di Paolo Lago

Andrew Culp, Dark Deleuze, a cura di Francesco Di Maio, con interventi di Rocco Ronchi e Paolo Vignola, Mimesis, Milano-Udine, 2020, pp. 118, € 10,00

L’idea di fondo di Dark Deleuze, il pamphlet di Andrew Culp – docente di Media History and Theory al California Institute of the Arts – recentemente tradotto in italiano da Francesco Di Maio per Mimesis Edizioni (che rivestono di una intrigante copertina pop-dark quello che nell’edizione originale – University of Minnesota Press – appariva graficamente e esteticamente come un austero saggio accademico) è che, se Deleuze ha perso la sua incisività di modificare il presente e di produrre un reale sempre nuovo, è necessario allora ‘restaurarlo’, reinterpretarlo in modo che le sue idee e le sue analisi non si trasformino in una sorta di copione già scritto. Culp, per reinterpretare Deleuze, sceglie la categoria dell’oscurità, la quale si staglia contro l’immagine di un Deleuze “della gioia”. L’Oscurità si pone quindi in netto contrasto con la Gioia: per rendere in modo analitico questa opposizione l’autore costruisce una tabella dove diversi concetti deleuziani vengono riletti e rinnovati sotto la voce “Oscuro” (Dark) che si contrappone alla voce “Gioioso” (Joyous). Ad esempio, nel macrotema deleuziano “Il compito”, la ‘parte oscura’ “Distruggere mondi” si contrappone a quella gioiosa “Creare concetti”; in “Affetto”, l’oscuro “Crudeltà” si contrappone al gioioso “Intensità”; in “Nomadismo”, l’oscuro “Barbarico” si contrappone al gioioso “Pastorale”; in “Politica”, l’oscuro “Cataclismatica” si contrappone al gioioso “Molecolare”. Riguardo a quest’ultimo, Paolo Vignola, nella sua (Non)prefazione, ricordando il collettivo parigino Tiqqun, nota che, “se Dark si appoggia veementemente sulla «profezia» di Tiqqun per cui se «la rivoluzione era molecolare, la controrivoluzione non lo fu da meno», non si tratta – almeno per chi scrive – di gettare via il molecolare in nome della rivoluzione, bensì di ripensarlo e farlo fuggire oltre la controrivoluzione tecnologica in atto”. Anche un importante concetto deleuziano come “molecolare” va riletto e ripensato all’interno di una nuova dinamica politica rivoluzionaria. Ed è proprio in nome del “comunismo rivoluzionario” che – nota sempre Vignola – “Dark Deleuze parla del negativo, dell’opposizione, dell’odio per il mondo e della volontà di distruggerlo”.

Nell’introduzione, Culp così riassume i punti più significativi del suo saggio: “In primo luogo mi muovo contro il «canone della gioia» che celebra Deleuze come un ingenuo pensatore affermativo della connettività. In secondo, riabilito la forza distruttiva della negatività, coltivando un «odio per questo mondo». In terzo, propongo un complotto di termini contrari che divergono dal gioioso compito della creazione”. Il bersaglio più immediato di Dark Deleuze è la connettività, cioè la “crescente integrazione di persone e cose attraverso la tecnologia digitale”. In un’epoca come la nostra, dominata dalla digitalizzazione diffusa, attaccare la connettività digitale equivale quasi ad attaccare l’essere stesso degli individui. Come ricorda Culp, Eric Schmidt, presidente del consiglio di amministrazione di Google, ha recentemente dichiarato al World Economic Forum che presto Internet scomparirà perché diventerà “inseparabile dal nostro stesso essere”. Del resto, come ha dimostrato il gruppo Ippolita, Google è un vero e proprio colosso informatico che penetra nelle essenze più private delle persone assecondando a fini commerciali i gusti di quegli stessi individui. E se nel 2016, anno di uscita di Dark Deleuze, la connettività era un importante e diffuso fenomeno sociale, adesso, nel 2020, anno di uscita della traduzione italiana, quella stessa connettività, grazie all’emergenza da Covid-19, è diventata un fatto endemico. Si è realizzato, insomma, ciò che era stato preconizzato dal manager di Google: Internet è diventato inseparabile dal nostro essere. Lo smart working, la didattica a distanza, le varie “app” per monitorare la diffusione del virus sono gli indizi di una connettività che è ormai entrata in una apparentemente pacifica e pacificata sinergia con gli individui. E – continua Culp – “le conseguenze materiali del connettivismo sono chiare: il terrore dell’esposizione, la diffusione del potere e la sovrasaturazione dell’informazione” (non a caso, tutte dinamiche che si stanno ipertroficamente accumulando nel periodo dell’emergenza Covid). Dark Deleuze, contro la gioia ‘democratica’ dei deleuziani connettivisti, suggerisce di creare inattuali “vacuoli di non-comunicazione” (come leggiamo nei Pourparler) che “rompono i circuiti anziché estenderli”.

Il secondo bersaglio del pamphlet è il produttivismo, il quale “si distingue per due principi formali: accumulazione e riproduzione”. Come lo stesso Deleuze afferma in Che cos’è la filosofia?, il produttivismo si configura come la “«formazione commerciale professionale» che aspira a un pensiero semplicemente vantaggioso «dal punto di vista del capitalismo universale»”.

Una significativa parte del saggio è poi dedicata all’analisi delle coppie di opposizione delineate nella già citata tabella posta in calce all’Introduzione. Nel tema dell’Etica, ad esempio, entrano in opposizione “comunismo cospirativo” e “democrazia procedurale”. Il primo appartiene al lato dark, oscuro, mentre il secondo al lato luminoso, gioioso. Come scrive Culp, “la democrazia dovrebbe essere abolita”: un odio che le era già stato riservato da Deleuze all’inizio e alla fine di Differenza e ripetizione. Anche nelle collaborazioni con Félix Guattari, il filosofo francese critica la democrazia chiamandola cugina del totalitarismo. Culp sottolinea il fatto che “la democrazia si basa sempre su un giudizio sovrano trascendente sostenuto da una minaccia di forza” mentre lo stesso Deleuze “abbraccia felicemente un marxismo così anti-statale che rifiuta il progetto democratico”. Una forte critica al sistema democratico è stata poi apportata negli ultimi anni da riletture marxiane radicali come, ad esempio,quella effettuata dal Gruppo tedesco Krisis con il Manifesto contro il lavoro (uscito nel 1999 e tradotto in italiano nel 2003) ove si afferma che “la democrazia è il contrario della libertà” perché in essa “c’è sempre e soltanto la scelta tra Pronto e Dixan, tra peste e colera, tra volgarità e stupidità, tra Kohl e Schröder, tra D’Alema e Berlusconi”. Nel tema del “Nomadismo”, poi, Culp osserva che il nomadismo (grande snodo culturale che il filosofo francese affronta soprattutto in Mille Piani, in collaborazione con Guattari), in Deleuze “sembra pastorale”: “I lavori di Deleuze costituiscono una «grande opera del cavallo», in quanto gli animali appaiono in più della metà della sua pubblicazione”. Ma – nota lo studioso americano – “i nomadi che dissolveranno il capitalismo non sono cowboy ma barbari”, quegli stessi barbari che i Greci avevano così definito perché non sapevano parlare la loro lingua (i barbari, infatti, etimologicamente sono coloro “che balbettano”). Ma non la sapevano parlare perché si rifiutavano, non perché non ne erano capaci e, nel loro attacco alla polis, agivano con una “selvaggia rozzezza che eccede i confini dell’appropriatezza”. Infatti, “i barbari evitano la trappola liberale della tolleranza, della compassione e del rispetto. Il solo rischio è che le loro ferocie si abbatteranno e le loro passioni si ridurranno”.

L’intelaiatura formale e stilistica che tiene in piedi Dark Deleuze sembra essere quasi di matrice situazionista. In esso si ritrova tutta intera la carica provocatoria che muove i movimenti di avanguardia culturale e che permea fin nel profondo i loro libelli: la sintassi spezzata, le brevi frasi provocatorie che enunciano concetti estremi che, a un primo sguardo, potrebbero apparire intrisi di una assurda, cinica violenza fine a se stessa. Comunque, ben vengano, in fin dei conti, le provocazioni, come questi incisi che incontriamo nella Conclusione: “La Morte di questo Mondo ammette l’insufficienza dei tentativi precedenti di salvarlo e piuttosto pone un azzardo rivoluzionario: solo distruggendo questo mondo ci libereremo dei suoi problemi. Questo non vuol dire spostarci sulla luna, ma che rinunciamo a tutte le ragioni per salvare il mondo. Nella mia proclamazione della morte di questo mondo, propongo la critica alla connettività e alla positività, una teoria dei contrari, l’esercizio di intolleranza e il complotto del comunismo”. In definitiva, “la lezione da apprendere è che «dobbiamo vivere doppie vite»: una piena di compromessi che facciamo con il presente, e l’altra nella quale tramiamo per disfarli”.

In chiusura del testo di Culp (peccato per i non pochi refusi grafici che non contribuiscono certo a rendere più facile la lettura) incontriamo un breve saggio di Rocco Ronchi, dal titolo Gilles the Obscure (ripreso dal romanzo “più nero di ogni tempo: Jude the Obscure di Thomas Hardy”). Ronchi passa in rassegna in modo analitico e anche spietato gli snodi più importanti messi in campo da Culp. Basti ricordare la radicalità di uno sguardo filosofico che lo studioso tenderebbe a spacciarci come inedito: “Per il Deleuze dark di Culp la filosofia è radicale se complotta per la fine del mondo. Essa risiederebbe sullo scranno dell’Apocalisse. Non vi è nulla di inedito in questa immagine della radicalità filosofica che Culp contrappone ad ogni dolciastro tentativo di conciliazione con il mondo. È una immagine antica che accompagna la filosofia fin dal suo nascere e che, nel Novecento, è tornata prepotentemente alla ribalta, non a caso nell’epoca in cui si faceva senso comune l’idea di una fine della filosofia”. Comunque, anche se non inedito, lo sguardo filosofico di Culp (che, secondo la critica di Ronchi, risuonerebbe addirittura, per certi aspetti, degli echi di un “irrazionalismo cripto-fascista”) appare estremamente interessante. Se non altro per la critica alla connettività, la quale si dimostra quanto mai attuale: essa, assieme a numerosi altri contributi filosofici e antropologici che mettono in discussione i risvolti ‘pacifici’ e ‘democratici’ della digitalizzazione dell’esistenza, ci fornisce degli strumenti non da poco per ribellarci alla progressiva spersonalizzazione che le attuali necessità di distanziamento stanno operando sulle nostre vite.