di Paolo Lago

La rilettura cinematografica più significativa del romanzo petroniano, il Fellini-Satyricon, uscito nel 1969 con la regia di Federico Fellini, eredita dal suo modello anche l’andamento picaresco e frammentario della narrazione. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, era proprio negli intenti del regista creare un’opera frammentaria, una situazione narrativa non definita e lineare, ma spezzata e pervasa di un habitus onirico. Lo stesso tema portante del viaggio è attraversato costantemente da immagini di sogno che lo conducono verso una sorta di universo irreale e fantastico. Viene così accentuata la caratteristica principale del movimento picaresco del romanzo di Petronio, quella cioè di non possedere una meta finale, un telos, ma di essere dominata dalla casualità dell’incontro come elemento narratologico trainante e dallo spostamento lungo la «strada maestra»1.

Vediamo quindi i momenti principali dello spostamento dei protagonisti nel corso del film. Una volta che Encolpio ha ritrovato Gitone al teatro di Vernacchio (al quale era stato venduto da Ascilto) assistiamo al vagabondaggio dei due nell’ambientazione abnorme e irreale della Suburra. La macchina da presa segue i personaggi in una lunga carrellata all’interno della via principale di un bordello; Encolpio e Gitone appaiono in preda alla sorpresa e alla meraviglia, come se stessero percorrendo un mondo fantastico e incantato. I personaggi che popolano questa ambientazione sono infatti connotati quasi come dei freaks, degli esseri abnormi2: da quelli caratterizzati da movimenti meccanici e da voci mostruose che popolano la scena e la platea del teatro, fino alle varie figure delle prostitute che rappresentano le varie sfaccettature dell’immaginario erotico cinematografico felliniano. L’azione, prevalentemente concitata, subisce una sorta di rallentamento durante il vagabondaggio dentro il bordello; è come se i due percorressero lo spazio di un tunnel: il movimento dell’azione diminuisce e noi spettatori assumiamo l’ottica dei personaggi, soprattutto di Encolpio, il quale appare spesso in preda allo spavento e allo stupore. Con spavento e stupore, anzi, con orrore, come vedremo, Encolpio nel corso delle sue avventure percorrerà veramente lo spazio di un tunnel, quello del labirinto dove si nasconde il Minotauro. I due personaggi sono quindi vittima di uno spaesamento che durerà per tutto l’arco del film; la marca onirica non abbandonerà mai le avventure che si susseguiranno nel corso della narrazione. La stessa figura di Gitone appare come uno dei motori del movimento picaresco all’interno del film, più che nel romanzo: Encolpio si pone in viaggio per ricercare il suo amasio fuggito con Ascilto. Nel Satyricon la fuga di Gitone con Ascilto innesca l’incontro di Encolpio prima col miles e poi, soprattutto, con Eumolpo: Encolpio, infatti, dopo la fuga del ragazzo col suo rivale, in preda alla disperazione, si reca in una pinacoteca dove avviene l’incontro con Eumolpo; il ritrovamento di Gitone, dopo alcune lacune che racchiudono però non uno spostamento lungo, avviene all’inizio del capitolo 91. Nel film l’alterco fra i due giovani (che Fellini sposta nei momenti iniziali della narrazione, prima della cena) e la fuga dell’amasio provocherà l’incontro con Eumolpo ma anche l’universo della cena (alla quale Encolpio è invitato dal poetastro) nonché l’avventura e il viaggio sulla nave di Lica. Il viaggio del film assume quindi anche la caratteristica della ricerca ossessiva di Gitone, un vero e proprio oggetto del desiderio che, se sparisce o scappa con un altro, innesca una nuova dimensione di viaggio. Come ha acutamente scritto Michel Chion, egli appare connotato da un serrato mutismo che accresce ancora di più l’alone di mistero che lo circonda: «più raramente egli [il muto] è anche l’oggetto del desiderio, nel senso che non si riesce mai a possederlo veramente: la donna amata che non concede mai la propria voce o il giovane efebo del Satyricon felliniano, Gitone, che in silenzio assiste alla lotta di tre uomini che se lo stanno disputando e che, con un consapevole sorriso, sembra tenere le redini del gioco. Pronuncia una sola parola in tutto il film, rivelando una voce che contrasta in maniera oscena con il suo aspetto fisico (una voce rauca, volgare, orribile) e lo fa per scegliere uno tra i due amici, Encolpio e Ascilto: “Tu”»3.

Le sequenze che aprono la cena di Trimalcione rappresentano una sorta di nuovo viaggio, quello per raggiungere la dimora del liberto arricchito. Dopo l’ambientazione nella pinacoteca e l’incontro con Eumolpo, Encolpio viene da questi condotto alla cena. Gli invitati si muovono in processione verso la casa di Trimalcione attraversando una landa desolata e connotata da colori infernali; i personaggi si muovono perciò in un deserto, una delle ambientazioni privilegiate dal regista nell’allestimento degli spazi scenici, perlopiù ricostruiti nei teatri di posa. Il deserto e lo spazio aperto, come ambientazioni, possono rimandare all’idea di spaesamento, di perdita del sé, di nomadismo (non è un caso che Deleuze e Guattari, in Mille Piani, parlino proprio di «spazio liscio», nomade, del deserto da contrapporre allo «spazio striato» della città e dello Stato)4.

Lo stesso Deleuze, chiamando in causa proprio i «deserti da apocalisse» del Fellini-Satyricon, affermerà che su di essi, come su un cristallo, sarà scritto da una parte “salvi”, dall’altra “perduti”5. Il salvarsi e il perdersi sono appunto condizioni che possono investire i viaggiatori che si trovano a percorrere dei deserti onirici e contrassegnati da colori dalle tinte fosche e infernali, viaggiatori che si trovano ad attraversare gli spazi della psiche. Ecco, si potrebbe affermare che quelli del Fellini-Satyricon sono dei picari della psiche, personaggi viaggiatori che percorrono limbi astorici e surreali dalle connotazioni quasi infernali, ambienti che il regista ha per lo più ricreato all’interno dei teatri di posa. Lo spaesamento, l’angoscia, la non conoscenza sono elementi che contraddistinguono i protagonisti del film nel loro girovagare; essi viaggiano come se si fossero appena risvegliati da un sogno e sono incerti se stare ancora sognando oppure no. Dunque, il movimento per raggiungere la cena è una sorta di viaggio nel sogno o, forse, nell’incubo, come in un paesaggio appunto da apocalisse, un paesaggio postatomico. La cena segna, come nel romanzo, un momento di staticità, un momento in cui il viaggio si interrompe per lasciare spazio al teatro e alla conversazione. Fellini, tra l’altro, elimina dalla cena i due racconti ‘del terrore’ che in Petronio vengono narrati da Trimalcione e Nicerote: quello delle streghe e quello del lupo mannaro, racconto, quest’ultimo, in cui è di nuovo presente la dimensione dello spostamento, seppure in una condizione en abyme (Nicerote narra appunto di un viaggio che egli stesso fece in compagnia di un soldato per recarsi a casa di Melissa di Taranto). Sposta invece all’interno della cena il racconto della matrona di Efeso che in Petronio viene narrato da Eumolpo sulla nave di Lica.

Il viaggio riprende comunque subito dopo la cena e viene innescato, ancora una volta, da una situazione onirica. Con uno stacco netto rispetto alle inquadrature precedenti vediamo Encolpio in una landa desertica in cui rosseggia all’orizzonte un’alba o un tramonto mentre Eumolpo, ancora malconcio per essere stato maltrattato dagli schiavi di Trimalcione (aveva infatti osato affermare che Trimalcione aveva copiato i suoi versi da Lucrezio), gli recita una sorta di testamento poetico. Questa ambientazione, però, caratterizza solo un breve stacco, come un breve trait d’union fra lunghe sequenze. Subito dopo, infatti, Encolpio, addormentatosi su una spiaggia, viene risvegliato bruscamente durante un rastrellamento del terribile Lica di Taranto (nel film diventato un mercante di schiavi al soldo dell’imperatore). La breve sequenza in cui vediamo Encolpio ed Eumolpo rappresenta perciò un momento onirico, come se fosse un sogno dello stesso Encolpio che, poco dopo, si risveglierà bruscamente. L’unione fra due grandi blocchi narrativi – quello della cena e quello della nave di Lica – avviene quindi tramite una cerniera di carattere onirico. Quel ritrovarsi in un deserto sperduto, carezzato da colori rossi e rosa e spazzato dal vento, è un momento del viaggio picaresco onirico: due viaggiatori della psiche si ritrovano per pochi attimi in una tappa del loro viaggio, in un’ambientazione indeterminata, in un sogno prolungato.

Lo stacco di matrice onirica serve anche per conferire al film un habitus di incompletezza, per mimare sullo schermo la mancanza del testo petroniano e le molte lacune che racchiude: un testo lacunoso che, proprio in virtù di essere tale, accentua, all’interno della sua narrazione, il senso di avventura casuale. La lacunosità del Satyricon ma anche quella del mondo antico in generale viene approcciata da Fellini mediante un procedimento onirico: il testo petroniano e l’antichità (con tutti i suoi risvolti politici e sociali) diventano, come è stato osservato, delle briciole che emergono per pochi attimi dall’inconscio collettivo6. Una volta che Encolpio è stato condotto a bordo della nave inizia un altro viaggio, stavolta per mare. L’interno della nave, dove il protagonista si ritrova insieme a innumerevoli altri giovani catturati da Lica, è un’ambientazione a metà fra l’onirico, l’irreale e il corporeo. L’elemento sordido legato alla ‘bassezza’ del luogo (si tratta in sostanza di una galera) viene allontanato dall’atmosfera onirica che aleggia incontrastata su queste scene. La stessa imbarcazione sembra un marchingegno extraterrestre e, quasi novelli Argonauti, i navigatori solcano mari freddi e sconosciuti: le immagini ci mostrano una nevicata sul mare e la cattura di un pesce mostruoso. Le inquadrature che rappresentano la nave in navigazione (scene ricostruite nei teatri di posa, come saranno anche le ambientazioni ‘marine’ del Casanova di Federico Fellini, del 1976) sembrano inoltre alludere al motivo del viaggio in generale: esse si inseriscono come dei brevi flash all’interno delle avventure di Encolpio sulla nave.

L’avventura sulla nave di Lica (dove avviene anche un episodio inventato da Fellini, cioè il matrimonio fra Lica e Encolpio) si interrompe bruscamente in modo violento. Dei soldati armati irrompono sulla nave e uccidono Lica poiché il vecchio imperatore, ai cui ordini sottostava il mercante di schiavi, è stato assassinato. La morte del truce personaggio rappresenta uno scioglimento della situazione nonché una liberazione per i protagonisti: Encolpio non è più vincolato al matrimonio mentre Ascilto e Gitone – anch’essi presenti sulla nave – non sono più schiavi. Dopo un breve intermezzo che ci mostra Encolpio e Ascilto intenti ad ascoltare la storia di Enotea, subentra un altro episodio legato al susseguirsi picaresco delle avventure; i due personaggi irrompono in una villa dove i proprietari, dopo aver liberato tutti i propri schiavi, si sono appena suicidati. L’arrivo dei due viene presentato come una tappa del loro libero girovagare da una situazione all’altra: l’episodio, infatti, inventato dal regista, non si lega né a quanto immediatamente precede, né a quanto seguirà. Nella villa incontreranno una giovane schiava e, insieme a lei, ‘faranno festa’ vicino ai corpi ancora caldi dei padroni suicidi. L’episodio successivo – costruito, ancora una volta, senza nessun legame con il precedente – mostra una folla di malati e di freaks di ogni genere che si recano in visita al “Semidio” ermafrodito per chiedere la guarigione. Qui incontriamo sempre Encolpio e Ascilto protagonisti stavolta di un episodio di violenza e rapina; unitisi ad un malfattore, i due uccideranno i custodi dell’ermafrodito e lo porteranno via inoltrandosi in un deserto dove il “Semidio” morirà per disidratazione. L’episodio della villa e quello dell’ermafrodito sembrano allestiti puramente per mostrare due situazioni estremamente differenti in cui la coppia Encolpio-Ascilto incappa nel suo girovagare. Proprio come dei picari, i due, viaggiando, si trovano immischiati in diverse situazioni: dapprima la scoperta della villa deserta e l’incontro con la servetta, poi l’incontro con il malfattore e la scoperta del luogo dove il “Semidio” guaritore riceve i postulanti. E sembra che i due episodi siano stati inventati dal regista proprio per fornire materia narrativa al susseguirsi delle avventure picaresche dei suoi due personaggi. Come già notato, l’ermafrodito morirà in un deserto e sarà proprio in questo luogo brullo e bruciato dal sole che, dopo un alterco e poi una dura lotta, i due amici riusciranno ad avere la meglio sul ladro, e Ascilto lo ucciderà mentre egli sta, a sua volta, per uccidere Encolpio. Il deserto è quindi di nuovo lo spazio del viaggio nomadico, della perdita di prospettiva, dell’annullamento del sé; nel deserto, per ricordare ancora l’espressione di Deleuze, si può essere salvati o perduti, si può venire uccisi o salvarsi.

Ancora con uno stacco netto delle inquadrature, senza nessun legame con ciò che precede, assistiamo successivamente alla lotta di Encolpio col Minotauro, in un labirinto. Anche questo episodio, inventato da Fellini, ci fa scoprire un Encolpio viaggiatore: veniamo infatti a sapere che egli, in quel luogo, è uno straniero; dopo la finta lotta, che il protagonista crede autentica, scopriamo che il Minotauro è solo un gladiatore travestito mentre il personaggio del proconsole afferma che Encolpio è stato la vittima designata di un’usanza locale, lo scherzo a uno straniero per celebrare la festa del dio Riso. Il protagonista, in quel luogo, è uno straniero, e perciò non può che guardare con stupore e con meraviglia a tutto quello che gli sta accadendo; dopo la lotta col Minotauro, allo straniero designato spetta un momento d’amore con l’Arianna prescelta ma Encolpio sarà vittima di un’impotenza (episodio mutuato da Petronio il quale, nel capitolo 128 e seguenti descrive l’impotenza sessuale con Circe). Per risolvere la defaillance, il protagonista dovrà ricorrere alla maga Enotea e compiere quindi un altro viaggio fino alla dimora della maga. Encolpio, insieme ad Ascilto, si recherà da Enotea attraversando un’oscura e misteriosa palude: i due personaggi vengono rappresentati proprio come dei viaggiatori stanchi e disillusi, avvolti in mantelli, come dei picari condotti dall’avverso destino verso una nuova e sconosciuta avventura. In queste inquadrature si fa sentire tutta la pesantezza del viaggio, del lento movimento verso un luogo sconosciuto, nato quasi dalle plaghe dell’inconscio: Encolpio appare infatti in preda alla disperazione e all’angoscia7.

Successivamente, Ascilto verrà colpito a morte dal traghettatore – caratterizzato, già nelle sequenze della traversata della palude, come un oscuro personaggio – e derubato; Encolpio lo ritroverà morente in mezzo all’erba. Per concludere, si può osservare come il viaggio picaresco inscenato da Fellini nel suo film rimanga fondamentalmente in sospeso. La narrazione filmica si interrompe nel momento in cui Encolpio, dopo la morte di Eumolpo (mentre i “cacciatori di eredità” crotoniati si accingono a cibarsi del suo cadavere), imbarcatosi con nuovi personaggi, a bordo della nave racconta le avventure che gli sono capitate e i luoghi che ha visitato8. La fine del film interrompe, in questo modo, due viaggi, due avventure: quello che sta raccontando il personaggio e quello che sta vivendo a bordo della nave. Subito dopo l’interruzione della narrazione, assistiamo a delle inquadrature che mostrano i personaggi principali che si trasformano in affreschi sui muri sbrecciati di un’antica villa romana in riva al mare: un’altra allusione alla logica del frammento di cui il Fellini-Satyricon è intessuto per rendere efficacemente per immagini la frammentarietà dell’opera petroniana.9.

Se il Satyricon si interrompe con la lettura del testamento di Eumolpo, il film prosegue con un ulteriore viaggio: Fellini immagina che l’azione narrativa del romanzo porti comunque il protagonista verso un nuovo spostamento per mare. L’ultima sequenza risulta perciò di estrema importanza per il nostro discorso sul picaresco; ad essa viene dato il rilievo forse più grande di tutte le altre in quanto rappresenta proprio fisicamente il viaggio e in quanto viene interrotta bruscamente (l’ultima inquadratura – prima delle immagini che mostrano i personaggi divenire pittura – è un’isola in lontananza vista con la soggettiva di Encolpio imbarcato: si tratta infatti di un’immagine traballante, ripresa da una nave in navigazione). L’interruzione del viaggio del protagonista nonché della storia che sta narrando conferiscono un pesante ‘taglio’ di fronte all’occhio dello spettatore, il quale si aspetterebbe una ulteriore prosecuzione del viaggio. Come la perdita di una parte del Satyricon si è portata via per sempre la narrazione, così il taglio operato da Fellini nega allo spettatore la continuazione dell’avventura. Quest’ultima, quindi, e, di conseguenza, il susseguirsi picaresco delle vicende, continuano pressoché all’infinito: il viaggio prosegue portando i personaggi verso nuove avventure ma noi non le potremo mai vedere. I picari continuano le loro scorribande senza meta lontano dallo sguardo di qualsiasi possibile spettatore.


  1. Cfr. M. Bachtin, Estetica e romanzo, trad. it. Einaudi, Torino, 1979, pp. 244-245. In relazione al film, si vedano, in generale, le osservazioni di Fellini contenute in Fellini-Satyricon. Dal soggetto al film, a cura di D. Zanelli, Cappelli, Bologna, 1969, sopr. pp. 21-22 e, sulla cifra onirica, in un’intervista a Moravia a p. 69. Si veda anche P. Bondanella, Literature as Therapy: Petronius and Fellini in «Annali d’Italianistica», 6 (1988), pp. 179-198. Cfr. anche P. Landi, Coscienza e realtà nella storia del cinema, Mimesis, Milano-Udine, 2022, p. 137, nel paragrafo intitolato Fellini e il carattere del frammento.  

  2. Cfr. J. Paul, Fellini-Satyricon, Petronius and Film, in Petronius. A Handbook, a cura di J. Prag e I. Repath, Wiley-Blackwell, Oxford, 2009, p. 211-212. 

  3. M. Chion, La voce nel cinema, trad. it. Pratiche, Parma, 1991, p. 120. 

  4. Cfr. G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Castelvecchi, Roma, 2010, pp. 564-593. 

  5. Cfr. G. Deleuze, L’immagine-tempo. Cinema 2, trad. it. Ubulibri, Milano, 1989, pp. 105-106. 

  6. Cfr. H. Pernot, L’antique selon Fellini, in Fellinicittà, a cura di J.-M- Méjean, Editions de la Transparence, Chatou, 2009, p. 43: «Ainsi, le film peut se présenter comme une suite décousue de visions oniriques, et l’Antiquité devient un passé révolu, insaisissable, un vast continent noir qui comme l’incoscient ne laisse apparaître que des bribes». 

  7. Per una lettura del film in chiave psicanalitica, però un po’ troppo formalistica e sicuramente datata, cfr. P. Baudry, Un avatar du sens, in «Cahiers du Cinéma», 219 (1970), p. 57, secondo il quale le avventure di Encolpio sono caratterizzate da una sorta di logica di rifiuto di fronte al sesso a causa di un complesso di castrazione. 

  8. Così suona l’ultima frase pronunciata da Encolpio: «Decisi di partire con loro. La nave trasportava merci preziose e schiavi… in un’isola ricoperta di erbe alte, profumate, mi si presentò un giovane greco e raccontò che negli anni…». 

  9. Cfr. J. P. Sullivan, The Social Ambience of Petronius’ Satyricon and Fellini Satyricon, in Classical Myth and Culture in the Cinema, a cura di M. M. Winkler, Oxford University Press, Oxford, 2001, p. 271.