di Luca Cangianti

Davide Conti, Guerriglia Partigiana a Roma. Gap comunisti, Gap socialisti e Sac azioniste nella Capitale 1943-’44, Odradek, 2016, € 30,00.

I “centri di fuoco” composti da due o tre partigiani armati di fucile, pistola e bombe a mano avevano la consegna di appostarsi al riparo degli edifici lungo le vie principali di Roma. Ogni combattente doveva avere con sé viveri confezionati e acqua per tre giorni; si era disposto inoltre che tutte le squadre fossero dotate di materiali di pronto soccorso. I “centri di fuoco” sarebbero entrati in azione di loro iniziativa come gli fosse venuto a tiro un obiettivo nazifascista, aiutandosi gli uni con gli altri, ma restando autonomi. Nell’assalto alle sezioni rionali del Fascio avrebbero dovuto agire con immediatezza: “Non è ammessa nessuna pietà. Non sono ammessi prigionieri. È ammesso il rispetto ai morti che debbono essere composti lungo la via prospiciente il gruppo rionale”. Questo si legge nelle istruzioni “segretissime” ai capizona azionisti, comunisti e socialisti in vista dell’insurrezione contro l’occupazione nazifascista della Capitale.
Di contro ai monarchici badogliani e all’ala moderata del Comitato di liberazione nazionale (democristiani, liberali e demolaburisti), che volevano lasciar partire i tedeschi senza colpo ferire, facendo posto degli Alleati, i partiti di sinistra del Cln (il Partito d’Azione, quello comunista e quello socialista) si schierarono per l’opzione insurrezionale, sfidando il monopolio della violenza nazifascista con un capillare contropotere armato. Tuttavia, quando all’inizio del giugno 1944 arrivarono i giorni decisivi della liberazione, le formazioni partigiane rimasero sostanzialmente con le armi “al piede”, in attesa di ordini che non furono mai diramati. A differenza di Napoli e delle grandi città del Centronord, Roma non insorse, nonostante nei 271 giorni di occupazione si fosse articolata una vasta rete di resistenza armata la cui struttura è analizzata in Guerriglia Partigiana a Roma, il libro di Davide Conti edito da Odradek.

Nel dibattito sulla mancata insurrezione di Roma gli elementi addotti sono stati molti: le pressioni vaticane volte a scongiurare l’istaurazione di un potere rivoluzionario nel suo cortile di casa, l’opposizione dei comandi alleati, la debolezza della Resistenza romana dopo l’ondata di arresti dell’aprile 1944, la “svolta di Salerno” del Pci – sostenuta o addirittura ispirata da Stalin – con il relativo ingresso dei comunisti nel governo Badoglio. Secondo le nuove indicazioni del Pci, infatti, la lotta di liberazione non avrebbe dovuto portare al superamento del capitalismo, ma unicamente alla distruzione del fascismo. La stessa forma statuale che avrebbe dovuto assumere l’Italia (repubblica o monarchia) sarebbe stata affrontata alla fine della guerra. Da questo punto di vista la linea politica del Pci assumeva una posizione di raccordo tra i partiti moderati del Cln, da una parte, e azionisti e socialisti che dall’altra spingevano più intransigentemente per l’insurrezione e la repubblica: “All’interno di questa lotta politica – riassume Conti – l’interesse della classe operaia si identificava con l’interesse nazionale ed anzi era proprio nella forma storicamente data dalla guerra di liberazione nazionale che si manifestava la lotta di classe… Il carattere prioritariamente nazionale della lotta avrebbe consentito una unità di fondo tra le diverse anime dell’antifascismo ed entro questo perimetro comune i comunisti avrebbero esercitato una funzione egemone grazie alla forza ed alla preponderanza della loro capacità militare”. Va infine ricordato che la vera bestia nera dei comunisti italiani erano proprio un altro tipo di comunisti, quelli dissidenti di Bandiera Rossa. Essi criticavano da sinistra il Cln, non accettavano la collaborazione di classe togliattiana e vedevano nella Resistenza il primo passo verso l’instaurazione di una società comunista.1 Di questa formazione, per altro maggioritaria nella Resistenza romana, Conti sceglie tuttavia di non occuparsi, concentrando l’attenzione sui soli partiti di sinistra con struttura nazionale che all’interno del Cln avevano deciso di creare un Comitato militare centrale per coordinare le attività militari.

Un punto di forza di Guerriglia Partigiana a Roma è la ricchezza di documenti provenienti dagli archivi dei partiti, da fonti giudiziarie e di polizia, cui si aggiungono fondi privati, memoriali, fonti orali e materiale stampato. L’opera dedica una sezione a ognuno dei tre partiti che nel complesso avevano costruito una rete militare clandestina di circa duemila persone, anche se solo la metà erano realmente armate. Conti analizza le differenti impostazioni militari, le azioni di guerriglia e l’articolazione territoriale sulle otto zone nelle quali era stata divisa la città, senza tralasciare di menzionare le dotazioni militari, i nomi dei capizona, dei militanti e degli infiltrati.
Il braccio armato del Pd’A erano le Sac (Squadre d’azione cittadina) che traevano ispirazione dalla tattica mazziniana della “guerra irregolare per bande”. Nonostante le norme cospirative l’impostazione azionista prevedeva una buona dose d’integrazione tra la sfera politica e quella militare, a differenza della rigida compartimentazione vigente nel Pci. Anche il partito socialista creando i propri gruppi d’azione patriottica (Gap) consentì un tasso di maggiore interscambiabilità dei combattenti nelle varie squadre, accrescendone l’efficacia politica, ma anche il pericolo di esposizione alla delazione.
Il Pci si ispirò al movimento francese dei Francs-tireurs et partisans creando nella seconda metà dell’ottobre 1943 quattro Gap centrali (poi unificati nel gennaio nel 1944) separati dall’organizzazione militare di massa: “Dopo averli distaccati completamente da tutto il resto della rete del partito disposta sul territorio, la dirigenza del Pci cercò di organizzare i GAP centrali conformando il più possibile la loro struttura a quello delle cellule compartimentate. Gli obiettivi della segretezza dell’identità, della rottura dei ponti con gli ambienti familiari e della collocazione dei gappisti nella dimensione della più stretta clandestinità si rilevarono in realtà piuttosto complessi da realizzare visto che diversi partigiani si conoscevano già prima dell’inizio della Resistenza e molti continuarono a frequentare ambienti familiari o a mantenere contatti diretti con amici stretti, dirigenti di partito e tra loro stessi”. In seguito, secondo la testimonianza di Rosario Bentivegna, furono organizzati otto Gap di zona.
Pur nell’ottica unitaria della “svolta di Salerno” la ragione della formazione dei GAP è nel contrasto dell’attesismo delle forze moderate antifasciste: “I compiti conferiti alle squadre GAP furono: a) indebolire il potenziale bellico tedesco attraverso attacchi militari diretti; b) impedire l’utilizzo di Roma come transito delle colonne naziste e dei rifornimenti verso il nord-Italia; c) minare il morale delle truppe d’occupazione attraverso attacchi militari; d) organizzare piccoli nuclei gappisti in grado di mettere fuori combattimento importanti reparti militari nazisti; e) attaccare militi e ufficiali fascisti; f) creare le condizioni potenziali per una possibile insurrezione della città in appoggio alle truppe Alleate.”

Con la fine della guerra i gappisti tornarono alla vita civile, si dedicarono alle rispettive professioni, alcuni si impegnarono in politica, altri subirono l’onta di esser chiamati in giudizio per aver combattuto contro il nazifascismo. Di fronte ai tentativi golpisti del dopoguerra mantennero una “tacita intesa”, come disse il comandante gappista Mario Fiorentini, pronti a intervenire di nuovo qualora ve ne fosse stato bisogno. Purtroppo, a più di 70 anni dalla Liberazione, molti di questi combattenti non sono più tra noi, altri sono molto anziani e la restaurazione, senza far sfoggio di gagliardetti e camice nere, è sostanzialmente avvenuta. Conoscere la storia dei partigiani e delle partigiane della Capitale potrà esser d’aiuto a chi vorrà riprendere la loro lotta che – al di là delle differenze politiche  tra una formazione e l’altra – è stata una battaglia rivoluzionaria per una società più giusta e più equa.


  1. Cfr. qui e qui

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