di Franco Pezzini

Lincoln, Lovecraft e i preadamiti

21 aprile 1865. Il corpo del sedicesimo presidente degli Stati Uniti, Abraham Lincoln, assassinato il 15 aprile, parte in treno per l’ultimo viaggio insieme ai resti del figlio William morto nel 1862. Inizia così un lento corteo funebre ferroviario, con un transito attraverso città e commemorazioni che durerà tre settimane (fino al 3 maggio) e che farà ricordare l’evento – ovviamente anche un grande rito politico – come “The Greatest Funeral in the History of the United States”. Diretto verso Springfield, Illinois, è un convoglio apposito di nove carrozze, otto messe a disposizione dalle ferrovie per familiari, amici e cariche pubbliche, più la solita presidenziale – ora parata a lutto – in cui sono trasportati i feretri. Lungo il viaggio vengono cambiate varie locomotive, e un’altra precede il treno per evitare ogni ostacolo sul percorso.

In quel contesto di commozione collettiva nessuno si preoccupa di un episodio consumatosi su un treno per Springfield molto più comune. Seduto tra gli altri c’è un uomo di trentanove anni. Un bell’uomo, di pelle un po’ più scura rispetto a quelli intorno: uno dei frequenti casi per i quali da un paio d’anni (cioè dal 1863) negli USA si è preso a parlare di miscegenation, da miscere e genus, il figlio in sostanza di una coppia  con un partner di colore – africano – e l’altro bianco. In italiano ancor oggi si continua a usare un termine francamente sgradevole, mulatto, dallo spagnolo mulato, in riferimento al mulo come animale ibrido (da lavoro): ma nella terminologia della società schiavistica americana le categorie genealogiche sono persino più loscamente precise e il Nostro viene descritto come un octoroon, cioè con un ottavo di ascendenza africana. Cioè quanto, per intenderci, Alexandre Dumas figlio, il cui nonno era considerato mulatto mentre il più noto (e omonimo) padre si sarebbe definito un quadroon: citazione exempli gratia che però, vedremo, è meno accidentale di quanto sembri. Dal canto suo, più elegantemente, il personaggio in discorso ama definirsi un uomo con due anime.

Comunque sia, alcuni passeggeri, di fronte a colore della pelle e tratti del viso, obiettano alla presenza del Nostro sul treno: e gli viene chiesto di scendere. Alle biffe razziste l’uomo potrebbe ben protestare di aver conosciuto Lincoln nel 1851, dieci anni prima che assurgesse alla massima carica degli States, e di aver mantenuto un rapporto tale da voler accompagnarlo nell’ultimo viaggio. Sicuramente non spiega invece ciò che alcuni poi sosterranno, cioè che solo l’anno prima, 1864, Lincoln stesso lo avrebbe inviato in Russia, per una missione “coperta”: ma chissà se è vero, e comunque in quel caso non ne potrebbe parlare. Per quanto banalissimo nel contesto, l’episodio del treno (simile ad altri di ordinario razzismo vissuti per esempio dal giovane Gandhi) sembra quasi simbolico a fronte del funerale di Lincoln, il presidente celebrato come liberatore dei neri. E passano dieci anni.

29 luglio 1875. Sul The Toledo Daily Blade di Toledo, Ohio (p. 3, col. 3), si riporta la morte violenta in città di un quarantanovenne. Il titolo del pezzo, By His Own Hand, è esplicito, suicidio: per una ferita autoinflitta alla testa, si afferma. I dubbi fioccano, la vittima aveva espresso più volte nei propri scritti una netta contrarietà all’idea del suicidio. Ma è vero che, impoverito e paralizzato agli arti inferiori, sempre più amareggiato e sospettoso che la moglie lo tradisca (un’oriunda irlandese, la prima era stata afroamericana), l’uomo potrebbe aver deciso di farla finita. Salomonicamente, il decesso finisce archiviato come accidentale. In seguito circolerà la voce secondo cui un ex-amico morente avrebbe confessato di averlo ucciso per gelosia, in un raptus di follia. In ogni caso la vittima era lo stesso uomo cacciato dal treno per Springfield. E le ombre non finiscono con quella morte: perché la storia di Paschal Beverly Randolph di mistero è abbondantemente ammantata.

Nato l’8 ottobre 1825 e cresciuto a New York, Paschal vanta da parte paterna di discendere da uno dei padri della Virginia, William Randolph (1650-1711) e dall’eccentrico John Randolph di Roanoke (1773-1833). Sua madre –  morta quando lui è giovanissimo, lasciandolo senza casa e mezzi di sostentamento – era invece Flora Beverly, che lui descriverà come ideale compendio del meticciato, combinando origini inglesi, francesi, tedesche, native americane e malgasce.

Al Nostro, povero mezzosangue libero ma costretto a partire da zero, non resta che scappare sul mare, dove si dice sia marinaio dall’adolescenza fino ai vent’anni quando rientra in patria.

Muovendo nel sottomondo dei nuovi culti, frequenta circoli spiritualistici americani dai primi anni Cinquanta (cioè in fondo molto presto, considerando l’evento “fondativo” legato alle sorelle Fox nel 1848) e si scopre capace di trance: dal 1853 riceve messaggi – afferma – dall’Angelo Madre, poi da Zoroastro, Pascal e un essere chiamato Eben el Teleki. Prende così ad abbinare alle competenze professionali da medico (attività che in qualche modo è riuscito ad avviare) quelle esoteriche: pubblicizza i propri servizi di chiaroveggente a fini curativi e analista della personalità su riviste spiritualistiche (almeno dal 4 giugno 1853 su The Spiritual Telegraph), appare in pubblico per performance medianiche e si conquista visibilità anche come dotatissimo conferenziere.

Nei fatti è sempre in viaggio, in lungo e in largo per gli Stati Uniti – dove abita via via in città diverse – e in Europa. Lo troviamo così a Londra nel maggio 1855 per la convention mondiale dei discepoli di Robert Owen, a Parigi nell’estate per esibire le sue trance e a New York in settembre, quando si rivolge agli afroamericani – che negli USA giudica destinati a estinguersi – evocando il promettente scenario di un’emigrazione in India. Ma lentamente cresce in lui la convinzione che i neri debbano poter restare liberi e con pari diritti sul suolo dove sono nati. I messaggi delle sue trance presentano coloriture politiche black, e del resto a spingere Randolph in tale direzione non è solo il suo status anagrafico e la sua personale riflessione, ma l’antischiavismo diffuso in ambienti spiritistici.

Però ecco una nuova svolta: un viaggio del 1857 che lo porta da Londra a Parigi all’Egitto e al Levante. È in quest’occasione che scopre gli usi magici dell’hashish e la magia sessuale, poi tasselli centrali di un magistero via via elaborato negli anni, e che salderà euforicamente teorie salutistiche, sessuologiche, spiritualismo e occultismo.

Sulle avventure di questo periodo fioriscono voci poco controllabili. Se non è strano che transiti per palcoscenici e salotti dell’Europa occidentale (meriterebbe approfondire il tema dei suoi contatti con esoteristi francesi – mesmeristi come Jules Du Poter de Sennevoy e Louis Alphonse Cahagnet – e inglesi), il sistema di cui getta le basi è debitore per sua stessa ammissione degli insegnamenti di mistici levantini. Il tema degli specchi magici, pure connotante la sua dottrina e legato a forme “nobili” di chiaroveggenza, pare per esempio importato dal Medio Oriente, però (come l’hashish) si trova già presente anche tra i mesmeristi francesi. D’altra parte per uno studioso di origini africane e attento alla dimensione black non sarebbe strano pensare a qualche influsso anche di elementi della tradizione animista africana (senza finire però in fenomeni sincretisti come il vudu, che lui conosce ma tenendosi a distanza). Nei fatti già al ritorno da questo primo viaggio tra Europa e Oriente sviluppa una critica dello spiritualismo, per il suo approccio passivo verso le entità avvicinate.

Due sono le società esoteriche al cui nome Randolph resta legato, e la prima entra in scena a questo punto. Gli sfuggentissimi Rosacroce costituiscono dal Seicento in avanti un paradigma di straordinario successo, sia a livello di fantasticherie narrative (si pensi a Zanoni del narratore e occultista Edward Bulwer-Lytton, 1842) che di pratica iniziatica. Soprattutto in ambito massonico anche nell’Ottocento sorgono società rosicruciane (Ancient and Accepted Scottish Rite, 1801; Societas Rosicruciana in Anglia, 1866…) e non stupisce che un esoterista come Randolph firmi a lungo i propri scritti con lo pseudonimo “The Rosicrucian”. Ma a maggior ragione si comprende la scelta dell’attivissimo occultista reduce dall’Oriente – come il leggendario Christian Rosenkreuz eponimo – di fondare la Fraternitas Rosae Crucis nel 1858, prima loggia a San Francisco nel 1861: cioè la più antica organizzazione rosicruciana negli USA, a detta dello specialista A. E. Waite (1857-1942, studioso di ermetismo legato alla Golden Dawn, americano trapiantato in Inghilterra e caro amico di Arthur Machen). Il successore di Randolph come Supremo Gran Maestro sarà per sua stessa scelta Freeman B. Dowd (1828-1910), dalla lunga carriera di esoterista.

Poi sembra che Randolph – che non è affatto ricco e se la cava con parecchio senso dell’avventura – passi di nuovo molto tempo itinerando tra Malta, la Grecia, l’Egitto e il Medio Oriente nell’ascolto di tradizioni magiche locali. Certo è solo che torna negli USA in tempo per schierarsi con l’Unione durante la Guerra di Secessione: la sua attività per la parità di diritti è frenetica, e a Utica presso New York raccoglie soldati di colore con tale successo che Lincoln (che sembra conosca appunto da qualche anno) gli chiede di promuovere la causa in Louisiana.

Il legame con il carismatico presidente potrebbe non esaurirsi, da parte di quest’ultimo, nella stima per l’idealismo di Randolph e nel riconoscimento pragmatico di una sua utilità. Cresciuto in una rigorosa famiglia battista, passato attraverso una fase di scetticismo giovanile, e raggiunta infine una fede personalissima dei cui connotati si discute, Lincoln conosce alla morte del figlio una terribile crisi; sua moglie si rivolge a medium per sedute spiritiche, e almeno a una di queste sembra aver partecipato il presidente. In tale contesto emotivo e profondamente angosciato dagli stessi drammi della guerra, Lincoln potrebbe essere rimasto colpito dal dinamico mistico mezzosangue che offre voce agli spiriti, anche a prescindere da ogni forma di adesione alle sue idee. Quanto alla storia dell’ipotetica missione in Russia per conto del presidente, ne resta poco chiara l’eventuale sostanza: e comunque la morte di Lincoln chiude il discorso.

Dopo la guerra, troviamo Paschal attivo come insegnante nell’alfabetizzazione dei giovani neri a New Orleans, poi delegato della Louisiana alla Southern Loyal Convention. Ma dopo il ritorno nel 1867 a Boston dove esercita come medico, conosce alcuni gravi rovesci di fortuna. Già non ricco, finisce vittima di una frode che vede sottrargli buona parte della sua sostanza; e nel 1872 viene pure arrestato con l’accusa di aver distribuito narrativa immorale. Dietro le accuse è un mestatore intenzionato a mettere le mani sui diritti d’autore di Randolph: e in risposta il Nostro stila The Great Free-Love Trial, 1872, dove denuncia che l’accusa rivolta al “più pericoloso uomo e autore sul suolo d’America” è nei fatti di aver spinto le donne a considerarsi uguali agli uomini. Anche se chiarisce di non avallare affatto il libero amore come comunemente inteso: la sua magia sessuale presenta ben altri connotati.

La sessualità è la chiave di volta del suo pensiero, e rapporto sessuale e orgasmo, nella sua dottrina, sono fonti di potere magico concretamente utilizzabile. Nella sua opera tarda e più celebre, Eulis (1874), il Nostro spiega che tutto era iniziato quando una notte a Gerusalemme (o forse a Betlemme, non ricorda più) aveva fatto l’amore con “una scura fanciulla di sangue arabo”. Di lì, non direttamente ma per suggestione (qualcosa forse tra illuminazione e ragionamento), avrebbe ricevuto “il principio fondamentale della Magia bianca d’amore”. Iniziato poi da alcuni “dervisci e fachiri”, grazie alla loro magia semplice e santa avrebbe trovato altre chiavi, muovendosi attraverso labirinti di conoscenze – così afferma – da loro neppure sospettati. Fino a diventare in atto ciò che era stato finora in potenza per predisposizione naturale, un mistico e col tempo il capo di una nobile fratellanza fino a scoprire “the elixir of life; the universal Solvent, or celestial Alkahest; the water of beauty and perpetual youth, and the Philosopher’s Stone”. In sostanza la magia legata all’atto sessuale.

Per scatenare tale corrente, l’unione presuppone però la commistione delle secrezioni, pena la mancanza delle “condizioni elettromagnetiche e nervose essenziali” e concreti danni alla salute. Più in generale, ogni disequilibrio sul campo – masturbazione, sesso non completo per uno dei partner – comporterebbe a suo dire penosi disturbi. Al contrario, un corretto ricorso a questo sistema di magia sessuale potrebbe produrre esseri umani fisicamente e spiritualmente superiori; e in generale l’attenzione a un sesso soddisfacente per entrambi i partner produrrebbe prole sana. Dove, al di là di ogni meccanicismo, stupisce l’attenzione al piacere femminile predicata in una società patriarcale quanto l’americana dell’Ottocento. Ma a preoccupare Randolph non è solo l’aspetto eugenetico: la magia sessuale praticata in unità d’intenti e di corpi sarebbe in grado di operare concretamente sulla realtà fisica con risultati stupefacenti. A differenza tuttavia di successive dottrine di sex magic (si pensi solo a Crowley o ad Austin Osman Spare), Randolph considera sacro e di purezza coniugale un simile atto, che non andrebbe praticato spesso, e mai con forme contraccettive o in forma solitaria o con partner del proprio sesso. La fratellanza cui egli attribuisce il nome di Eulis (da Eos, l’aurora, più tardi evocata da un altro e maggiore ordine magico, la Golden Dawn britannica) conserverebbe la sua dottrina.

Il nuovo successo del tema sessuale nell’occultismo si lega ovviamente a stretto filo a quello del discorso sul sesso nella cultura e nei media tra il Sette e il nuovo millennio, al di là di censure e repressioni che in fondo confermano (Foucault docet) un’ottimizzazione del dibattito. In questo senso l’Ottocento è davvero un tempo di svolta e Randolph – con tutti i limiti d’epoca rispetto alla sensibilità odierna (la bestia nera della masturbazione, il nodo dei rapporti omosessuali…) – spicca come una figura-chiave del passaggio alla percezione moderna di dimensioni estremamente fisiche dell’amore. Rispetto al mondo in cui vive le sue posizioni sono controcorrente e molto audaci: e se lavora in gran parte da solo e con sintesi molto personali delle tradizioni raccolte, la mole dei suoi scritti, la frequenza dei suoi interventi pubblici e il lavoro con un pubblico anche molto popolare deve lasciare più frutto di quanto avvertito per molto tempo dagli studiosi di esoterismo.

Ma c’è un altro soggetto interessante della riflessione di Randolph, e cioè le sue convinzioni in tema di preadamismo. L’idea dell’esistenza di uomini precedenti un personaggio mitico come Adamo conduce nel profondo del rapporto critico tra scienza e Scritture. Se nell’Ottocento il preadamismo vede una resistenza a considerare discendenti di Adamo e dunque superiori i popoli non occidentali (il tema, molto ampio, non può essere sviluppato in questa sede), proprio Randolph è a monte di un preadamismo non razzista. La sua opera Pre-Adamite Man: Demonstrating The Existence of the Human Race Upon the Earth 100,000 Thousand Years Ago! – edita sotto lo pseudonimo Griffin Lee nel 1863 – retrodata drasticamente l’origine dell’uomo sulla base di una pluralità combinata di fonti. Il primo uomo non sarebbe stato Adamo, e i pre-Adamiti – diffusi su tutta la terra tra i 35.000 e i 100.000 anni addietro – sarebbero state popolazioni civili e umane nel senso proprio del termine.

Abbiamo lasciato Randolph alle prese con problemi legali, ma le sventure non sono finite: resta infatti paralizzato dalla vita in giù in seguito a un incidente ferroviario. Tuttavia proprio questa fase costituisce l’ideale cerniera del suo rapporto discusso, abbastanza sfuggente, con soggetti poi membri dell’altra società occulta legata in qualche modo al suo nome: cioè quella Hermetic Brotherhood of Luxor, nata negli anni Ottanta (si parla di un fondatore ebreo polacco, il misterioso iniziato Max Theon), che a dispetto di origini abbastanza oscure avrà un robusto impatto sulla storia dell’occultismo occidentale quale concorrente della Società Teosofica. Il paradosso è che, pur ereditando da Randolph un ampio corpus di magia sessuale, la Brotherhood ne prenderà le distanze: da parte di alti gradi come Thomas Henry Burgoyne (1855?-1895?) si stigmatizzerà che Randolph era finito sulla “way of the Voudooism and Black Magic”, a giustificare anche il suo presunto suicidio. Continua così su un altro fronte quella stigmatizzazione del Nostro che potrà contribuire a oscurarne il nome.

In ogni caso la morte di Randolph nel 1875 chiude l’incredibile parabola del primo grande occultista statunitense, attivista sociale di fama e autore fecondissimo, con una cinquantina di opere all’attivo: non solo testi tecnici sulle sue dottrine, ma sviluppi delle tesi anche in forma di vivaci romanzi. Al punto da permettergli di griffarsi, nelle pubblicità della casa editrice che lui stesso ha fondato, della dizione onorifica “the Dumas of America”.

Insomma una figura d’impatto pubblico notevole, a differenza di molti esoteristi dalla vita appartata ripiegati nei loro studi: e sicuramente una figura scomoda per le sue idee politiche e sociali. Certo, quando Lovecraft nasce nel 1890 sono passati quindici anni dalla morte di Randolph, e c’è motivo di credere che il ricordo sia parecchio appannato: ma sembra davvero strano che HPL non ne conosca il profilo, almeno per sentito dire. Quello di un gran viaggiatore in un Oriente dagli arcani misteri ma anche in fondo tra dimensioni diverse della realtà, latore di tesi magiche blasfeme (in particolare tramite sesso) ed esempio concreto di quella miscegenation che suscita a Lovecraft inorridite inquietudini razziali, interessato al tema dei preadamiti che HPL già amava in Vathek, segnato da una morte enigmatica paludata di sospetti di suicidio, oggetto di accuse di vuduismo e magia nera… Insomma un profilo almeno interessante per il tipo di storie dell’autore di Providence, al netto della sua disistima verso l’occultismo.

Interessante tanto più considerando qualche possibile nesso col gran viaggiatore della saga onirica di Lovecraft, Randolph Carter. Certo si tratta di un nome di battesimo abbastanza comune, ricorrente persino come diffuso toponimo: e anche a prescindere dall’occultista, HPL lo può conoscere come cognome legato alla tradizione più illustre della Nuova Inghilterra (i Randolph, in effetti antenati dell’uomo con due anime). D’altra parte, come proposto, il nome dell’eroe viaggiatore di HPL può spiegarsi con la fama di un modello reale, un Randolph Carter Scholar al Christ’s College dell’Università di Cambridge negli anni 1892-1895, specialista in studi arabi ed egittologia e in rapporti amicali con l’autore del Ramo d’oro Sir James George Frazer: tutto vero. Però sappiamo bene che nella genesi di saghe e personaggi un richiamo non esclude l’altro, e anzi più facilmente si ibridano: tanto più che un nome può restare nell’orecchio di un autore persino al di là della sua coscienza e volontà. Non certo a pensare che i due Randolph possano banalmente sovrapporsi, ma solo a tentare di non perdere echi interessanti tra le pieghe dei testi. Si tratta comunque di una suggestione più che un’ipotesi, e in occasione della prima avventura dell’eroe – il racconto “The Statement of Randolph Carter”, 1919/1920 – il nesso resterebbe comunque labile.

Ma almeno in prosieguo un rapporto onomastico tra l’eroe di storie impastate di magia e quello che resta il primo mago importante della storia americana acquista credibilità. E dove il ricordo del Dumas d’America emerge più plausibile, sempre in rapporto a Randolph Carter, è in occasione di una collaborazione di Lovecraft (in termini ovviamente di squilibrio, ma tant’è) con Edgar Hoffmann Price sul racconto “Through the Gates of the Silver Key”, 1932-33/1934. Vi compare infatti l’occultista Étienne-Laurent de Marigny di New Orleans, “distinguished Creole student of mysteries and Eastern antiquities”, poi citato in altri testi-omaggio alla saga lovecraftiana… Hoffmann Price (con cui HPL aveva concordato di siglare i lavori congiunti sotto pseudonimo Etienne Marmaduke de Marigny) era appassionato di letture esoteriche, ben difficile che non conoscesse il profilo di Paschal Beverly Randolph almeno per sommi capi e magari al filtro delle letture dell’importante Hermetic Brotherhood of Luxor: e in un caso riguardante l’altro Randolph sembra quasi una divertita provocazione il porre in scena un ammiccamento – l’occultista creolo – nel segno della miscegenation.

Se dunque in termini di ragionevole ipotesi pare credibile almeno una memoria di Paschal Beverly Randolph, non ricordo che Lovecraft o Hoffmann Price lo abbiano mai citato esplicitamente. Però il primo non era interessato agli aspetti tecnici dell’occultismo, non avrebbe parlato volentieri di magia sessuale (se non appunto per vaghe metafore) e certo non simpatizzava verso un militante per la parità di diritti dei neri; mentre il secondo non aveva interesse – né al tempo né in seguito – a rimarcare pregiudizi e nervi scoperti del maestro.

D’altra parte non trovo riferimenti utili nella saggistica che ho consultato (neppure nel recente studio monografico di John L. Steadman, H. P. Lovecraft and the Black Magickal Tradition: The Master of Horror’s Influence on Modern Occultism, Weiser, 2015, che prende in esame i legami con varie scuole); eppure mi pare implausibile che nel vastissimo orizzonte di studi su HPL, che ha visto esplorare anche le piste più improbabili, nessuno abbia affrontato la questione. La lascio dunque come suggestione aperta: sarebbe divertente se, magari nell’ambito di studi americani (agevolati nell’accesso alle fonti e meno viziati dal provincialismo di certa Italietta nell’approccio alla storia dell’occulto) saltasse fuori qualche tassello a favore dell’ipotesi. A rivelare l’ombra, dietro fantasie di un narratore che proclamava idee razziste – salvo magari ammorbidirle nella vita vissuta –, della figura di un mago militante per i diritti black.

(1 – continua)