di Franco Pezzini

La mazurka del barone, della Sophiale e della posizione

Cerchiamo di recuperare i fili. 1931, Parigi: in un incrocio trafficato della città, uno sconosciuto porge a Maria de Naglowska (cfr. seconda puntata) un manifestino. Degli editori in viaggio, vi si annuncia, intendono pubblicare una lussuosa edizione del Magia Sexualis di Paschal Beverly Randolph (cfr. prima puntata). Il distributore dei volantini scompare subito, ma una voce – interiore? – annuncia a Maria che sarà per lei, perché ne è degna… A suo dire, circolava la storia di note segrete di Randolph ancora da trascrivere in modo leggibile e che da un sessantennio una serie di ostacoli avrebbe sempre impedito di pubblicare. A suo dire, e non si hanno conferme indipendenti: dunque potrebbe anche trattarsi – ormai un po’ la conosciamo – di spregiudicata pubblicità dell’opera.

Si è datato l’episodio 1931 in quanto data probabile, lei resta un po’ nel vago: comunque ad aprile 1931 riceverebbe materialmente il manoscritto – proprio in un momento critico per la sua rivista “La Flèche” che rischia di chiudere – provvedendo a tradurlo. Un’operazione magica, sostiene, le permette di scegliere l’editore Robert Télin; ma in realtà dalla pubblicità sul “Figaro” risulterebbe che lo svizzero Télin, che è anche libraio, scrittore e conferenziere attento ai filosofi americani e con un passato un tantino controverso, era già detentore del manoscritto… Teniamo presenti queste due versioni, tra poco ne arriverà una terza.

Comunque l’operazione viene avviata e La Sophiale può consigliare ai lettori di “La Flèche” l’acquisto del volume, le cui copie – garantisce – si esauriranno prima di quanto non si pensi, a sostegno della stessa rivista. Chi abbia letto e studiato Magia Sexualis può non dubitare più che dal sesso, compreso e praticato nel modo corretto, scaturisce la verità. Anche se Maria tiene a sottolineare (nel 1933, sempre su “La Flèche”) un proprio ruolo autonomo dal “celebre americano” indicato come autore: lei non è discepola di Randolph, ma l’annunciatrice di una nuova religione, rivelatale a Roma e da lei riportata con parole umane nell’opera La Lumière du Sexe. Qualcosa che non è in contraddizione con i contenuti di Magia Sexualis, ma sarebbe frutto – spiega – di un’illuminazione diversa. Randolph ragiona come teosofi ed esoteristi della vecchia scuola, cioè in termini individuali e sostenendo l’evoluzione indipendente di ogni particella animica: un’ottica però fondamentalmente  egoistica, generatrice in ultima istanza di tutti i mali del genere umano. Al contrario il divino insegnamento che Maria proclama è che non esiste nulla di meramente individuale o separato: gli esseri umani non procedono verso l’Unità, ma sono l’Unità, e la separazione delle particelle dell’Universo sarebbe un’illusione di quel satanismo maschile cui appartengono tutti gli uomini della cultura e delle religioni “antiche”, Randolph compreso.

Tutto chiaro? Fino a un certo punto. Infatti a fronte di un bacino importante – come abbiamo visto – di scritti di Paschal Beverly Randolph di autenticità sicura e pubblicati a suo tempo nella lingua dell’autore, il grosso problema è che al contrario il testo di Magia Sexualis non emerge per vie diverse dall’edizione francese. Il che significa che del testo edito da Télin con curatela di Maria non abbiamo un originale nella lingua in cui Randolph era solito scrivere. Certo, in teoria un presunto testo originale inglese dovrebbe in prospettiva vedere le stampe: a fine dicembre 1931 secondo le pagine pubblicitarie nel corpo della stessa edizione, a fine febbraio 1932 a detta di “La Flèche” (1931, n. 8), ma in realtà non comparirà mai (mentre verranno edite traduzioni in inglese del testo francese, ma è chiaramente un’altra cosa). Non solo: a dispetto delle parole di Maria – che, ormai lo sappiamo, vanno prese con parecchia cautela –, non perviene altra testimonianza su materiali di Randolph con tale specifico contenuto circolanti tra un lato e l’altro dell’Atlantico.

Ma è meglio esaminare questo e altri problemi con il testo davanti, nell’ultima edizione italiana per i tipi delle romane Edizioni Mediterranee: e già sembra strambo che di tutta l’opera del Dumas d’America nel Belpaese sia stato tradotto solo un campione tanto dubbio. Eppure il volume merita due parole perché traghetta a plaghe dell’immaginario anche molto più vicine a noi. La prefazione è – sorpresa – del vecchio frequentatore di Maria, Julius Evola, e la Nota introduttiva di Gianfranco de Turris, “segretario della Fondazione Julius Evola, per conto della quale cura tutte le ristampe dei libri del filosofo tradizionalista” (traggo da Wikipedia) nonché co-curatore del volume assieme allo specialista di cose naglowskiane Vittorio Fincati. Dove i nomi di Evola e de Turris già indirizzano in termini trasparenti verso una certa area ideologica.

Apparso nel 1969, Magia Sexualis ha conosciuto due successive edizioni – 1977, 1996 – prima della quarta 2017 riveduta e ampliata: un ampliamento che ci si poteva giustamente attendere (nelle prime c’era solo il testo randolphiano con la Prefazione di Evola), a fronte delle maggiori notizie emerse. Va detto subito che l’opera non è affatto un Kamasutra in salsa occulta, come potrebbe pensare il lettore ingenuo di fronte al titolo, e presenta ben poco di pruriginoso: le posizioni ci sono, ma niente che soddisfi appetiti facili.

Cominciamo dalla struttura del testo attribuito a Randolph, venticinque capitoli, a partire dalle note introduttive (capp. 1-4). Si parla poi dei principi-cardine di questo impianto esoterico (capp. 5-8): volitismo, cioè autodominio e tensione ad accrescere le proprie forze; decretismo, la decisa capacità di recare mutamenti; posismo, il nesso plastico tra postura e altri elementi dell’atto magico; tiroclerismo, potere di evocazione. Seguono un corpus centrale sulla magia (capp. 9-18), e una sezione finale sugli specchi magici (capp. 19-25). Al di là dell’interesse “tecnico”, alcuni capitoli sono di grande suggestione narrativa: il cap. 13 sulle cariche magiche parla del modo di fissare intere scene a certi oggetti rendendole visibili attraverso il tempo; i capp. 23 e 24 si soffermano su quadri o statue viventi, cioè immagini capaci di animarsi.

Come detto, il testo non ci giunge nell’originale inglese degli scritti del Dumas d’America: si tratterebbe infatti della riproposta non di un’opera in sé compiuta (non esistente in quanto tale), ma di istruzioni interne di un gruppo magico legato a Randolph, anzi della selezione di una parte del relativo corpus circolante in forma manoscritta. Come curatrice, Maria l’avrebbe tradotto in francese “costruendo” l’opera in forma di volume. Secondo la Nota finale della curatrice il gruppo sarebbe la stessa Eulis Brotherhood di Randolph, e il materiale corrisponderebbe alla seconda parte del secondo grado degli insegnamenti ai membri. Nella Nota si sottolinea il senso della scelta di omettere qualche porzione del corpus (nozioni astrologiche generiche, ricette che potrebbero condurre gli incauti a sperimentare sostanze pericolose) e il fatto che il manoscritto completo delle istruzioni fosse in sessanta copie (manoscritte) per i membri.

Eppure il testo pare strano. Vi troviamo una tensione sistematica non altrove documentata in Randolph (corrispondenze, ore e giorni appropriati ai riti, eccetera), un’attenzione all’astrologia quasi assente dagli altri suoi scritti, e un impianto linguistico che rende difficile intravedere un testo inglese a monte: elementi che hanno portato a maturare un certo scetticismo sulla genuinità dell’attribuzione. Anche se è vero che non si tratta di criteri assoluti, tanto più che non disponiamo di simili istruzioni per gruppi autenticamente gestiti dal mago americano.

In realtà Maria parla nella Nota finale di “note manoscritte […] servite alla redazione”, un’espressione un po’ generica che fa pensare a un libero adattamento più che a una traduzione nel senso filologico. A comprendere per esempio materiale confezionato non dal magister ma da uno più collaboratori come certe dispense universitarie; oppure, come si è inteso, insegnamenti sempre di Randolph ma di tradizione orale, che Maria avrebbe espresso con una certa libertà. Del resto nel periodo successivo alla morte del Dumas d’America le sue idee sono state abbondantemente rielaborate nell’ambito di gruppi come la Hermetic Brotherhood of Luxor o ad opera di entusiasti come Reuben Swinburne Clymer (ne parleremo tra poco). Il materiale di Randolph che arriva a Maria può essere insomma già spurio: il che non è strano, considerando come i testi operativi magici siano spesso opere stratificate, e il riferimento a un nome non implica un rigore filologico nell’attribuzione.

Dato interessante, si è osservato come nel lancio di Magia Sexualis su “La Flèche”, vengano menzionati titoli di capitoli che poi non compaiono nel testo edito (per esempio sull’onanismo evocatorio e su tecniche magico-sessuali per ringiovanire), a far pensare a un corpus più ampio di materiali “randolphiani” – con tutte le virgolette del caso – circolanti nel sottobosco magico in cui La Sophiale si muove. Di più, la Nostra potrebbe avervi inserito materiali “altri” che le parevano congrui: e Mario Praz ha fatto notare come uno dei capitoli rechi una sospetta consonanza con una scena dal romanzo di Joséphin Peladan, À coeur perdu (1888).

Ma, fatta salva una base di idee effettivamente di Randolph, Fincati – che interviene sul tema anche in una pagina di appunti online molto ricca di documenti, Una gnostica a Montparnasse. Maria de Naglowska – ipotizza una tesi ancora più radicale: cioè la costruzione a tavolino da parte di Maria, con la complicità del disinvolto Télin, di un testo che Randolph non avrebbe mai scritto neppure nella forma di istruzioni, ma che ne conterrebbe semplicemente un po’ di idee rivedute e corrette pescate dai suoi volumi più noti, mischiate a quelle di altri e della stessa Sophiale. Chi si occupa di testi sacri (di tutti i tipi) o magici sa che non solo in molti casi si tratta di opere “collettive” – in più forme – ma che le attribuzioni sono spesso tendenziali, magari per nobilitare i testi medesimi o inscriverli in una certa tradizione: il concetto di diritto d’autore è in questo senso un’urgenza moderna e laica, ma nella realtà piuttosto conservativa dell’occulto i poli dell’entusiasmo e della truffa vedono infinite posizioni soggettive intermedie. Cercando una sintesi, diciamo che si tratta di materiale di gruppi che in qualche modo si rifanno a Randolph: e in assenza (almeno per ora) di dati più sicuri non resta che accogliere l’attribuzione in chiave problematica.

Ma riprendiamo l’esame dell’edizione per Mediterranee. Che nello specifico rimonta a una copia dell’originale francese rimasta alluvionata a Firenze nel 1966 e passata da un amico appunto a Julius Evola, che l’aveva tradotta. Il risultato è oggi questa nuova edizione con carta elegante (questa collana è molto bella) e di oggettivo fascino per i mille misteri che intesse. Il testo “randolphiano” con la Nota finale di Maria vi occupa le pp. 39-174. Il resto del volume presenta una serie di materiali di interesse che va ben oltre lo specifico del contenuto magico.

A partire da una serie di testi riguardanti Maria, dove si apprezza l’apporto di Fincati, che offre una netta svolta qualitativa rispetto alle edizioni precedenti. Già traduttore in Italia dell’opera Le Rite Sacré de l’Amour Magique, e forte di ricerche documentali complesse, lo studioso dedica un contributo erudito (pp. 21-28), in generale accurato, equilibrato e tale da render conto della problematicità del personaggio della Sophiale. Colpisce solo il tenore di alcune espressioni (“Preferiamo tacere sugli aspetti di mistificazione sfacciata e anche stupida, oltre ai deliranti attacchi di misticismo, con i quali essa ha infarcito i suoi due libri successivi”): le dottrine naglowskiane presentano tutte le equivocità denunciate, ma resta la sensazione che esoteristi di sesso maschile non verrebbero stigmatizzati con una simile durezza terminologica. Fincati ricorda comunque le conoscenze esoteriche che Maria mostra di avere, forse tramite contatti con la sezione francese della Confraternita di Luxor, o attraverso ambienti russi; e per la profetessa del Regno della Madre istitutrice di sacerdotesse dell’amore parla correttamente di femminismo sacro, anche sul filo delle riflessioni di Sarane Alexandrian. Citandolo anche quando dice: “Con un’audacia serena, Maria de Naglowska ha attaccato le convenzioni che paralizzano la destinazione occulta della donna, e non soltanto le convenzioni sociali ma anche il partito preso sentimentale”. (Anche se poi sempre Alexandrian se ne esce con alcune espressioni che comunque riportano a un certo spiacevole sottomondo ideologico: “Oggi, la donna che vuol essere uguale all’uomo coltiva a dismisura la ragione. È questo il grande errore del secolo e l’origine di tutti i mali di cui soffriamo”, eccetera – lascio alle lettrici di esprimersi.)

Fincati osserva però che a dispetto degli entusiasmi dei discepoli la magia sessuale della donna naglowskiana risulta, “in fin dei conti, in funzione del maschio”: e nutre riserve sulle fantasie di riforma della società e sulla sostanza del femminismo proclamato dalla Sophiale, visto più come una patina superficiale che una radicata convinzione. Nella citata pagina web dove raccoglie parecchio materiale su di lei (e offre un gustoso bozzetto di Evola, non presentabile nel volume curato in coppia con l’evoliano de Turris) Fincati chiarisce anche meglio: il ruolo della donna come ierodula dei misteri del sesso magico non c’entra nulla con le rivendicazioni femminili sulla parità di diritti. Il che è vero, e le posizioni politiche di Maria negli anni Trenta non autorizzano a pensare diversamente. Ma come spesso succede, la forza intrinseca di una posizione libertaria esonda ben oltre le categorie di chi l’aveva abbozzata: per cui, a dispetto di tutte le sue ambiguità, la bizzarra gnosi di Maria de Naglowska volta all’instaurazione del Regno della Madre e alla liberazione da cinque millenni di patriarcato finisce con il recare provocazioni sociali più forti – e con un baricentro comprensibilmente un po’ spostato – di quelle che lei intendeva proporre. Confluendo in un più ampio filone di femminismo “magico” (in tutte le possibili accezioni) in chiave di garanzia di futuro e di urgenza di ridiscussione della dinamica tra sessi, compresa quella imperante in certo mondo esoterico.

Fincati, che cita volumi anche recenti, cura poi personalmente una Premessa al testo “randolphiano” su alcune peculiarità dell’edizione del 1931 (pp. 31-32) e un’Appendice con un paio di documenti (pp. 175-185) che chiariscono meglio le posizioni naglowskiane. Da questo versante, insomma, l’edizione soddisfa le esigenze di un lettore che cerchi buona informazione.

Dove il testo convince meno – e il recensore, partito con grandi speranze, è rimasto deluso – è nella parte dedicata a Randolph. È vero, il materiale della Magia Sexualis è di attribuzione dubbia: ma visto che è il nome di Randolph a comparire nell’intestazione, che l’opera ne contiene (almeno in parte, almeno indirettamente) il pensiero e che di lui all’interno si parla il problema sorge. Anche qui, esaminiamo il materiale offerto: dopo la Premessa di Fincati troviamo una Breve nota biografica “storica” su Randolph, tratta dall’edizione 1931 e firmata da tale Allan F. Odell, che l’editore presenta semplicemente come “studioso americano” (pp. 33-34), poi un profilo sempre di Randolph a firma di Maria (pp. 35-37). Quale il problema? Il fatto che i dati siano fermi alle conoscenze degli anni Trenta. E cioè al ritratto mitizzante e manchevole di Randolph che circola dagli inizi del secolo, legato alla fantasiosa e agiografica ricostruzione spacciata dall’occultista e medico alternativo americano Reuben Swinburne Clymer (1878-1966) a colmare la scarsità di notizie allora reperite sul Dumas d’America.

Clymer, entusiasta di Randolph di cui si sente erede tramite i gruppi rosicruciani americani, prende a ricollegare disinvoltamente a lui le proprie fondazioni magiche: fatto in sé non strano, è un classico dei gruppi esoterici cooptare fantasiosamente qualche figura del passato come fondatore virtuale, onorario. Ma soprattutto, convinto della propria affidabilità di storico dell’esoterismo, Clymer produce un Randolph rivisto e corretto in un mischione che ne semplifica idee e contraddizioni, lo inserisce in una più ampia traditio rosicruciana egizia, e lo aggancia – tramite fantomatici contatti, o nessi societari, o suggestioni di vario tipo – a personaggi eccellenti della grande storia magica e non: il Conte di St. Germain (circa 1691/1712-1784), Albert Pike (1809-1891), Éliphas Lévi (1810-1875), Alexandre Saint-Yves d’Alveydre (1842-1909), Gérard Encausse detto Papus (1865-1916) e lo stesso Napoleone III. Clymer enfatizza anche i rapporti tra Randolph, il suo ordine e Lincoln, accrescendo di molto il peso del Dumas d’America agli occhi del presidente. Le oscurità sopravvissute nella ricostruzione vengono presentate come inevitabilmente frutto di distruzioni documentali da parte di nemici di Randolph, identificabili (è ovvio) in quelli dello stesso Clymer, di continuo coinvolto in furiose polemiche. E visto che scrive molto, i suoi scritti resteranno influenti negli studi su Randolph proprio a causa della difficoltà per molto tempo di trovare notizie credibili. Gli studi recenti permettono oggi di prendere queste ricostruzioni con beneficio d’inventario e di ridimensionarne le suggestioni.

È quello di Clymer, comunque, il ritratto di Randolph che emerge nella paginetta dell’americano Allan F. Odell: e per inciso non è chiaro se possa trattarsi dello studioso di scienze di tal nome citato in pubblicazioni d’epoca, di un ignoto omonimo, o piuttosto di uno pseudonimo d’occasione per Maria (il contenuto della paginetta, ma senza firma, appare anche in “La Flèche” 1931, n. 8) o eventualmente per lo stesso Télin (magari ispirato dai cataloghi dove si muove abilmente) onde offrire una patina di americanità al tutto.

Quando dunque “Odell”, chiunque sia, parla del successo di Randolph negli ambienti occultisti europei ed elenca una serie di nomi eccellenti con cui avrebbe avuto rapporti – il generale Ethan Allen Hitch(c)ock militare e studioso di alchimia, Éliphas Lévi, lo scrittore e occultista Bulwer-Lytton, Charles Mackey (probabilmente Mackay, autore di Extraordinary Popular Delusions and the Madness of Crowds, 1841), l’erudito massone Kenneth Mackenzie e altri “scrittori massonici”, il conte Brasinsky (Brasynsky), Napoleone III, il medium Alexis Didier e suo fratello Adolph(e) scrittore di temi mesmerici, il conte Tsovinski, il generale Pélissier duca de Mal(a)koff, Hargrave Jennings teorizzatore del fallo come simbolo originale di tutte le religioni – sta in realtà importando suggestioni da un romanzo dello stesso Randolph, The Wonderful Story Of Ravalette, come se il personaggio più o meno autobiografico fosse tout court l’autore (sul tema cfr. Joscelyn Godwin, Theosophical Enlightenment). I contatti in questione sono tutti da verificare e richiamano piuttosto a un’idea astratta di comunità magica e rosicruciana.

Stesso discorso per la fantomatica missione in Russia da parte di Lincoln, presentata così: “Non si capisce bene quale fosse la sua missione, ma certamente fu di ordine sia occulto che politico. Probabilmente si trattò di sollecitare un appoggio russo per controbilanciare l’Inghilterra”, dove al netto della stima di Lincoln per un uomo come Randolph, è pura spy story pensarlo inviato in funzione diplomatica. Certo, non sarebbe teoricamente impossibile che nei suoi viaggi verso il Vecchio Mondo il Dumas d’America si fosse trovato a porre piede anche in territorio russo; ma la missione così descritta è una bufala, dove “Odell” sta rifacendosi agli entusiasmi di Clymer.

Qualunque sia il legame con “Odell”, a questo ritratto fantasioso di Randolph attinge comunque anche Maria per il profilo offerto sia su Magia Sexualis sia altrove: come su “La Flèche” n. 7, dove ne tira fuori una delle sue. Forte della propria origine russa, La Sophiale sostiene di avere ricevuto una prima iniziazione da una defunta e non meglio identificata principessa Elena in una filiale della loggia di Randolph da lui fondata a San Pietroburgo nel suo fantomatico viaggio. Poi certo, si tratta di capire se non esistesse qualche cenacolo esoterico russo che fantasticava una fondazione randolphiana: ma dato il tenore un po’ retorico dell’affermazione, viene più da pensare alle solite fantasie di Maria. Davvero un personaggio su cui varrebbe la pena lavorare letterariamente.

Il tutto per tacere di veri e propri errori: “Odell”, parlando delle opere di Randolph, scrive “solo alcune delle quali furono pubblicate lui vivente”, il che suona paradossale per un autore tanto editato (e fa sorgere ulteriori dubbi sull’americanità dell’autore); mentre Randolph non può aver cominciato gli studi, come sostiene Maria, “in seno alla Società segreta nota con le cifre H.B. of L. (Hermetic Brotherhood of Luxor)” la cui fondazione è parecchio più tarda.

Per inciso, il Randolph che possono conoscere Hoffmann Price e Lovecraft è evidentemente quello di Clymer. Ma (alla luce di quanto detto nella prima puntata di questa serie) considerato il botto nel 1931 di Magia Sexualis che fa conoscere Randolph in Europa e il numero di americani su e giù dalla Parigi della Sophiale, fa riflettere che “Through the Gates of the Silver Key” venga scritto tra ottobre 1932 e aprile 1933: a fronte delle curiosità occultistiche del complice di HPL, un nesso anche solo accidentale nella genesi del personaggio Étienne-Laurent de Marigny potrebbe insomma trovare ulteriore credibilità.

Tornando però all’edizione italiana, niente di male nell’offrire su Randolph quei dati un po’ disinvolti per mancanza all’epoca di documentazione, e che possono anzi evocare un clima d’epoca: ma oggi andrebbero robustamente glossati. Come detto, negli ultimi decenni su Randolph sono usciti parecchi volumi importanti con una quantità di informazioni affidabili sulla sua vita, sui gruppi frequentati via via, sul loro clima ideale, eccetera: e nessuno di questi viene qui citato. Tantomeno la fondamentale (e oltretutto bellissima) già menzionata unica biografia di John Patrick Deveney con Franklin Rosemont del 1996. L’unico cenno che fa intuire si conosca l’esistenza di altra letteratura è un’informazione-lampo (quasi invisibile) nell’aletta di terza di copertina, dove la biografia di Randolph viene liquidata in due parole veloci comprensive di queste frasi: “Si dedica attivamente alla politica, diventa amico di Lincoln e, dopo la guerra civile, si batte per i diritti dei neri. / Dopo il 1866, deluso dalla politica, si consacra esclusivamente” eccetera. Ma gli studi mostrano compatti che Randolph è stato a tutto tondo e lungo tutto il corso della vita il sostenitore convinto – e per anni militante, anche prima della guerra – di una serie di diritti civili e politici, un importante (sì) intellettuale afroamericano: la sua vita non si è esaurita nei salotti magici d’Europa o in strambe missioni segrete, ma è stata spesa molto trasparentemente tra ambienti black dove recava forme di coscientizzazione e altri, come quelli dello spiritualismo americano, che almeno in parte muovevano su posizioni progressiste. In sostanza, l’omissione di tutta la letteratura su Randolph successiva agli anni Trenta nasconde quasi completamente questa figura schierata per richiamare soltanto, e in termini un po’ fantasiosi, l’esoterista esotico. Sì, è vero: stiamo parlando della curatela di un testo di magia, non di una biografia dell’“autore”. Ma per un’edizione arricchita del 2017 (cioè a distanza di più di vent’anni da una biografia ormai ricostruita dettagliatamente) tale silenzio sembra davvero un po’ grave.

Non possiamo però dimenticare chi promuove inizialmente la pubblicazione della Magia Sexualis, cioè Julius Evola, che vi fornisce una Prefazione (pp. 11-19). Interessante senz’altro per gli studiosi di Evola, ma molto poco per quelli di Randolph: le critiche che gli muove con una certa sufficienza (“Chi non è digiuno per quanto riguarda la letteratura sulla magia e sulle scienze esoteriche senza, per questo, indulgere in fantasie, dovrà leggerlo con molta prudenza, unita anche con una certa indulgenza”) partono da interpretazioni esoteriche di un certo mondo che non è affatto quello del primo mago americano, né della Sophiale, né di un intero filone di altri occultisti. Per esempio in tema di polarità sessuale, di cui Evola (tra soavi cenni al “pregiudizio evoluzionistico, […] quello umanitario” eccetera) discetta come se si trattasse di inattaccabili dati scientifici: “Le cose stanno in modo alquanto diverso”… Ma è abbastanza evidente che in questione sono solo differenti scuole di pensiero, sulla base di diversi – e tutti discutibilissimi – sistemi magici e antropologici.

Piuttosto, come osserva Introvigne nel suo bellissimo I satanisti (Sugarco 2010), può stupire che Evola consideri un testo dubbio quale Magia Sexualis come davvero rappresentativo delle idee di Randolph. È vero che in quel contesto “il barone” avanza anche dubbi su possibili manipolazioni dell’opera da parte della Sophiale. Ma sembra chiaro che, con tutto il suo sussiego, Evola sappia meno di quel che immagini di sapere.

A coronare il volume edito da Mediterranee è un’interessante Nota di Gianfranco de Turris (pp. 7-10), che ricostruisce gli eventi del contatto di Evola con l’editore e dell’arrivo di Magia Sexualis alle stampe in Italia. Ma interessante anche per due aspetti specifici.

Il primo riguarda la presunta disinvoltura dell’erotologo Evola e un suo “certo gusto a scandalizzare” lo stesso mondo di destra, per esempio attraverso un’intervista (1970) con un redattore di “Playmen”, il barone Enrico de Boccard (sul personaggio, cfr. qui). “Nella ‘candida conversazione’ con de Boccard, il filosofo criticò, ma non dal punto di vista bigotto, anzi all’opposto, il modo in cui la ‘rivoluzione sessuale’ affrontava la questione per andare ben oltre essa”: a ostentare il ritratto di un personaggio di larghe vedute che insomma piaccia al pubblico di oggi. Peccato che poche pagine dopo, nella Prefazione, Evola appaia figura un po’ diversa. Non tanto quando liquida Maria – con cui aveva collaborato a lungo, che l’aveva aiutato a tradurre in francese La parole obscure du paysage intérieur – Poème à 4 voix (1921), gli aveva offerto spazio e forse altro (di volta in volta i due sono stati detti amanti, o legati da una relazione tantrica o semplicemente da forti passioni comuni) – con un giudizio sprezzante sul suo sistema di iniziazione “‘satanica’, in tutto ciò essendo abbastanza evidente uno scandalismo a fini pubblicitari”: possiamo leggerla come valutazione meramente “tecnica”, anche se ci si può chiedere perché a quel punto lui mandasse contributi per “La Flèche”. Però a lasciare attoniti è soprattutto l’assoluto silenzio sul fatto che si siano conosciuti e la distanza che pone, come trattasse di un’estranea. Insomma l’Evola dalle presunte larghe vedute sembra comportarsi non diversamente dagli imbarazzati borghesucci desiderosi solo di far dimenticare ogni proprio trascorso con la scandalosa Maria.

Ma c’è un aspetto intrigante più generale in filigrana all’episodio dell’intervista su “Playmen”. Nella ricerca da parte del neofascismo di aree culturali sensibili e non già saldamente presidiate da forze dell’arco costituzionale, Evola aveva (anche comprensibilmente) individuato nell’erotologia un terreno interessante: e negli ultimi anni Sessanta il boom della rivoluzione sessuale finisce con l’aprire promettenti spazi di accreditamento per una destra che vuole presentarsi rinnovata. Un altro settore storicamente frequentato dall’estrema destra era poi quello dell’esoterico, anche se nel Revival magico che vede il botto proprio alla fine del decennio si afferma una forte concorrenza delle culture alternative di sinistra. Ma a quel punto è chiaro che proporre nel 1969 Magia Sexualis – cioè un’opera che coniuga erotologia ed esoterismo – non appare operazione ideologicamente neutra: sarebbe ingenuo pensare di trattarla come intrapresa puramente filologica di un testo di occultismo.

Il che finisce col traghettare all’oggi. Lo storytelling di estrema destra ama ancora considerare come una propria trincea – e grazie soprattutto a Evola e alla sua scuola – alcuni temi-chiave, con una rumorosa cassa di risonanza oggi sui social: in particolare nel mondo di un fandom weird dove de Turris è attivissimo, con una ricca serie di curatele editoriali, non sempre il pubblico comprende il gioco di sottotesti ideologici di alcune interpretazioni (enfatizzazioni, omissioni). Con l’emersione qui e là sul web di idee assunte acriticamente a dogmi:

  • il complottismo di sinistra contro le interpretazioni simboliche;
  • la bieca e cieca incomprensione da parte della critica progressista delle dottrine esoteriche e quindi dei relativi autori;
  • la lettura tout court del panorama dell’esoterismo sotto un cappellino evoliano.

Sul primo punto: solo una scarsa informazione (usiamo un termine morbido) diffusa in questa Italia può pensare di esaurire una dimensione fondamentale come il simbolo nella simbolica di parte di una certa tradizione. Il problema starà piuttosto nell’usare le interpretazioni simboliche in termini congrui al contesto, dove le intenzioni dell’autore e il suo retroterra culturale e storico le rendono credibili, e non appigliandosi a vaghezze metastoriche costruite in chiave ideologica (e manipolatoria). Siamo simboli e viviamo in essi, diceva Emerson: la prima parte dell’espressione conduce su vie sottili e di credo anche personalissimo che non è questa la sede per discutere, ma la seconda parte finisce col richiamare discorsi già altrove affrontati – e cari a questa testata – sul potere dell’immaginario. Chi ha scritto su ciò pagine a tutt’oggi preziose è Furio Jesi, non a caso uno dei nomi più temuti dall’estrema destra. Mentre l’enfasi entusiasta di certo fandom sui “pionieri delle interpretazioni simboliche” (in particolare quelle postevoliane di autori come Tolkien e Lovecraft) non arriva a porsi il problema della congruità storica e filologica del relativo contenuto e della motivazione ideologica un tantino capziosa del tipo di approccio.

Sul secondo punto: il dogma gioca sulla confusione tra tradizioni culturali e filoni ideologici. È vero, una critica di matrice illuminista non può amare troppo l’esoterismo: penso a Ripellino, che in quell’opera inarrivabile che è Praga magica chiama “ciarlatano mistico” il povero Meyrink, o a Eco con l’incredibile, geniale, a suo modo profetico Pendolo di Foucault. Ma progressista è un termine ambiguo (come il suo opposto, antimodernista, che permette confusioni assai equivoche); e solo la scarsa informazione – torniamo a chiamarla così – può far ignorare la varietà di declinazioni storiche nel corso del tempo di una galassia ideale complessa e variegatissima come quella dell’esoterismo. In sostanza, esaurirlo nell’ambito dell’estrema destra – che cerca di accaparrarselo – è semplicemente falso. Ne troviamo di marca che possiamo definire progressista o ancor meglio libertaria, c’è un socialismo magico e persino un Comunismo magico (titolo offerto da Francesco Dimitri all’omonimo volume per Castelvecchi, 2004). Ma ne troviamo anche nell’ambito di un pensiero di destra che non ha nulla in comune con l’estrema destra e anzi se ne ritrae con ripugnanza. Ho il sospetto che Meyrink, nemico del militarismo, rispettoso degli ebrei in un mondo che virava pesantemente verso l’antisemitismo, fautore di un dignitoso esoterismo di crescita interiore e non di acquisizione di spazi di potere (un distinguo spesso trascurato dagli interpreti nostrani), sarebbe piuttosto addolorato da certi accaparramenti del suo nome. Un personaggio poi come l’occultista Dion Fortune – donna di polso – probabilmente butterebbe “il barone” giù dalla collina di Glastonbury, gridandogli dietro cosa pensa delle sue idee sulle donne. La realtà è che anche nella provincialissima Italia l’esoterismo andrebbe affrontato con il rigore dedicatogli da ormai un ampio filone di studi internazionali, soprattutto anglosassoni, rappresentati nel Belpaese da autori come Introvigne e lo straordinario Marco Pasi. Ciò che permetterebbe di evitare le tirate per la giacca di autori e di opere.

Il che traghetta al terzo punto: proprio l’interpretazione di Evola in Magia Sexualis mostra una sostanziale incomprensione di altre chiavi esoteriche legate a realtà culturali semplicemente diverse. Al di là insomma dei suoi contenuti ideologici (che possono ripugnarci, ma non è questo ora in questione), l’evolismo, con la sua lettura tanto autocentrata, non è una lente in grado di comprendere e far comprendere sul piano scientifico un orizzonte esoterico assai più vasto e complesso. Evola parla di Evola, della sua lettura, delle sue teorie, del suo “razzismo spirituale” eccetera, ma è poco utile per capire Randolph, de Naglowska, Meyrink o altri.

Ma allora sorge il sospetto che il curioso silenzio di questa edizione sugli ultimi decenni di studi sul Dumas d’America non costituisca un accidentale segno di trascuratezza della curatela – interpretazione che del resto suonerebbe inaccettabilmente offensiva nei confronti di un curatore colto come de Turris (o come Fincati, che però in un’ideale ripartizione del lavoro sembra essersi occupato soprattutto della Sophiale). Mostrare il profilo politico di un mago “progressista”, antirazzista, schierato per diritti di classi subalterne – dove le etichette interessano poco, non si sta cercando di cooptarlo in qualche tifoseria ma di avere un quadro storicamente corretto – minerebbe uno dei dogmi circolanti sulla piazza dell’Italietta. Quelli di cui il lettore di scarsa informazione (continuiamo a chiamarla così) continua giulivo a farsi portavoce.

(3 – continua)