di Paolo Lago

Michele Cocchi, Us, Fandango, Roma, 2020, pp. 319, € 17,00.

In Ready Player One (2018) di Steven Spielberg, in una Terra del futuro devastata dall’inquinamento e dalla sovrappopolazione, le persone si rifugiano nel mondo virtuale di Oasis, una specie di grande videogioco che regala un vero e proprio universo parallelo, una vita finta da opporre alla miseria che attanaglia quella vera. In eXistenZ (1999) di David Cronemberg, in un futuro non precisato, un gioco regala ai partecipanti una dimensione parallela, alternativa alla realtà ma del tutto realistica. In questi due film, in futuri più o meno distopici, gli esseri umani si immergono in mondi virtuali per dimenticare quello reale.

La stessa contrapposizione fra mondo reale e mondo virtuale la ritroviamo in Us di Michele Cocchi, recentemente uscito per i tipi di Fandango: un romanzo che tematizza, tramite il conflitto fra questi due universi paralleli, le problematiche dell’infanzia e dell’adolescenza (l’autore è infatti uno psicoterapeuta dell’infanzia e dell’adolescenza e già in un suo precedente romanzo, La casa dei bambini, aveva affrontato il momento difficile della crescita e del passaggio dall’infanzia all’età adulta). Oltre ad affrontare tali problematiche, l’intelaiatura narrativa realizzata da Cocchi attua una vera e propria immersione in alcuni dei conflitti più sanguinosi del Novecento. I personaggi, grazie al loro videogioco di ultima generazione, Us, si trovano proiettati in diversi luoghi del mondo, teatro di svariate guerre e guerre civili: nella ex Jugoslavia del 1992, nel Libano dell’inizio degli anni Ottanta, nel bel mezzo del conflitto con Israele, nel Sudafrica di Nelson Mandela uscito da poco dalla piaga dell’apartheid, nell’Etiopia conquistata dal regime fascista, nella Germania nazista, in Colombia a fianco delle Farc. Logan, Hud e Rin, con i loro avatar, entrano nella realtà virtuale di Us e vivono le loro avventure virtuali, ora a fianco dei ‘buoni’, ora dei ‘cattivi’, come prescrivono le regole del gioco in quelle determinate azioni, o “campagne”. Tommaso, alias Logan, vive in una situazione di estremo disagio: non esce di casa da 18 mesi per un problema psicosomatico, dopo aver interrotto qualsiasi tipo di relazione con il mondo esterno, dallo sport alla scuola. Il racconto di Us si srotola dunque in due dimensioni che procedono parallele: da un lato, la vita di Tommaso nella sua casa in un piccolo paesino della Liguria, vicino al confine con la Francia, i suoi rapporti difficili con i genitori e i fratelli, la vita quotidiana con i suoi mille problemi e le sue ansie; dall’altro, l’universo virtuale del videogioco, in cui è chiamato ad affrontare missioni pericolose e a dover scegliere chi aiutare e chi ostacolare o, addirittura, uccidere.

A differenza dei videogiochi e dei mondi virtuali dei film sopra citati, però, Us possiede qualcosa in più: il fatto, cioè, di creare non dei mondi fantastici e immaginari ma di ricreare, invece, delle situazioni reali, in cui sono ricostruiti, come già accennato, degli importanti conflitti del Novecento. I personaggi si trovano così inseriti in situazioni reali, pure se ricreate artificialmente dal gioco, che hanno vissuto persone realmente esistite. Se Rin, l’unica ragazza del gruppo, e Logan-Tommaso, in queste situazioni, si pongono dei problemi, Hud, che appare come il più cinico e il più sprezzante fra i tre, ripete che si tratta soltanto di un gioco. Eppure, Tommaso, avverte qualcosa di umano anche nella realtà virtuale in cui loro agiscono solo con i loro avatar: “Il problema è che Us propone loro fatti realmente accaduti, pensa, qualcuno queste cose le ha realmente vissute, è questo che lo disturba”. Us pone i propri giocatori di fronte ad una umanità che ha veramente vissuto quelle situazioni: anche nelle avventure virtuali del videogioco, probabilmente, sono nascosti degli esseri umani che soffrono, come i tre personaggi ricorrenti nelle varie “campagne”, dai nomi di Giovanni, Davide e Maria.

Come si può capire, al centro del nuovo romanzo di Michele Cocchi non vi è soltanto la contrapposizione fra il mondo reale e quello virtuale ricostruito dal videogioco, ma una continua riflessione sulle azioni da compiere nella vita quotidiana. Se Tommaso confonde la realtà e la propria esistenza con l’universo parallelo di Us, si insinua in lui una pungente riflessione sulla giustezza delle proprie azioni e sulla dimensione umana, sul compiere scelte che stiano dalla parte dell’umanità, pure all’interno del mondo virtuale del videogioco. Ed è grazie a questa lenta scoperta della dimensione umana che potrà finalmente crescere ed essere responsabile delle proprie azioni, risolvendo i suoi problemi psicologici adolescenziali. Se egli desidera essere un eroe, e forse lo può essere nella finzione del videogioco, dovrà scoprire che nella realtà non c’è bisogno del concetto di eroe, che l’eroismo consiste semplicemente nel rimanere profondamente attaccati alla propria dimensione umana. La dimensione virtuale di Us si trasforma, allora, in una specie di banco di prova per affrontare la vita, come afferma Luca, alias Hud: “«Metterci alla prova», continua Luca, «ho imparato più cose sulla storia del Novecento in due mesi che in dodici anni di scuola. Us ci costringe a essere vittime o carnefici, militari o ribelli, violenti o pacifici. All’inizio ti sembra uno sparatutto come gli altri, sei forte perché hai un fucile ma poi capisci che avere un’arma non è decisivo, che nella vita Tommaso si può scegliere, si deve scegliere»”.

Senza svelare troppo la trama, è necessario comunque ricordare che i personaggi, alla fine, si troveranno coinvolti in un’azione reale in cui si trovano schierati dalla parte dell’umanità: aiutare una famiglia di immigrati irregolari africani ad attraversare il confine con la Francia. Abbandonati gli avatar, essi si riappropriano fortemente dei loro corpi e della loro dimensione umana: non devono più sottomettere le loro scelte alle opzioni del gioco, non devono più compiere azioni disumane soltanto per accumulare maggiore punteggio. Scelgono di stare dalla parte dell’umanità, pure se nell’illegalità, contro l’ordine costituito e i pattugliamenti delle “ronde” che cercano di bloccare i migranti irregolari. I ragazzi si troveranno quindi di fronte alla scelta che li fa crescere e maturare, come il giovane protagonista di Terraferma (2011) di Emanuele Crialese, il quale, infrangendo una legge disumana, aiuta una ragazza africana e la sua bambina a fuggire dall’isola di Linosa e a raggiungere il marito che risiede a Torino.

Il ritorno definitivo alla dimensione umana risuona come una vera e propria catarsi segnata dal riso, un’espressione profondamente legata al corpo. Tommaso e gli altri, compiuta la loro azione, scoppiano a ridere, come in uno scioglimento della dimensione tragica che li aveva avvolti fino ad allora. Se nel gioco, dal significativo nome di “Us” (“Noi”) era necessario essere sempre in accordo con i membri della propria squadra e comportarsi come fratelli, nella realtà, in una nuova dimensione fraterna, il corpo si sostituisce all’avatar. Riappropriatisi dei loro corpi, i personaggi saranno finalmente liberi di scegliere e, nel più difficile e complesso fra i mondi attraversati, quello reale, sceglieranno l’apertura all’altro, l’ibridazione, l’umanità contro tutte le chiusure, tutte le paure, tutti i fascismi.