di Sandro Moiso

ucuncu 4Terza guerra mondiale”, questa è la traduzione del titolo di un best-seller di fantapolitica uscito poco più di dieci anni fa in Turchia. Recep Tayyip Erdoğan, dopo essere stato escluso per anni dalla vita politica (poiché era stato giudicato colpevole di incitamento all’odio religioso e incarcerato nel 1998 per aver declamato pubblicamente, come sindaco di Istanbul, i versi del poeta Ziya Gökalp: “Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette e i fedeli i nostri soldati…“), era stato eletto Primo Ministro del 59° governo turco il 4 marzo 2003, dopo la vittoria del suo partito (AKP, Partito per la Giustizia e lo Sviluppo) nelle elezioni legislative del 2002, e uno giornalista-scrittore trentenne, Burak Turna, raggiungeva, nel 2005, il suo secondo successo editoriale anticipando la storia di una guerra in cui la Turchia si contrappone, dopo anni di acrimoniose trattative, ad una Unione Europea dominata da governi fascisti e xenofobi che respinge definitivamente la domanda del governo di Ankara di diventarne membro. Mentre in Germania, Francia e Austria si scatena una specie di caccia al musulmano, la Turchia si allea con la Russia e, con l’appoggio esterno anche della Cina, invade l’Europa e la riduce in ginocchio, con tanto di commandos turchi che si impadroniscono di Berlino.

Gli Stati Uniti stanno a guardare e sulle rovine della vecchia Ue, che voleva restare un «club cristiano», se ne affaccia una nuova, spostata a Est, e basata sulla riconciliazione tra l’Islam e il mondo ortodosso. In due mesi il libro vendeva in Turchia 130.000 copie, in un paese dove una tiratura di 3 mila copie è già un successo, e si avvicinava ai vertici delle classifiche dei libri più venduti. Tra i quali, va qui subito detto, si trovava proprio il precedente libro scritto dallo stesso autore in collaborazione con Orkun Ucar.

Questo altro testo, anch’esso riconducibile alla fantapolitica, si intitolava “Metal Firtina”, traducibile con Tempesta di metallo (in inglese, appunto Metal Storm) e aveva raggiunto, e forse superato, in pochi mesi le 500.000 copie.
Narra, guardo caso, di un’altra guerra “mondiale” in cui, gli Stati Uniti aggrediscono militarmente la Turchia, dichiarata “Stato canaglia”, per potersi impossessare delle ricchezze minerarie e petrolifere dell’Irak del Nord a discapito degli interessi turchi. Per ottenere ciò, oltre al bombardamento a tappeto di Ankara, Istanbul e Smirne, gli americani promuovono e appoggiano diversi movimenti separatisti destinati ad indebolire e a frantumare lo stato turco.

Metal-storm Ma l’attesa rivolta separatista non si produce, e la guerra si prolunga. I bombardamenti Usa sono spietati e decimano la popolazione, ma risparmiano le centrali elettriche e le stazioni tv, in modo che i turchi continuino a guardare la tv e così ad esporsi alle “armi di illusione di massa”.
Sarà un agente dei servizi segreti turchi ad immolarsi riuscendo a far esplodere, come un kamikaze, due bombe atomiche a Washington.

A quel punto, Putin ammassa truppe russe ai confini della Turchia invasa, pronto a scatenare l’intervento; Francia, Germania, Russia e Cina convocano d’urgenza il Consiglio di Sicurezza dell’Onu. L’America è bollata come stato canaglia e riceve un ultimatum: o si ritira senza condizioni dallla Turchia, o sarà distrutta dalla coalizione mondiale che s’è formata.1

Fin qui le narrazioni di un autore decisamente nazionalista e con un largo seguito in Turchia. Poiché, però, vado da tempo sostenendo che il politico è soltanto uno dei territori dell’immaginario, vale forse la pena di cogliere i parallelismi e le possibili anticipazioni tra quelle trame e i fatti a cui stiamo assistendo, soprattutto nella Turchia del golpe e dopo golpe. Anche perché, all’epoca della sua uscita e del suo successo, il libro fu letto col massimo interesse negli ambienti militari, di sicurezza e della potente polizia turca e l’ambasciata Usa ne fu molto allarmata, visto che i sondaggi dell’epoca rivelavano che, dopo l’attacco all’Irak, i sentimenti anti-americani in Turchia erano condivisi dall’87% della popolazione.

Così è giunto il momento di riassumere, anche qui brevemente, la trama dei fatti. Quelli reali.
Il 15 luglio scorso si profila, per qualche ora, l’eventualità che il leader islamico e nazionalista Tayyip Erdoğan2 possa essere dimesso dal suo ruolo di governo e di “alleato”.
Le prime reazioni ufficiali di USA ed Europa al golpe si sono avute all’alba, 5 ore dopo l’inizio degli scontri. Dopo che, a detta dei media, le richieste provenienti dall’aereo di Erdogan per un eventuale accoglienza erano state respinte da diversi “alleati” europei.

Prima che questo avvenisse va rilevato un certo imbarazzo occidentale nei confronti non solo di un dittatore abbastanza spudorato nella sua conduzione della “moderna democrazia” turca, ma anche abbastanza avventuriero dal giocare col piede in più scarpe: l’appoggio, più volte provato, dato all’ISIS; l’altalenante posizione nei confronti di Siria, Iran e Russia; il rigurgito di nazionalismo ottomano e contrario ad ogni discorso riguardante i diritti degli Armeni e dei Curdi (questi ultimi autentici miliziani combattenti della causa anti-ISIS in Siria e nel Nord dell’Irak); il ricatto costante, con cui ha taglieggiato l’Europa e la Germania negli ultimi mesi, sulla questione dei profughi dal Vicino Oriente e centro-asiatici e, infine, lo smaccato rifiuto di rispettare qualsiasi forma di diritto umano, alla faccia delle richieste delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea (“We’ll go our way, you go yours”).

Non solo. Un leader che a maggio, in occasione del Congresso straordinario del suo partito (AKP), ha di fatto costretto il primo ministro Ahmet Davutoglu, troppo vicino agli alleati occidentali e da questi ultimi molto stimato, a dimettersi per sostituirlo con Binali Yildirim, curdo e fedelissimo del Presidente.3 Una situazione quanto meno delicata in cui il colpo di Stato, più che preparato dallo stesso Erdogan, come i sostenitori del complottismo ad oltranza sembrano voler riproporre come un vecchio film già visto più volte dall’11 settembre 2001 in poi, sembrava essere una possibile soluzione del problema. Tanto per dimostrare ancora una volta che il super-imperialismo che tutto controlla e determina non è altro che una bufala creata da coloro che rimuovono i rapporti di forza reali e le contraddizioni economico-sociali e geopolitiche che li determinano.

D’altra parte, checché se ne voglia pensare, il golpe non è stato solo e sempre uno strumento di cui gli americani si sono serviti per eliminare governi “avversi”, ma spesso anche un mezzo per rimuovere “alleati” divenuti scomodi. Basti pensare alle rimozioni violente di governi nel Pakistan della fine del secolo scorso.4 Mentre occorre sottolineare come la rapidità decisionale con cui Erdogan ha agito, dal punto di vista repressivo nei giorni seguenti, ancora una volta sbandierato come prova della premeditazione dello stesso, è riconducibile sostanzialmente a due fattori: dimostrare in casa e all’estero la propria forza e sicurezza e al fatto che qualsiasi Stato, compresa sicuramente l’Italia, ha già pronte da sempre le liste dei possibili nemici da rinchiudere o eliminare in caso di precipitare della o di una crisi politica, sociale o militare.5

D’altronde, sarebbe impensabile immaginare che un colpo di Stato militare, indipendentemente dalla presenza o meno di Fethullah Gülen nelle file del complotto, possa essersi sviluppato all’interno degli ambienti militari della NATO, soprattutto quelli dell’aeronautica militare, senza che l’intelligence statunitense non ne avesse alcun sentore .

Anche al di là delle accuse mosse da Erdogan agli Stati Uniti per aver rifornito i caccia golpisti con aerei cisterna decollati proprio dalla base di Incirlik. La stessa da cui decollano gli aerei americani che vanno a bombardare le posizioni dell’Isis, lasciata senza energia elettrica per alcune ore dopo il golpe sventato, e di cui è stato arrestato il generale turco che la comandava come uno degli artefici del golpe.6 Accuse rafforzate proprio oggi da quelle ulteriori alla CIA.7

Quindi nulla di nuovo sotto il sole…tranne che questa volta l’azione di forza è andata a gambe all’aria.8 E qui, infatti, si giunge alla parte più interessante della questione.
Il golpe non ha funzionato perché ha dovuto essere anticipato ovvero scattare prima che tutte le operazioni che dovevano essere portate a termine per farlo trionfare si realizzassero. Invece che alle tre del mattino, come alcune fonti sostengono, ha dovuto essere anticipato di diverse ore.

Secondo un’informazione diffusa dai media la sera del 20 luglio, i servizi segreti russi avrebbero avvertito il Presidente della Turchia del golpe militare che stava maturando, cosa che gli avrebbe consentito di salvarsi e di conservare il potere. Tuttavia, è difficile stabilire quanto le notizie sul presunto aiuto fornito dalla Russia a Erdogan possano essere attendibili. […]Secondo la versione diffusa dai media, il servizio di intelligence militare russo in Siria nella base di Hmeimym sarebbe riuscito a intercettare e a decodificare i radiocomunicati militari. Gli autori del complotto avevano progettato di inviare degli elicotteri all’hotel in cui alloggiava Erdogan a Marmaris per catturare e uccidere il Presidente. Il Ministero della Difesa russo avrebbe trasmesso questa informativa sui loro piani al Mit, l’intelligence nazionale turca, consentendo a Erdogan di fuggire in tempo e di intervenire.9

Non solo. Secondo altre fonti, in base a ricostruzioni provenienti da ambienti vicini al Svr, i servizi di intelligence russi per l’estero: “ci sarebbe stato un intervento degli Specnaz, le forze speciali russe che avrebbero scortato e difeso il presidente Erdogan dal golpe militare, accompagnandolo dal luogo in cui era fallito l’attentato, che doveva eliminarlo, all’aereo che lo ha riportato ad Ankara.10

Anche se lo stesso Presidente turco, in un’intervista rilasciata all’emittente televisiva del Qatar Al Jazeera, ha fornito una versione diversa, attribuendo il merito dell’anticipazione del golpe al M.I.T.l’Organizzazione di Intelligence nazionale Turca, “i media hanno diffuso la versione della corresponsabilità della Russia nella vittoria di Erdogan sulla base di notizie diramate da Fars, la principale agenzia d’informazione iraniana, a loro volta provenienti da fonti arabe (in particolare, dall’agenzia sudanese Al Sudan Al Youm). Come fonte i media arabi hanno citato dei diplomatici turchi che hanno preferito rimanere anonimi.11

Qualche lettore a questo punto si chiederà: “Ma Russia e Turchia, soprattutto dopo l’abbattimento dell’aereo russo sui cieli della Siria, non erano ai ferri corti?
Certo, almeno nelle apparenze, ma un accordo diplomatico e politico è sempre possibile e, in questo caso, conviene ad entrambi nell’attuale caos geo-politico che si va delineando in cui, come è stato scritto appena quattro giorni prima del fallito colpo di Stato, “appare evidente come Erdogan si sia ritrovato schiacciato dall’isolamento diplomatico internazionale, e abbia dovuto in qualche modo mettere da parte la retorica e fare un bagno di realismo: troppe le minacce che stavano accerchiando la Turchia, che pur avendo potenti alleati, benché sempre più riluttanti, ha l’imperativa necessità di non fomentare vecchie inimicizie.12

Infatti Erdogan nei giorni precedenti non solo aveva ripreso i rapporti con la Russia (non dimentichiamo che egli si incontrerà con Putin entro le prime due settimane di agosto), ma anche raggiunto un accordo con uno degli altri protagonisti dei giochi mediorientali: Israele.
Tale accordo, annunciato da Benjamin Netanyahu, Primo ministro israeliano, e Binali Yildrim, Primo ministro turco, è frutto di diversi compromessi, come è del resto il destino di ogni accordo diplomatico che voglia essere credibile e duraturo. Entrambi gli attori sono riusciti ad ottenere l’accettazione di alcune delle proprie richieste più pressanti e a non fare concessioni sulle questioni più delicate.13 E probabilmente per ora tanto basta.

E anche se per ora nessuno ne parla, non è escluso che anche il Mossad abbia voluto fare un regalo e allo stesso tempo lanciare un avvertimento alla Volpe degli stretti. Da un lato indicargli il pericolo da cui mettersi in salvo14 e dall’altro segnalargli come, nell’attuale situazione di possibile isolamento, la sua sopravvivenza e successo siano indubbiamente legati alla costruzione di una rete mediorientale (di cui un altro attore è rappresentato senza ombra di dubbio dall’Arabia Saudita e dagli Emirati del Golfo) che, se da un lato mira a scalzare progressivamente l’importanza degli USA e delle nazioni europee nell’area, dall’altra dovrà funzionare in chiave anti-iraniana, per ridimensionare le pretese dell’unica nazione che fino ad ora ha potuto positivamente intascare un grande rientro sulla scena diplomatica, economica e militare internazionale proprio in seguito agli errori commessi dal Dipartimento di Stato americano in Irak.

ucuncu 5 D’altra parte anche la collaborazione tra Russia e Iran in Siria è sempre più messa alla prova dalle autonome iniziative che la Russia sta prendendo sul fronte militare sia nei confronti di una rinnovata collaborazione con Israele. Dopo lo scontro a Khan Tuman,15 infatti, molti strateghi del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC) “hanno cominciato a esprimere dubbi sugli obiettivi di Mosca nella lotta al fianco delle forze iraniane, libanesi e siriane. Questi strateghi, e altri funzionari che in Iran si oppongono alla presenza militare della Russia in Siria, mettono in guardia circa le divergenze di interessi tra Russia e Iran che nel lungo termine potrebbero portare a conseguenze impreviste.16

Tutto questo però è reso possibile da ciò che ho già segnalato in altri articoli proprio su Carmilla, ovvero dal progressivo indebolimento politico di quello che è ancora necessario definire “imperialismo occidentale”, ovvero USA e nazioni dell’UE. Se da un lato la crisi economica ha favorito la concentrazione del comando finanziario sulle economie, soprattutto, sulla forza lavoro di quelle nazioni che ci ostiniamo a definire “a capitalismo avanzato”, dall’altro la stessa ha rivelato le profonde crepe che dividono quegli stessi attori sul piano dell’azione diplomatica e militare edelle strategie economiche di fondo.

La recente uscita di Donald Trump, per esempio, su una possibile perdita di importanza della NATO per gli interessi americani rimarca, indirettamente, due cose.17 La prima riguarda il fatto che gli USA hanno due fronti mondiali a cui prestare attenzione: uno orientale sul Pacifico e il Mar della Cina, dove la concorrenza economica e finanziaria sembra volgere sempre più anche ad una concorrenza di carattere militare, e uno occidentale che sembra correre ormai dal Baltico all’Africa del Nord, in funzione anti-russa e di controllo delle maggiori aree petrolifere del globo.

E’ chiaro che un tale dispiegamento di forze ha dei costi non risibili per la declinante economia americana e senza uno sforzo economico da parte dei partner europei gli USA non potranno sostenere a lungo un tale impegno. D’altra parte gli alleati europei sono terrorizzati da un disimpegno americano che metterebbe in evidenza la debolezza “militare” dell’Unione che è, sì, monetaria, ma poco politica e militare.

La stessa Alta Rappresentante per le politiche europee, Federica Mogherini, nella sua problematica insignificanza,18 rappresenta simbolicamente una moneta priva di una efficace forza di difesa/offesa. Un po’ come immaginarsi il dollaro, padrone del ventesimo secolo, senza portaerei.
Debolezza dovuta soprattutto ai contrastanti interessi diplomatici ed economici tra le principali nazioni del continente (Gran Bretagna, Germania, Francia ed Italia). Come d’altra parte dimostra bene l’incidente occorso nei giorni scorsi in Libia: in cui tre membri delle Forze Speciali francesi sono rimasti uccisi nell’abbattimento di un elicottero, da parte dei miliziani filo-Isis, mentre combattevano a fianco del generale Khalif Haftar, l’uomo forte di Tobruk, invece che di quello del “legittimo” governo libico cui i militari europei già stanziati in Libia dovrebbero ufficialmente fare riferimento.19

E’ chiaro che un tale disordine finisce col favorire alleanze locali, e magari momentanee, proprio perché in un’era di decadenza del potere occidentale (e di declino del petrolio) gli ex-alleati locali potrebbero ritenere più utile coordinarsi tra di loro autonomamente sia per salvaguardare la propria sicurezza che per gestire in proprio ciò che rimane delle scorte dell’oro nero. Problemi cui la Russia, nel suo ruolo ritrovato di Grande Potenza, non può rimanere insensibile. Avendo per ora come obiettivi locali quelli di salvaguardare le proprie basi in Siria, ampliare il proprio ruolo sul mercato della produzione e delle transazioni legate al petrolio e al gas e, naturalmente, allontanare la minaccia jihadista sia dalla Cecenia che dalle aree confinanti. Senza rinunciare a rendere allo storico avversario statunitense pan per focaccia per quanto è avvenuto e sta avvenendo in Ucraina e nei paesi dell’ex-blocco sovietico.

Il percorso fin qui tracciato non è certo né lineare né definitivo, anche perché l’Occidente, pur manifestando qualche critica nei confronti della repressione di Erdogan nei confronti dei suoi avversari, veri o presunti tali, dovrà fare buon viso a cattivo gioco per un periodo, a questo punto, ancora piuttosto lungo.20 USA ed Europa non possono permettersi di perdere Ankara che, occorre qui sottolinearlo con forza, rappresenta il secondo contingente militare della NATO, dopo quello statunitense, sia per importanza che dal punto di vista numerico.21 E qualsiasi siano stati i motivi e gli attori ultimi del tentativo di colpo di Stato del 15 luglio, fino a quando Erdogan non potrà essere sostituito con un personaggio “più affidabile”, questa è ancora la cosa che conta di più. Cercando di evitare nel prossimo futuro coinvolgimenti imbarazzanti e fallimentari nei confronti di operazioni destinate poi ad essere abbandonate a se stesse come quella di cui stiamo stati testimoni.

Con buona pace, comunque, di tutti quei “democratici” che strillano e si stracciano strumentalmente le vesti per una repressione che, pur essendo diventata più violenta e pericolosa, è presente e attiva in Turchia, soprattutto nel Kurdistan e nei confronti del PKK, da anni. E con buona pace ancora di coloro che vedono in Putin un agente dell’anti-imperialismo oppure di coloro che ancora non vedono la differenza tra i Kurdi del Rojava e della Turchia e di quelli del Nord Irak che fin dalla Guerra del Golfo agiscono col beneplacito americano e a fianco degli interessi statunitensi nella speranza di spartirsi, tra i clan Barzani e Talabani, un possibile feudo ricco di petrolio e, forse, di altri minerali preziosi. Area in cui gli Stati Uniti, dopo che le forze irakene hanno strappato all’ ISIS “il controllo della della base militare di Qayara, avamposto strategicamente ben posizionato per sferrare attacchi a Mosul, “capitale” irakena del Daesh, stanno valutando la possibilità di trasformare questa base in un avamposto permanente da cui far partire le missioni anti-ISIS, anche quelle che fino ad oggi partivano dalla base NATO di Incirlik, in Turchia, e dalle altre basi USA nell’area.22

erdogan Certo è che questa situazione generale vede un ritorno trionfante del nazionalismo. Occorre qui affermarlo senza timore: non solo dall’alto ma anche dal basso, poiché in una situazione di malessere generale e di progressivo peggioramento delle condizioni di vita della stragrande maggioranza della popolazione, in America come in Medio Oriente e ancora qui in Europa, e in assenza di una qualsiasi altra seria proposta di opposizione anti-imperialista e di riorganizzazione socio-economica e territoriale che neghi l’attuale modo di produzione capitalistico, larghi settori di quella che è ancora definibile come “classe degli oppressi” si rifugeranno sempre più nell’esaltazione delle proprie radici e nel fasullo conforto di una peregrina identità nazionale e/o religiosa. Ulteriore fattore e motore delle guerre a venire. Come il nazionalismo turco di Piazza Taksim, sostituendo le precedenti proteste anti-Erdogan, già ci ricorda in maniera abbastanza eloquente.


  1. https://forum.termometropolitico.it/339961-anche-la-turchia-sogna-guerra-agli-usa.html  

  2. Dopo la sua elezione a Primo Ministro nel 2003, il leader turco ha mantenuto tale incarico fino al 2014 quando è stato eletto Presidente con le prime elezioni presidenziali dirette della storia del paese  

  3. Eliza Ungaro, Perché Erdogan ha “licenziato” Davutoglu, spiegato, 20/05/2016 http://www.thezeppelin.org/erdogan-davutoglu/  

  4. Solo a titolo di esempio: http://www.repubblica.it/online/fatti/paki/paki/paki.html  

  5. Su questo si confronti: https://www.carmillaonline.com/2016/07/21/istanbul-torino-la-parola-dordine-sola-repressione/  

  6. http://www.repubblica.it/esteri/2016/07/19/news/il_retroscena_una_cisterna_americana_ha_rifornito_gli_f-16_e_ora_erdogan_va_in_pressing_sull_alleato-144402675/?ref=HREC1-1  

  7. http://www.huffingtonpost.it/2016/07/25/turchia-arresta-giornalisti_n_11175734.html?1469435801&utm_hp_ref=italy  

  8. Non posso fare a meno di tracciare, in tal senso un parallelo con la fallita invasione della Baia dei Porci. Avvenuta a Cuba nell’aprile 1961. Un fallimento totale che , di fatto, inaugurava il mandato di John Fitzgerald Kennedy e smontava fin dall’inizio le sue promesse. Così come il mancato golpe turco chiude il secondo mandato di Barak Obama, dimostrando tutta la debolezza della sua azione politica di “rinnovamento” ( cfr. https://www.carmillaonline.com/2016/07/24/sono-fotogenico/). In entrambi i casi gli Stati Uniti hanno puntato su oppositori espatriati: gli esuli anti-castristi a Miami per il primo e Fethullah Gulen, probabilmente, per il secondo. cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Invasione_della_baia_dei_Porci e per una emozionante descrizione letteraria James Ellroy, American Tabloid, Mondadori 1995, pp.434-470  

  9. https://it.rbth.com/mondo/2016/07/21/e-stata-la-russia-a-salvare-erdogan_613821  

  10. http://www.liberoquotidiano.it/news/esteri/11931054/becchi-golpe-turchia-ruolo-putin-salvataggio-erdogan-.html  

  11. ancora https://it.rbth.com/mondo/2016/07/21/e-stata-la-russia-a-salvare-erdogan_613821  

  12. Marta Furlan e Lorenzo Carota, Turchia, Israele e Russia: il ritorno della diplomazia, 11/07/2016 http://www.thezeppelin.org/la-turchia-la-normalizzazione-diplomatica-israele-russia/  

  13. come da nota precedente  

  14. Poiché è difficile che un golpe organizzato all’interno degli apparati Nato e dell’esercito turco sfugga all’occhio vigile di Israele  

  15. Il riferimento è all’attacco di maggio effettuato dalla coalizione ribelle Jaish al-Fatah nel villaggio di Khan Tuman (sud di Aleppo), che ha ucciso decine di combattenti iraniani del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC), della brigata afghana Fatemiyoun (mercenari che combattono per l’Iran) e delle milizie sciite di Hezbollah. Secondo alcune fonti le vittime sarebbero un’ottantina, tra cui due generali di spicco; si è trattato della più grave perdita per le forze iraniane dall’inizio del conflitto” Samantha Falciatori, L’iranizzazione della Siria e l’intervento russo, 08/12/2015 http://www.thezeppelin.org/iran-russia-siria/  

  16. idem  

  17. Anche la più recente dichiarazione di Trump su una possibile uscita degli USA dal WTO (http://www.repubblica.it/esteri/elezioni-usa/primarie2016/2016/07/24/news/trump_controlli_piu_severi_su_chi_arriva_dalla_francia-144740332/?ref=HREC1-8 ) sembra rientrare nella tradizione isolazionista e protezionista del Partito repubblicano. Tradizione interrotta sostanzialmente dai Bush, padre e figlio, che guarda caso non si sono presentati alla Convention repubblicana, avendo già dichiarato il proprio favore per l’interventismo della Clinton. Rappresentante perfetta, come ho già detto altrove, degli interessi petroliferi, finanziari e del complesso militare-industriale statunitense  

  18. Che sembra pareggiata soltanto dalla progressiva perdita di credibilità di Barak Obama. Figura destinata sicuramente ad entrare nella leggenda mediatica essendo stato “il primo presidente afro-americano” degli Stati Uniti, ma i cui insuccessi e promesse mancate si sono accumulati implacabilmente nel corso dei suoi otto anni di mandato. Rendendolo molto simile, in questo senso, a John Fitzgerald Kennedy, di cui si è già parlato in una nota precedente  

  19. http://www.analisidifesa.it/2016/07/libia-abbattuto-elicottero-di-haftar-morti-due-incursori-francesi/  

  20. Ingoiando la rimozione di alcuni ambasciatori ritenuti coinvolti nel complotto e la difesa della pena di morte da parte del Ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu: “L’Unione europea non ha il diritto di dare alla Turchia un ultimatum su questo tema, l’Europa non è la proprietaria della Turchia e non accetterà di essere guardata dall’alto al basso.” http://www.repubblica.it/esteri/2016/07/25/news/turchia_arrestati_42_giornalisti_accusati_di_sostenere_gulen-144768272/?ref=HREC1-4  

  21. cfr. Francesco Valacchi, Turchia, le forze armate oggi, 5 dicembre 2013 http://www.ilcaffegeopolitico.org/13589/turchia-le-forze-armate-di-ankara-oggi  

  22. Zeppelin Newsletter, International Weekly Brief 18 – 24 luglio 2016