di Paolo Lago

Jérémie Moreau, Penss e le pieghe del mondo, trad. it. di Stefano Andrea Cresti, Tunué, Latina, 2021, pp. 229, € 27,00.

I primi momenti narrativi della graphic novel dal titolo Penss e le pieghe del mondo, realizzata da Jérémie Moreau, sono dedicati alla contemplazione. Il giovane Penss appartiene a una tribù di uomini della preistoria ma non trascorre il suo tempo nella caccia e nella pesca, come fanno i suoi simili, unicamente intenti a procacciare il cibo per la sopravvivenza di se stessi e degli altri. Il ragazzo ama trascorrere il suo tempo perduto nella contemplazione della natura. I primi quadri che Moreau (autore anche di La saga di Grimr, sempre tradotto per Tunué, premiato come miglior libro al festival di Angoulême) ci offre in questo suo nuovo lavoro sono la rappresentazione grafica della pura contemplazione. Si tratta di immagini in cui l’acqua di un ruscello appare contemplata da diversi punti di vista: disegni in cui è completamente assente la presenza umana. Soltanto dopo vediamo, in un ingrandimento, gli occhi del protagonista che la sta contemplando e allora si capisce che le immagini iniziali appartenevano, in un certo senso, alla sua soggettiva.

Anche successivamente, nel corso della storia, incontreremo altre tavole in cui la narrazione cede il passo alla contemplazione, all’immaginazione, ad una sospensione quasi incantata dell’incedere narrativo. Così afferma Penss nelle prime parole che pronuncia, anzi, che pensa: «O mondo… fluisci, danzi, colpisci, sibili, scintilli, abbagli… E credo proprio d’essere il solo a vedere la tua bellezza. Gli altri, tutti gli altri, passano la vita a correre». Tutti gli altri hanno un approccio più ‘pratico’ al mondo, finalizzato alla sua trasformazione per facilitare la sopravvivenza e gli spostamenti. Di fronte alla praticità, egli oppone la contemplazione, la fruizione pacifica e inerte della bellezza della natura. La tribù a cui il ragazzo appartiene rappresenta il senso pratico degli esseri umani e potrebbe essere l’antesignano di chi, perciò, anche oggi, ha con la natura un rapporto basato esclusivamente sull’utile e sul profitto come l’attuale società capitalistica che sventra montagne e distrugge vallate per costruire l’alta velocità a fronte di una resistenza che, con quella stessa natura, ha un rapporto più umano e contemplativo. Penss, per certi aspetti, in un mondo finalizzato all’utile e alla mera sopravvivenza, è un vero e proprio resistente, perché «tutte queste montagne, queste stelle sono infinitamente più belle di qualsiasi uomo. E noi non possiamo farci niente». La resistenza del personaggio è ravvivata da un approccio contemplativo e poetico all’esistente. Come già accennato, l’autore, per rappresentare graficamente l’atto della contemplazione, utilizza delle tavole che si succedono senza la presenza degli esseri umani e senza parole. In esse vengono soprattutto rappresentate quelle che il protagonista chiama le «pieghe del mondo».

Il mondo, per il protagonista, è infatti composto da «pieghe», una sorta di strati interconnessi che legano fra di loro ogni fenomeno vitale. In quest’opera di Moreau è possibile quindi incontrare anche un background filosofico che si rifà al pensiero di Leibniz ma soprattutto a quello di Gilles Deleuze, in particolare al suo saggio La piega. Leibniz e il Barocco. Il concetto leibniziano di «monade» viene ripreso da Deleuze e risemantizzato adesso da Moreau in chiave ecologista e comunitaria: secondo Penss non si può vivere come monadi, come organismi senza alcuna connessione fra di loro. È invece importante restare in connessione come in connessi sono tutti i fenomeni dell’esistenza sul pianeta che egli contempla. Quella che poteva apparire come una pura attività inerte diviene allora, in un certo senso, contemplazione attiva e, maggior ragione, resistenza. Lo stesso personaggio non intende affatto restare come una specie di «monade» separata rispetto al mondo, concepito come un sistema da sfruttare solamente per la sopravvivenza. Egli intende invece entrare in connessione con esso e plasmarlo e quindi scopre la possibilità di coltivare il terreno, di seminarlo ricavandone i frutti senza l’atto violento del cacciare. Da un punto di vista formale, i disegni mostrano spesso il personaggio in piedi o seduto come se fosse davvero inglobato dalla natura circostante, la quale si ingigantisce fino a far rimpicciolire la figura dell’essere umano. Quest’ultimo pare rimpicciolirsi anche nella rappresentazione grafica dei suoi sogni, nei quali lo si vede in balia di piante gigantesche.

Da un punto di vista grafico, il fumetto presenta innumerevoli suggestioni. L’autore alterna con grande maestria i colori più accesi, caldi e, se così si può dire, ‘caravaggeschi’ che rappresentano gli interni delle grotte illuminati da torce e fuochi a quelli più freddi e chiari dei paesaggi silenziosi e innevati. Suggestive sono anche le immagini notturne in cui domina il nero e in cui vediamo, in una sorta di montaggio alternato, da una parte il cielo e il paesaggio, dall’altra lo stesso Penss perduto nella contemplazione. Da un punto di vista narrativo e scenico, si può dire che prevalgono i momenti di contemplazione ma non mancano neppure diversi momenti in cui il ritmo si velocizza e l’azione si fa concitata. Spesso, al silenzio e alla contemplazione seguono situazioni in cui prevale il grido selvaggio puro e semplice oppure la parola gridata, rabbiosa, segnata dal dolore dell’impotenza umana di fronte alla morte e alle catastrofi.

La dimensione contemplativa, mentre il tempo scorre (l’autore è bravissimo a rendere l’alternarsi delle stagioni e lo scorrere di un tempo nella sua ciclicità naturale) sembra lentamente mutarsi in una dinamica di movimento. Le stesse foreste, gli stessi boschi sono in movimento perpetuo – osserva il protagonista – per mezzo del continuo fluttuare dei loro pollini e dei loro semi. Lo stesso protagonista giunge alla conclusione che per far pienamente parte della «piega» del mondo occorre unirsi ad essa e mutare, divenire nomade: «e se la soluzione migliore fosse rimettersi in movimento?» – si chiede Penss – «reinserirsi nella corrente che fa girare il sole, che fa avanzare le greggi e che ci porta dagli altipiani alle valli, dalle valli agli altipiani?». Forse «in questa grande danza» si cela «il segreto del più armonioso e duraturo dei dispiegamenti». Per vivere in connessione col mondo, alla fine, è necessario poter partecipare a questa «grande danza», essere nomadi e percorrere spazi. Ma, come scrivono Deleuze e Guattari in Mille Piani, sarebbe «un errore definire il nomade per il movimento»1, perché «il nomade sa attendere e ha una pazienza infinita»2 , proprio come Penss. Il movimento e la velocità possono essere anche dei percorsi mentali: essere nomadi dell’immaginario per poter giungere a inediti e inesplorati percorsi di liberazione. E forse è proprio questo il messaggio ultimo del paziente e contemplatore Penss e delle sue pratiche di resistenza.


  1. G. Deleuze, F. Guattari, Mille Piani. Capitalismo e schizofrenia, trad. it. Castelvecchi, Roma, 2010, p. 452. 

  2. Ibid.