Frank

[Pubblichiamo un estratto del racconto di Leonhard Frank Il padre, che fa parte della raccolta L’uomo è buono, Del Vecchio Editore, Roma 2014, pagg 336 € 15. Uscito nel 1917 in Germania, ebbe un grande successo ma in seguito finì sui roghi nazisti e Frank fuggì in Svizzera. L’etica della pace, della non violenza, della denuncia degli orrori della guerra, e la fiducia incrollabile nell’Uomo, fanno dell’opera dell’autore tedesco, quasi sconosciuto in Italia, un punto di riferimento del pacifismo mondiale. MB]

Settecento paia d’occhi di settecento persone cupamente mute fissavano l’oratore. Alle donne, che avevano le pentole vuote, o quelle i cui mariti erano sul campo o già caduti, le guance si erano fatte rosse. La cappa di ferro che da due anni schiacciava tutta l’Europa, evidentemente schiacciava anche questi settecento animali da soma, rattrappiti da dolore e miseria. Un ragazzino aveva preso il piccolo fucile da dietro il pianoforte che stava sul palco, e appoggiandolo alla guancia grigia mirava verso il basso, verso le settecento persone immobili. Tutti guardavano il buco della canna di latta. E fuori, col fucile sulla guancia, stavano milioni di uomini contro milioni di uomini, nella colpa e nel peccato.

Allora Robert spiccò il salto. Fu un salto lento. Si mosse con una sicurezza da sonnambulo verso il ragazzo, gli tolse il giocattolo dalla guancia e avanzò fino al palco. […] – Ecco, questo qui è un fucile. L’ho… l’ho comprato io stesso per il mio unico ragazzo. E con questo ha giocato. Con questo, senza accorgersene, ha estirpato l’amore dal suo cuore. Con questo ha imparato a sparare. Sono io che gli ho insegnato a sparare, che gli ho insegnato a uccidere. Mio figlio è caduto. È morto. Sono io il suo assassino… Orgoglio paterno, brama di gloria, superficialità dei pensieri e abitudine hanno fatto di me un assassino. E però ho solo fatto quello che avete fatto anche voi. Anche tra voi c’è chi ha perso un figlio.
Robert alzò il piccolo fucile sul ginocchio e lo spezzò, e posò con calma i due pezzi ai suoi piedi.
– Questo avrei dovuto farlo quindici anni fa… Lo avete fatto, voi…? Quindi siete anche voi assassini… I nostri uomini e i nostri figli stanno sparando a uomini e figli. E gli uomini e i figli dell’altra parte sparano ai nostri uomini e figli. E ciascuno di quelli rimasti a casa spera: il mio uomo, mio figlio, torneranno a casa. Che muoiano e cadano gli altri! Solo un pazzo può augurarsi qualcosa del genere. Vi chiedo: non è dunque un assassino anche quello che educa un innocente a che lui diventi un assassino, prima di essere ucciso lui stesso? E un innocente così educato, non diventa anche lui un assassino quando uccide un altro innocente ugualmente malconsigliato? Oggi in Europa non c’è più un solo essere umano che non sia anche un assassino…!
Goya2Siamo accecati e assassini, perché cerchiamo il nemico fuori di noi e crediamo di trovarlo lì. Ma non l’inglese, non il francese, il russo e per quelli non il tedesco, ma in noi stessi è il nemico. Per questo vediamo in altri uomini il nemico, perché il nemico effettivo è qualcosa che non è presente. La non presenza dell’amore è il nemico, e l’origine di questa guerra. L’Europa intera piange, perché l’Europa intera non sa più amare. L’Europa intera è folle, perché non sa più amare. Non è una follia se gioite alla notizia: «Duemila cadaveri francesi giacciono sul nostro fronte…»? Gli abitanti di Parigi non sono folli quando si rallegrano alla notizia: «Duemila cadaveri tedeschi giacciono sul nostro fronte…»?
Se nostro figlio cade, gridiamo di dolore o di dolore gli occhi si seccano. Ma finché non gridiamo dello stesso dolore quando cade un francese, non amiamo. Finché non sentiamo: un essere umano, che non ha fatto nulla, è caduto e morto, fino ad allora siamo folli. Perché questo uomo, che è caduto e morto, aveva una madre, un padre, una moglie, che gridavano di dolore. Era un essere umano. Voleva tanto vivere ed è morto. Per che cosa? Perché? Noi, i suoi assassini, l’abbiamo lasciato morire perché non amiamo.
Robert, durante il discorso, faceva piccoli gesti con la mano.
Goya1 – Basta solo amare e nessun colpo partirà più. Ecco allora la pace. Allora siamo bambini sulla nostra terra… Tutto il continente piange. E da questo si riconosce che tutta la terra è capace di amare. Sarebbe tutto senza speranza se l’Europa ridesse perché tutta l’Europa sanguina. Ma in Europa non c’è casa in cui non scorrano le lacrime. Ecco l’amore che piange dagli occhi perché è stato scacciato dal cuore degli esseri umani… Che fareste se in questo istante uno sconosciuto entrasse in questa sala e piantasse la baionetta nel ventre di uno di voi, che non ha mai visto prima? Voi quel folle non lo comprendereste. Ma i vostri uomini e i vostri figli fanno esattamente lo stesso. Anche loro piantano a uomini e figli mai visti prima la baionetta nel ventre, e il trafitto urla e si torce e cade. Che cosa ha fatto lui a vostro figlio? E che ha fatto vostro figlio a quello che gli ha piantato in corpo la baionetta? Avete mai immaginato in che modo il vostro giovane figlio, che anche lui avrebbe voluto tanto vivere, tanto, ha dovuto morire…?
Ragazza, pensa all’ultimo sguardo del tuo fidanzato, che ferito e assetato nella calura estiva penzolava dal filo spinato. Immagina il suo ultimo terrificante sguardo.
– Donna, – disse Robert a una che impallidiva, e i settecento lo sentirono, nel silenzio tombale, – che ha fatto tuo marito, che tu amavi, che ti ha dato il pane e i figli, a quello che gli ha piantato la baionetta nel ventre?
La donna emise un lamento e la sua testa si piegò sulla spalla della vicina.
– Gli uomini sono folli, davvero e veramente folli, perché hanno dimenticato l’amore. E poiché hanno dimenticato l’amore credono che tutto debba essere come è… Il nostro popolo, come vediamo, si compone solo di mutilati e bambini, donne e vecchi mal ridotti. Se si andassero a raccogliere sui campi di battaglia le braccia e le gambe amputate, le membra staccate, i milioni di corpi straziati tra i quali anche quelli dei vostri figli e mariti, e li si gettasse sulle vostre strade, davanti ai vostri occhi, direste ancora: «Adesso bisogna rassegnarsi?», o finalmente sareste pronti ad amare, qualunque cosa accada? Capireste finalmente che coloro che vi impediscono di amare sono i vostri nemici? Nemici dell’uomo! Nemici del popolo…!
Le parole di Robert si fusero con le parole ripetute da cento voci: – Tutto è perduto! Non abbiamo più nulla da perdere! Nulla! Nulla!
Goya3La notizia si era già diffusa, quando attraversarono le strade. Davanti a tutti il cameriere, senza cappello, nel suo smoking macchiato, il tovagliolo in mano. – Vogliono fare la pace. Quelli vogliono fare la pace! Le commercianti, orfane dello sposo, abbandonavano il banco e si univano al corteo. Due pulitori di vetrine, avanti negli anni, abbandonarono le scale sulle quali stavano lavorando, per unirsi anche loro. Il manovratore del tram elettrico sentì la parola “pace”, saltò giù dalla vettura e si unì. I viaggiatori si unirono. In pochi minuti la massa si era triplicata, e si decuplicò quando Robert, giunto alla piazza si arrampicò sulla fontana e parlò. La sua bocca stagliava contro il cielo le chiare lettere della sua ultima frase: – La scure è già stata piantata nella radice. Perciò l’albero che non dà buoni frutti viene abbattuto e gettato nel fuoco. C’era lì una giovane donna, che non faceva altro che sorridere e ripetere “pace”. Forestieri che giungevano dalla stazione dimenticavano tutto e si univano alla folla che avanzava, infiammati di certezza. Uno squadrone in licenza, in divisa da campo, il fucile di sbieco sulle spalle e negli occhi l’orrore del campo di battaglia, si unì. Vecchie nonnette riuscivano a malapena a tenere il passo. Ai bambini il viso si faceva affilato per la sorpresa e capivano che stava succedendo qualcosa di grosso. A un vecchio sergente di polizia col pizzetto grigio e al braccio destro il nastro a lutto, gli occhi brillarono di esaltazione e si unì. Gente che camminava nella direzione opposta, incontrato il corteo, si voltava infervorata. I ciclisti volavano per le strade gridando: – Quelli vogliono fare la pace. – Le osterie si svuotarono. Le officine e i cantieri si svuotarono. Cinghie e alberi di trasmissione si fermarono. Una compagnia di soldati in servizio armato fu trascinata via. Canti d’amore risuonavano a tempo di marcia. Gli ammalati scesero dai letti e si trascinarono alle finestre. File chilometriche di donne che si muovevano in obliquo si spinsero una sull’altra per entrare nel corteo. Un ventenne, spirito ed esaltazione sulla fronte, sbucò fuori da un vicolo pieno di gente, si gettò sul cameriere, lo baciò. E il suo sguardo di fuoco spalancò i cuori. La città intera era risorta e gridava una sola parola: Pace! La parola si fece un canto potente di migliaia di voci.

(Traduzione di Paola Dal Zoppo)
(Immagini: Goya, i Disastri della guerra)