di Claudio Albertani (traduzione di Irene Caporale)

Appo2.jpgLa guerra è la pace
la libertà è la schiavitù,
L’ignoranza è la forza
George Orwell

Oaxaca è in pace e riflette
un clima di tranquillità
Ulises Ruiz, 10 Maggio 2007

A un anno dal conflitto degli insegnanti, Oaxaca è lo specchio del Messico. La destra avanza a passi da gigante, ma avanza anche la ribellione che cerca nuove strade, e a volte le incontra. Secondo la Banca Mondiale, il 67% degli abitanti di Oaxaca (2.349.570 su un totale di 3.506.821, secondo i dati ufficiali) vive in uno stato di povertà e disuguaglianza tali da “impedire loro di formare parte attiva della società” (1).

Crogiolo di culture indigene e meticce, negli ultimi anni la capitale dello stato si è trasformata in una gigantesca vetrina per turisti, apportando cospicui guadagni agli investitori locali, nazionali e stranieri, ma ben poco ai cittadini comuni. Con l’arrivo di Ulises Ruiz Ortiz (URO) come governatore alla fine del 2004, è incominciato un nuovo ciclo autoritario caratterizzato dall’aggravamento della corruzione, l’incremento del narcotraffico, la distruzione del patrimonio storico e naturale, l’accanimento contro le voci indipendenti e i movimenti sociali. A tutto ciò bisogna aggiungere che Ruiz Ortiz, uomo rozzo e spietato, non vinse grazie alle elezioni bensì, come il presidente messicano, Felipe Calderón, grazie all’imbroglio.

LE GUERRE DI URO

L’assolutismo che regna a Oaxaca non è un retaggio del passato. Sintetizza, al contrario, le drammatiche contraddizioni del Messico attuale un paese che, secondo alcuni, marcia a passi veloci verso l’instaurazione di un regime fascista (2).
Senza addentrarci nel dibattito, un fatto è certo: mentre la destra arcaica e oligarchica che sta al potere impone una modernizzazione aggressiva ed elitaria, si va delineando, allo stesso tempo, una vasta insurrezione sociale, di caratteristiche inedite.
Questa destra si sente assediata è pronta a tutto. Non cerca legittimità e neppure accordi, mira solamente all’arricchimento ed alla perpetuazione di se stessa. A Oaxaca e nel resto del paese, il suo programma è lo stesso: smantellare le ultime vestigia dello stato sociale, sottomettere il paese alle necessità del capitale transnazionale e farla finita con tutto ciò che sia vagamente di sinistra. Le differenze politiche e le numerose guerre intestine importano poco perché alla fine questa destra – che ingloba non solo il PAN (Partido de Acción Nacional), ma anche il PRI (Partido Revolucionario Institucional) e buona parte della cosiddetta sinistra istituzionale – è sempre disposta ad unificarsi.
La permanenza in carica di URO — con l’evidente sostegno di due presidenti, Vicente Fox e Felipe Calderón – non stona con il panorama nazionale. I primi mesi della nuova amministrazione panista si sono, infatti, caratterizzati per una rinnovata militarizzazione delle regioni indigene, numerosi omicidi per mano dell’esercito e la richiesta fatta agli Stati Uniti di implementare un “Plan Colombia” con la scusa della lotta al narcotraffico (3).
È in tale contesto che bisogna analizzare il comportamento del governatore di Oaxaca. Di che stoffa fosse fatto lo si era capito fin dalla campagna elettorale. Nel corso di un comizio a Huautla de Jiménez, il 27 Luglio del 2004, i suoi seguaci percossero a morte un oppositore, il professor Serafín García. Come tanti altri, questo crimine rimase impunito (4).

Il 1° agosto, giorno delle elezioni, il sistema di conteggio dei voti si inceppò ben tre volte, di modo che il “trionfo” di URO — soprannominato il mapache mayor (5) — fu contestato dalla coalizione “Todos Somos Oaxaca” (Tutti siamo Oaxaca) guidata da Gabino Cué.
Non servì a nulla visto che le decisioni erano prese ad altri livelli. URO aveva ricevuto l’incarico di governatore non dagli elettori ma da Roberto Madrazo -segretario del suo partito, il PRI – come ricompensa per i servizi che gli aveva reso nella guerra contro Andrés Manuel López Obrador (prossimo candidato alle elezioni presidenziali del 2006 per la coalizione di sinistra).
Appena insediato, URO scatenò una nuova guerra, questa volta contro una testata indipendente locale, Noticias de Oaxaca, giudicata colpevole di dissidenza. Il 17 Giugno 2005 un gruppo di picchiatori guidati dal deputato del PRI e “leader sindacale”, David Aguilar, irruppe nei locali del quotidiano. Visto che si rifiutavano di unirsi a uno “sciopero”, i 31 giornalisti presenti vennero tenuti prigionieri per oltre un mese (6).
Malgrado ciò, Noticias continuò a uscire. I sequestrati trasmettevano le informazioni via internet, e il giornale veniva stampato a Tuxtepec, a più di 200 chilometri da Oaxaca. Quando la polizia di Ruiz Ortiz cominciò ad assaltare i camion che lo trasportavano, il proprietario del giornale, Ericel Gómez, affittò un aereo. Aiutati dal sindacato degli insegnanti, gli edicolanti ritiravano le copie direttamente in aeroporto. La disputa si protrasse per quasi un anno, la tiratura calò moltissimo, ma alla fine Noticias riuscì a sopravvivere con grande scorno di URO. Non solo. Divenne molto più radicale, trasformandosi nel quotidiano più venduto della città.
Un altro fatto sintomatico è l’aggressione a Santiago Xanica, una comunità indigena zapoteca della Sierra del Sud che da anni lotta per il rispetto dei diritti collettivi. Nel Dicembre 2004, a pochi giorni dall’insediamento di URO, l’esercito iniziò a pattugliare la zona e il 15 Gennaio la polizia preventiva statale aprì il fuoco contro un’ottantina di indigeni riuniti intorno al municipio. Nell’azione fu ferito gravemente Abraham Ramírez Vázquez, dirigente del Comité por la Defensa de los Derechos Indígenas (CODEDI). Poiché nel tempo degli assassini le vittime sono sempre colpevoli, Abraham venne arrestato senza imputazioni e a tutt’oggi è detenuto nel carcere di Pochutla (7).
Poco dopo, URO si imbarcò in una ristrutturazione dello zócalo (la piazza principale) di Oaxaca, unanimemente ritenuta ecologicamente nociva oltre che oscenamente costosa. Sebbene l’operazione gli alienasse definitivamente le simpatie della classe media, gli consentì di distribuire enormi prebende tra i suoi alleati.

All’inizio del 2006, a Oaxaca vi erano già una settantina di prigionieri politici. Non contento, il governatore aprì il fuoco contro la Sezione 22 del Sindacato Nazionale dei Lavoratori dell’Insegnamento, che ha circa 70,000 aderenti ed una lunga tradizione di autonomia.
Da molti anni, con l’approssimarsi della festa del maestro (15 Maggio), i professori organizzavano dei sit-in che finivano per trasformarsi in una vera e propria occupazione del centro della città. Era l’unico strumento di cui disponevano per farsi sentire. La cittadinanza si lamentava e mugugnava, ma in fondo li vedeva con simpatia: catalizzatori della coscienza sociale e profondi conoscitori della realtà locale, gli insegnanti sono molto rispettati.
In quell’occasione, esigevano l’omologazione del loro esiguo salario agli standard nazionali, una rivendicazione niente affatto estremista. Tuttavia le autorità non accettarono la via del dialogo e la situazione divenne tesa.
I sit-in iniziarono il 22 Maggio, senza riscuotere grandi successi presso la cittadinanza. Forte di questo, il 14 Giugno URO ordinò una vera e propria offensiva militare contro i manifestanti, puntando sull’effetto sorpresa.
Verso le 5 del mattino, 3000 agenti in assetto di guerra, sostenuti da blindati ed elicotteri che lanciavano granate tossiche, assaltarono gli insegnanti immersi nel sonno. In pochi minuti, le forze dell’ordine distrussero l’accampamento – compresa “Radio Plantón”, l’emittente dei maestri – saccheggiando tutto, dai sacchi a pelo agli effetti personali. Come risultato, vi furono 200 feriti e una quantità indeterminata di desaparecidos.
Era la risposta di URO alle rivendicazioni degli insegnanti, una risposta — bisogna aggiungere – niente affatto discordante con il panorama nazionale. Poche settimane addietro, infatti, qualcosa di simile era accaduto ad Atenco, dove il governo aveva impunemente massacrato e brutalizzato un gruppo di manifestanti (8).
Inoltre, alla vigilia delle elezioni presidenziali, il governatore di Oaxaca inviava il messaggio del suo capo, Roberto Madrazo: il PRI è il partito dell’ordine. Le elezioni erano ormai già macchiate di sangue.

L’INCENDIO

Ciò che successe in seguito, dimostra che quando i detentori del potere si mostrano troppo avidi finiscono con il compromettere i loro stessi interessi (9). Infatti, la cittadinanza che fino ad allora si era mantenuta passiva, si riversò nelle piazze a manifestare a favore degli insegnanti i quali, forti dell’aiuto inaspettato, ripresero possesso dello zócalo. A quel punto, le rivendicazioni sindacali passarono in secondo piano di fronte alla richiesta irrinunciabile delle dimissioni immediate del governatore.
Il 16 giugno, una marcia di quasi 300 mila persone misurava la forza degli insegnanti. I cittadini (studenti, padri di famiglia, lavoratori, burocrati e addirittura commercianti) li accolsero con applausi, e quando qualcuno mostrò uno striscione che recitava “Fuori Ulises” tutti applaudirono.
Nel frattempo, la Unión de Comunidades Indígenas de la Zona Norte del Istmo (UCIZONI) si era solidarizzata bloccando la circolazione a Matías Romero, nei pressi dell’istmo. Era un anticipo di ciò che sarebbe avvenuto in seguito: grandi manifestazioni a Oaxaca e diffusione del movimento nelle regioni di provincia.
Il 18 giugno si costituì la Asamblea Popular del Pueblo de Oaxaca (APPO) della quale, oltre agli insegnanti, facevano parte svariate organizzazioni (circa 350) che comprendevano sindacati, collettivi libertari, vecchi gruppuscoli di stampo marxista-leninista, Ong, comunità indigene, organizzazioni sindacali, associazioni di artisti e studenti e individui indipendenti.
La APPO nacque dunque come strumento per sostenere la lotta dei mae-stri, tuttavia superò ben presto l’ambito puramente sindacale per trasfor-marsi in una specie di assemblea permanente che si faceva carico della vita cittadina.
Il 20 giugno, si dette una direzione collettiva provvisoria, composta da 30 persone, con il compito di costruire un fronte di lotta per ottenere la destituzione di Ulises Ruiz Ortiz, la cacciata del governo priista e la creazione del potere popolare (10).
Anche se il termine “potere popolare” può infastidire per le esperienze storiche che evoca, esprimeva la volontà comune di trasformare le condizioni della vita sociale formulando la necessità di costruire un nuovo rapporto tra governanti e governati.
Con l’idea de favorire la presa di decisioni in maniera democratica, sorsero varie commissioni incaricate di esaminare i differenti aspetti della lotta: stampa, barricate, cultura, ecc. Tutte insieme componevano l’assemblea che era l’organo supremo. “Cominciammo col creare una rete di organizzazioni in modo tale che qualsiasi azione facessimo passava per una serie di valutazioni, sia degli insegnanti che della APPO” (11).
Secondo Gustavo Esteva, nella APPO confluiscono tre divers1 tipi di lotta che implicano differenti idee di ciò che può essere la democrazia (12). Una prima corrente – molto forte a Oaxaca e all’interno della stessa APPO – sostiene la necessità di rendere operativi i meccanismi della democrazia formale, in gran parte assenti a Oaxaca. Ciò implica rinforzare lo Stato di diritto, mettere fine alle frodi elettorali e alla manipolazione dei media.
Una seconda corrente lotta per la democrazia partecipativa, il che significa istituire il referendum e il plebiscito, rendere possibile la revoca del mandato e creare la figura del presupposto partecipativo, ovvero l’intervento dei cittadini nella gestione dei servizi pubblici.
La terza corrente – che Esteva definisce “democrazia radicale” – sostiene che, allorquando si accrescono l’autonomia individuale e collettiva, una società può perfettamente prescindere dal potere dei partiti e dello stato. E’ una corrente trasversale che in Messico si basa sull’esperienza dei popoli indigeni, le lotte urbane e alcuni movimenti libertari. A Oaxaca, trova espressione nella tradizione magonista (12).
Secondo David “el Alberije” Venegas – consigliere della APPO, fatto prigioniero il 13 Aprile e attualmente detenuto nella prigione di Ixcotel – “è possibile vivere in un ordine sociale basato sulla volontà collettiva e non sull’imposizione di un governo estraneo agli interessi e alle necessità del popolo; un ordine dove i valori imperanti […] sono la fratellanza, la cooperazione e la difesa della comunità e non la paura, la derisione e il carcere” (14).
David esprime il bisogno di auto-organizzazione e auto-governo delle persone e dei gruppi che si sono uniti al movimento con l’idea di creare un mondo nuovo qui e adesso dalle viscere di quello vecchio. Oltre a spiegare lo scavalcamento dei sindacati e delle organizzazioni marxiste-leniniste, tale posizione costituisce il migliore freno contro il pericolo sempre latente della fascistizzazione.
Lungi dall’essere estremista, la corrente della “democrazia radicale” è realista. Non è ideologica, visto che non si identifica con nessuna organizzazione in particolare ed è consapevole al tempo stesso di non essere maggioritaria nel paese. In Messico si trova solo una caricatura della democrazia formale e qualche limitata espressione della democrazia partecipativa. La democrazia radicale è quasi inesistente salvo in poche comunità indigene e zapatiste o, come aspirazione, in alcune lotte urbane. “Quindi — conclude Esteva — noi coesistiamo con le prime due correnti, poiché siamo consapevoli di vivere in Messico. Non pretendiamo separarci dal paese, e continueremo ad accettare alcuni aspetti della democrazia formale e di quella partecipativa, ma cercheremo di fare le cose a modo nostro”.

NOTE

(1) Luiís Arellano Mora, “Oaxaca: la pobreza en cifras”.
(2) Carlos Fazio, “¿Hacia un estado de excepción?” La Jornada, 4 Dicembre 2006.
(3) La Jornada, 9 Giugno 2007. I casi più noti — ma non gli unici – sono lo stupro e omicidio di Ernestina Ascensión nella Sierra di Zongolica, Veracruz (La Jornada 27 Febbraio) e il massacro di una famiglia di cinque persone nel Sinaloa, colpevoli di “non essersi fermati a un posto di blocco” (La Jornada, 3 giugno).
(4) Cfr: Comisión Civil Internacional de Observación por los Derechos Humanos (CCIODH), Informe sobre los hechos de Oaxaca.
(5) In Messico vengono chiamati mapaches non solo gli orsetti lavatori, ma anche le persone coinvolte nelle frodi elettorali, che mediante la manipolazione dei voti depositati nelle urne trasformano una sconfitta in vittoria, o annullano il trionfo di un partito, generalmente quello di opposizione.
(6) Intervista con Ismael Sanmartín Hernández, direttore editoriale di Noticias de Oaxaca, 29 Dicembre 2006.
(7) Cfr: mexico.indymedia.org/tiki-download_file.php?fileId=62
(8) San Salvador Atenco è un paesino appartenente allo stato di Messico (la cui capitale è Toluca, a ovest di Città del Messico) che nel 2002 vinse la lotta contro la costruzione di un aeroporto nei suoi terreni comunali. Nel maggio 2006, subì una vera e propria aggressione militare che causò due morti, svariate decine di feriti, violazioni sessuali e 150 arresti. Cfr: Comisión Civil Internacional de Observación por los Derechos Humanos, Informe preliminar sobre los hechos de Atenco, 2006.
(9) Per questa rapida ricostruzione mi sono basato su interviste mie, sull’Informe sobre Oaxaca, cit. e sulla narrazione di Gustavo Esteva in occasione della “Reunión de análisis sobre el movimiento social en Oaxaca. Diálogo entre miembros de organismos civiles e instituciones académicas de Oaxaca y la Ciudad de México”, Universidad de la Tierra, Oaxaca, 18 de marzo de 2007.
(10) La Jornada, 19 Giugno 2006.
(11) Intervista a Miguel Linares Rivera, realizzata da Hernán Ouviña, Città del Messico, 29 Ottobre 2006.
(12) Intervista a Gustavo Esteva, Universidad de la Tierra, Oaxaca, 3 Novembre 2006.
(13) I fratelli Ricardo ed Enrique Flores Magón incarnano la corrente anarchica della rivoluzione messicana.
(14) David Venegas Reyes, “Alebrije”, lettera da Ixcotel, 23 Aprile 2007.

(1-CONTINUA)