontra serenamente con gli amici al bar, ma lentamente assiste al crollo di un mondo che per alcuni decenni aveva reso credibile il compromesso socialdemocratico: precariato e disoccupazione dilagano, la sicurezza sul lavoro è sempre più trascurata. Renato si fa portavoce dei diritti dei suoi compagni, ma una fibra d’amianto respirata durante una vita tra fabbriche, raffinerie e cisterne di petrolio, lo uccide. A cinquantanove anni.

Questo libro “terribile e bellissimo”, come lo definisce Valerio Evangelisti nella prefazione, ha avuto tre edizioni: uscì nel 2012 per Agenzia X, fu poi rivisto e ampliato per le edizioni Alegre nel 2014 e ora compare nuovamente per Feltrinelli in una versione ancora più limata stilisticamente, con più foto e qualche dislocazione di testo. Forse mi sbaglio, ma credo che ci sia una ragione profonda, non solo editoriale, che spinge l’autore a rimettere le mani sul testo. Come fosse una storia che deve essere raccontata sempre meglio, perché l’oggetto è vivo e necessita continuamente di nuovi interventi per essere consegnato a noi nella sua più genuina autenticità.
Prunetti compie molte operazioni: guarda e mostra al mondo una ferita profonda, vendica narrativamente la morte del padre trasformandolo in un simbolo eterno di resistenza e di riscatto. L’impresa riesce in tutta la sua drammaticità perché Renato non è commemorato retoricamente da morto, ma è riprodotto qui davanti a noi in tutta la sua granitica umanità maremmana con un sapiente utilizzo di molti registri narrativi, tra i quali non manca quello comico.

Amianto è una storia personale, ma al tempo stesso collettiva, anzi archetipica. Renato è l’eroe working class che compie il viaggio nelle terre pericolose della produzione fordista: pensa di aver, non dico debellato, ma almeno recintato il campo d’azione del drago capitalista. Si sbaglia: il mostro si libera, Renato muore. Suo figlio, Alberto Prunetti, lo fa rivivere e lo consegna a noi affinché, prima come eroe e poi come mentore (cioè ex eroe che ha percorso il cammino), possa esserci d’ispirazione. Si spiegano così gli altri due romanzi che hanno seguito Amianto creando una trilogia tematica (108 metri e Nel girone dei bestemmiatori). Renato è la voce della comunità operaia distrutta dai processi di ristrutturazione tecnologica degli anni ottanta. È il rappresentante di un mondo sconfitto, ma che può ancora indicare una prospettiva a coloro che si mettono in cammino oggi. È la memoria dei passati cicli di lotta dai quali dobbiamo congedarci proprio per poterne riacquisire l’essenza.

Chiunque sia costretto oggi a lottare per la propria vita e la propria dignità deve leggere Amianto, piangere, ridere e ardere di rabbia; deve ascoltare la voce di Renato e raccontarne la storia ad altri ancora.