di Alessandra Daniele

Blakes7.jpgSi sa, fra il domopak e la gommapiuma della fantascienza televisiva vintage si possono trovare delle autentiche gemme.
Come l’ultimo episodio di Blake’s 7, serie inglese 1978-1981 creata da Terry Nation, dal finale più coraggioso mai visto in Tv.
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In un ralenty da western crepuscolare, tutti i protagonisti vengono uccisi dalle guardie della neonazista Federazione terrestre che combattono. Il capitano, sospettato di tradimento, finisce addirittura sbudellato a pallettoni dal suo ex-vice, che poi, con un sorriso beffardo, si lascia fucilare per non arrendersi ai federali. Quando andò in onda la prima volta, questo finale lasciò i fans stravolti. Oggi è il fulcro del culto postumo nato attorno alla serie.

Blake’s 7 è un ircocervo volante: una distopia orwelliana, sviluppata però come space-opera, e realizzata col budget irrisorio d’una sit-com. Gli effetti speciali sono fatti coi petardi e il polistirolo, i costumi sembrano pescati alla cieca da una discarica, il kitch straripa, soprattutto in presenza di Servalan (Jacqueline Pearce) tipica evil queen da z-movie, ma il sistematico pessimismo, e l’ambiguità antiretorica di personaggi e situazioni lo rendono spesso sorprendentemente realistico e innovativo come pochi. Infatti è la serie sf che vanta il maggior numero di tentativi di imitazione: Farscape, Firefly/Serenity, Andromeda, Lexx, e persino vari elementi di Star Trek TNG, DS9, e Voyager, e dell’attuale reboot di Galactica.
Anche di Blake’s 7 è stato proposto un reboot ”ufficiale”, e potrebbe essere un’ottima occasione per svilupparne fino in fondo le potenzialità, all’epoca mai completamente realizzate.
Blake’s 7 è per molti versi un anti-Star Trek, in cui la Federazione è una dittatura nazista che imprigiona, tortura, e stermina i dissidenti, manovra la criminalità organizzata, e tiene sotto controllo le masse con dosi industriali di sedativi, chimici e telematici.
Sull’astronave ribelle Liberator non ci sono gradi e divise: la gerarchia è elastica, la disciplina inesistente. Si decide di scendere su un pianeta solo se costretti da esigenze tattiche o di sopravvivenza, e di esplorare l’ecosistema, o instaurare relazioni diplomatiche con le civiltà locali — perlopiù brutali e dementi quanto la Federazione — non frega una mazza a nessuno. Anche i peggiori episodi di Blake’s 7 condividono la migliore caratteristica della serie: No happy endings. I protagonisti non riescono mai a salvare la situazione, a stento riescono a salvare se stessi, per loro non ci sono facili scappatoie, reset, viaggi nel tempo, o saggi alieni benevoli ad aiutarli, fra di loro non ci sono melensi intrecci da soap opera. Le loro missioni falliscono, spesso in modo disastroso, con interi popoli sterminati da guerre batteriologiche, e pianeti distrutti da super-armi. I computer rincoglioniscono, gli androidi decapitano i loro creatori e gli rubano la testa, il replicatore alimentare che dovrebbe trasformare i cadaveri in frutta sintetica si guasta, e ritrasforma la frutta in cadaveri mentre la mangi.
Blake (Gareth Thomas) è un guerrigliero ex-detenuto politico al comando di un’astronave aliena rubata che non sa usare, e il cui equipaggio è composto da galeotti evasi, in maggioranza criminali comuni, assassini, truffatori, rapinatori. Più Orac, una bizzarra scatola di plastica trasparente che è in effetti il primo super-computer portatile mai visto in una serie Tv, e oltre a essere senziente, ha anche un anticipo di Internet wireless: può infatti collegarsi a distanza con qualsiasi altro computer nella galassia.
Ma ha un carattere di merda.
Come tutti i personaggi di Blake’s 7.
Infidi, paranoici, violenti, avidi, arroganti, vigliacchi, cialtroni, incapaci: benché combattano dalla parte giusta, ciascuno a suo modo è un bastardo, a cominciare dal protagonista, che non è Blake. Infatti – altra particolarità della serie – Blake, l’unico vero idealista, sparisce alla fine della seconda stagione, per ricomparire solo nel finale come arrogante cazzone e sospetto traditore. Al comando della nave ribelle (e della serie) gli succede Avon (Paul Darrow) sarcastico sociopatico che si comporta molto più da pirata che da guerrigliero, e che tratta il suo equipaggio letteralmente come zavorra. Il suo stupore nel finale – “Have you betrayed me?” – deriva essenzialmente dal fatto che tutti, lui compreso, s’aspettassero da sempre l’inverso.
Ci sono solo due persone ad avere un minimo d’importanza per Avon, oltre se stesso: la sua ex, e il suo unico (quasi) amico Blake. Nel corso della serie li ammazza entrambi personalmente.
L’ultima inquadratura del finale è il sorriso malinconico e beffardo col quale sceglie di morire libero.
Oggi un reboot davvero all’altezza delle potenzialità di Blake’s 7, e in più libero dalle limitazioni economiche e dalle censure imposte alla sf televisiva anni ’80, potrebbe (come accaduto a Galactica) superare ampiamente ogni episodio della serie originale.
Tranne l’ultimo.
Un vecchio videotape girato con due soldi e recitato col megafono (alla William Shatner) ma abbastanza coraggioso da travolgere quelle ferree convenzioni televisive alle quali oggi anche i più ribelli obbediscono in silenzio. E che, nonostante tutti tentativi di imitazione mantiene Blake’s 7 assolutamente unico.