di Walter Catalano

TorreyRoger Torrey, autore quasi ignoto al lettore italiano, è poco ricordato anche negli Stati Uniti dove aveva pubblicato fra il 1933 e il 1946, anno della morte, un romanzo e circa 280 storie. Eppure se scorriamo i sommari di Black Mask, Dime Detective e Detective Fiction Weekly, i pulp più prestigiosi che diffusero la Hard-Boiled-School, la Scuola dei Duri – chiave di volta innovativa del poliziesco, in cui l’azione prevale sulla detection attraverso il realismo sociale, che dalla fine degli anni ’20, aveva rivoluzionato il mondo del Mystery, spodestando definitivamente il “giallo” deduttivo all’inglese – possiamo renderci conto di come questo nome dimenticato, affiancasse da pari a pari quelli ormai classici degli autori più eminenti del genere, tutti suoi amici intimi e compagni di scuderia e soprattutto di bevute: Dashiell Hammett, Raymond Chandler, Carroll John Daly, ecc.

Ricorda Ron Goulart nella sua bella introduzione a Bodyguard and Other Crime Dramas, una delle poche raccolte di storie di Torrey ancora reperibili: “Alcuni scrittori Hard-Boiled, come Raymond Chandler, si affidavano soprattutto all’immaginazione per inventare storie di investigatori privati tosti e di bassifondi. Altri, come Dashiell Hammett, recuperavano in larga misura esperienze di prima mano, avendo lavorato in agenzie investigative. Sebbene non sia mai stato un detective, Roger  Torrey aveva però una dimestichezza considerevole con la parte sbagliata della città. Come Hammett e Chandler era anche lui un ubriacone e proprio l’alcolismo lo uccise prima dei cinquant’anni…”. “Lui e Roger Torrey – ricordava la figlia di Carroll John Daly – erano amici per la pelle; una volta chiesero in prestito quindici dollari a Dashiell Hammett. Ma erano ubriachi fradici e lui non dette loro niente. Così gli frantumarono la finestra di vetro smerigliato”. Anche Steve Fisher – autore di crime-novels di successo come I Wake Up Screaming o sceneggiature di importanti Film Noir come Dead Reckoning o Lady in the Lake – testimonia: “Scrivevo fino all’una del mattino o anche più tardi, e poi, fin troppo spesso, lo incontravo in un bar di New York… bevevamo fino all’ora di chiusura alle 4 di mattina e qualche volta prendevamo un taxi per attraversare l’Holland Tunnel fino in New Jersey, dove i bar restavano aperti fino alle 6…”

Probabilmente la ragione della minorità di Torrey rispetto ai suoi colleghi va cercata proprio nella sua dedizione compulsiva e smodata all’alcol e al gioco d’azzardo: una produzione narrativa, pur qualitativamente rilevante, non paragonabile a quella di Hammett e Chandler, un solo romanzo, bello ma unico: 42 Days for Murder (il titolo si riferisce ai 42 giorni di residenza necessari, nello stato del Nevada, per ottenere il divorzio), poi una certa stanchezza  con risultati altalenanti da rivista a rivista. “Non dico che Torrey scriva bene come Hammett – ha confessato il collega Ewan Lewis – ma trovo nella sua prosa lo stesso sapore delle migliori storie del Continental OP di Hammett”. Il più gradito complimento però glielo avrebbe fatto Tom Roberts della Black Dog Books – casa editrice statunitense specializzata nel recupero dei pulp – scrivendo che leggere un testo di Torrey è come ascoltare una storia raccontata da qualcuno seduto accanto a te al banco di un bar. Solo tredici anni di attività letteraria, la dedizione assoluta all’Hard-Boiled che gli impedì, una volta finita la moda dei duri, di passare al più psicologico noir degli anni ’40, e seguire le orme di un altro suo grande amico e collega: Cornell Woolrich. Ma Torrey non scriveva noir. La morte prematura poi gli impedì di partecipare negli anni ’50, dopo il definitivo tramonto delle riviste pulp e il sorgere dei paperback, alla rinascita dell’Hard-Boiled lanciata da Mickey Spillane, al confronto del quale lui sarebbe apparso un gigante.

“Un tipetto piccolino ma tosto, duro come i personaggi che era così bravo a ritrarre nei suoi racconti” – così lo descrive il collega scrittore di polizieschi Frank Gruber – Roger Torres,  nome cambiato in Torrey nel 1932, con l’avvio della sua carriera letteraria, per accentuare la sua pretesa discendenza irlandese (questo almeno se prendiamo per buona la non troppo attendibile testimonianza del compagno di sbronze Tom McNamara, che, quando non potevano permettersi bevande migliori, era solito scolarsi insieme a Torrey una lozione dopobarba fortemente alcolica chiamata Lilac Vegetal…), era nato il 5 Maggio 1901 a Cadillac nel Michigan. Dopo il divorzio dei genitori la madre Rose, si trasferì con la sorella minore Elleonor, a  Klamath Falls in Oregon, dove si risposò con Harry W. Poole, proprietario di teatri nella zona. Dopo tre anni di High School, il servizio militare a 16 anni nei Royal Rifles Canadesi, studi irregolari all’Università dell’Oregon e vari lavori saltuari (un anno in banca, poi operaio in una segheria e tagliaboschi, manovale e camionista), iniziò a suonare il piano e l’organo nei teatri conservando l’occupazione per tutto il periodo del cinema muto. “Questa attività mi condusse su e giù per la West Coast e poi ad est fino a Tulsa, in Oklahoma – racconta in un breve profilo autobiografico – ma per la maggior parte del tempo stavo a San Francisco e a Los Angeles”, mentre suonava al Chiloquin Theatre, detto negli anni ‘20 “la piccola Chicago”, il diciannovenne Roger Torrey esplorò i bordelli e i nightclub, le bische e le sale da biliardo, si ingraziò suonando jazz nei saloon, impiegati e clienti la metà dei quali erano sbirri, l’altra metà malviventi: così prese il vizio dell’alcol e del poker ma studiò dettagliatamente la fauna umana da cui avrebbe estratto i suoi futuri personaggi. Con l’avvento del cinema sonoro il suo business entrò in crisi e Torrey tentò di sistemarsi borghesemente: acquistò un negozio di confezioni e si sposò. Nel 1932 sia il matrimonio che la bottega erano già falliti. Mettendo a frutto le esperienze precedenti, iniziò allora a scrivere e, bruciati tutti i ponti dietro di sé, si trasferì a New York.

Torrey entra nel mondo del pulp dalla porta principale: è infatti il Capitano Joseph Shaw, padrino di Hammett prima e di Chandler poi, che lo accoglie sul numero del Gennaio 1933 di Black Mask, la rivista migliore del settore, con il racconto Police Business. Da principio il suo protagonista è Dal Prentice, un tenente di polizia della California del sud, amaro e alcolizzato; poi nel Gennaio dell’anno seguente introduce il primo detective privato, George Kileen; nel 1937 appare il personaggio più autobiografico, Shean Connell, un pianista di piano bar che occasionalmente risolve casi come poliziotto privato, e che avrà l’onore di essere protagonista del suo unico romanzo 42 Days for Murder. Shaw apprezza il realismo e la durezza dei personaggi descritti da Torrey e gli compra 13 storie fra il 1933 e il 1934 e altre 10 prima di lasciare la direzione della rivista nel 1936 (anche qualche anno dopo, quando compilò l’antologia definitiva The Hard-Boiled Omnibus per Simon & Shuster, Shaw, in atto di omaggio a  Torrey volle inserire il racconto Clean Sweep dal numero del Febbraio 1934 di Black Mask). La dipartita di Shaw non intacca però minimamente la posizione dello scrittore, che vende ancora almeno due dozzine di racconti a Black Mask, prima del suo abbandono nel 1942.

Non è però solo Black Mask la palestra del suo talento: anche Dime Detective, un’altra delle più importanti riviste del pulp classico poliziesco, gli pubblica, fra il 1934 e il 1941, almeno undici storie. Torrey, oltre che con il suo nome, firma anche sotto vari pseudonimi: Sam Drake, Samuel Drake, John Ryan, R.D. Torrey. I suoi personaggi hanno l’autenticità della strada e un tocco di ombroso fatalismo,  portano nomi diversi, ma rappresentano essenzialmente la stessa figura: un investigatore privato, spesso un ex sbirro o un uomo legato al background dello show business, preferibilmente un musicista, di ascendenza irlandese, in gamba ma non infallibile, tosto ma non superomistico, non particolarmente cinico ma semplicemente pragmatico, un tipo a posto tutto sommato anche se non del tutto estraneo né all’imbroglio, né alla libidine: le prende sode quando il destino è contro di lui, una bella donna lo può spesso raggirare, ma in ogni circostanza porterà sempre il caso a conclusione, con la determinazione di un segugio, e alla fine acchiapperà comunque il colpevole.

Dopo il 1938, a causa della flessione generale del mercato editoriale, dei nuovi orientamenti noir che trascurano l’Hard-Boiled e delle eccessive e pressanti richieste di denaro da parte di Torrey, gli editori cominciano a rifiutare le sue storie e a limitare le collaborazioni con lui. Quando partecipa al primo incontro del The Mystery Writer’s of America, l’associazione che dovrebbe tutelare gli interessi degli operatori del settore, è Torrey a suggerire quello che diventerà lo slogan del MWA: “Il crimine non paga… abbastanza”. Così l’autore è costretto ad aprirsi spazi di mercato ad un livello inferiore ed inizia a contribuire ai pulp cosiddetti Spicy, cioè piccanti: a base di donnine poco o per niente vestite, scene sessuali e violente più esplicite, perversioni, sadismo, lesbismo, scurrilità e political uncorrectness in campo razziale e sessuale. La Trojan Publishing Corp. – l’unica casa editrice di pulp che prende nome da una marca di profilattici, diretta da Frank Armer e, in rigoroso segreto, da Harry Donenfeld, ufficialmente produttore della DC Comics  – lo accoglie a braccia aperte.  Torrey inizia a collaborare con Spicy Detective Stories, Private Detective Stories, la poco longeva Romantic Detective e, più tardi, la versione leggermente più castigata di questa, Speed Detective, a fianco di autori come Robert Leslie Bellem o Edgar Hoffman Price (e molti altri sotto pseudonimo). Per Spicy Detective sono accertate solo cinque storie, tutte firmate sotto lo pseudonimo di John Ryan (in realtà dovrebbero essere molte di più); per Private Detective fornisce più di settanta storie e almeno un’altra mezza dozzina per Romantic Detective. Nella prima metà degli anni ’40 rialza un po’ il livello collaborando con otto storie a Hollywood Detective e varca le soglie perfino della rinomata Detective Story, forse solo perché l’editor Daisy Bacon apprezza il suo stile e ignora l’ostracismo degli editori: “Lui e Jonathan Latimer – dichiarò l’energica signora – avevano un bel tocco, antiquato ma concreto, nell’affrontare il sesso che a quasi tutti gli altri mancava”.

Al meeting del Mystery Writer’s of America, Torrey, oltre ai colleghi Earle Stanley Gardner, Anthony Boucher, Rex Stout e Dorothy B. Hughes, aveva conosciuto anche una biondina, Helen Ahern, anche lei scrittrice, su pulp romantici per lo più, e anche lei con forte inclinazione all’alcol. Cominciarono a frequentarsi e, dopo poco, Helen venne a condividere la stanza di hotel in cui Torrey abitava. Steve Fisher ci racconta il loro ménage familiare: “A tutti e due piaceva bere. Ma il liquore costa. Così Roger stabilì una regola. I loro tavoli da lavoro erano uno di fronte all’altro, sedevano ognuno davanti alla propria macchina da scrivere dandosi le spalle e il primo che terminava la storia che stava scrivendo poteva farsi un bicchiere. L’altro era obbligato ad aspettare di aver finito a sua volta. Helen non riusciva mai a scrivere velocemente come Roger e quel bastardo allora si spaparanzava sul pavimento e beveva prendendola in giro per la sua lentezza…”. La coppia presto lasciò New York e prese casa a Fort Lauderdale in Florida, “mandavano le loro storie a New York – continua Fisher – guadagnavano abbastanza per vivere e anche per sbronzarsi. Erano felici. Così mi disse Helen. Forse il primo e unico momento di felicità per Roger”. Non durò a lungo. Il dottore aveva proibito a Torrey di continuare a bere, il suo fegato non avrebbe retto. Lo scrittore riuscì a resistere per un mese intero senza alcol, ma poi ricadde nell’abitudine. Una debolezza che gli fu fatale. L’11 Gennaio del 1946 – è sempre Fisher a raccontarcelo – Roger disse ad Helen di non sentirsi bene, chiese una tazza di tè e si sdraiò sul divano. Lei gli portò il tè, lui la ringraziò e appoggiò la testa al cuscino. “Prendimi la mano, bambina, perché sto morendo” – disse. Helen gli prese la mano e la tenne stretta e Roger, proprio come un personaggio dei suoi racconti, chiuse gli occhi per l’ultima volta.