panorama_economy_copertina.jpg[da Anticlericale.net]

L’inchiesta fatta da Panorama Economy nel gennaio 2004 sullo Stato del Vaticano, a parere del presidente del gruppo parlamentare europeo radicale Maurizio Turco, è un lavoro in cui si cerca di valutare, a quanto è dato sapere, quale sia la situazione economico-finanziaria della Chiesa Cattolica partendo da dei dati di fatto. Questi espongono cifre relative al patrimonio dello Stato, al giro d’affari e al reddito pro-capite dell’esiguo numero di cittadini vaticani e mettono in evidenza situazioni anomale, come quella che vuole la Banca centrale vaticana non sottoposta a controlli internazionali; quegli stessi previsti invece per le altre istituzioni economico-finanziarie internazionali. Le istituzioni vaticane, ricorda Turco, seppur utilizzando ampiamente i meccanismi internazionali di trasferimenti di denari e fondi, non sono sottoposte a nessuna legge anti-riciclaggio, tanto che, secondo il parlamentare europeo «questa situazione è molto peggio dei cosìddetti paradisi fiscali» tanto da poter dire di essere «di fronte a una potenziale centrale di riciclaggio internazionale».

Uno Stato insomma, a detta del segretario di Anticlericale.net, che sovverte regole di un gioco di cui fa parte senza pagare alcuno scotto, come le possibili sanzioni cui gli altri paesi vanno incontro. Nell’inchiesta si ricorda inoltre come lo Stato Vaticano «batta moneta, l’euro», facendo parte del sistema di pagamento europeo ma anche qui, a detta di Turco, è riuscito a trovare il modo di non sottoporsi a controlli. «Da parte dell’Unione europea – sostiene Turco – non c’è nessuna ragione di escludere il Vaticano dai controlli se non forse una qualche motivazione morale, come un occhio di riguardo verso una religione». A quel punto, però, si incorrerebbe in una palese violazione: «quella della libertà religiosa, visto che ad una fra le tante religioni vengono date privilegi e immunità che sono negate alle altre».

Il Vaticano
La Città del Vaticano si estende su 44 ettari di terreno. Ha 911 residenti di cui 532 cittadini, il cui reddito pro-capite ammonta a 407.095 euro. Non produce beni e i suoi servizi sono per lo più gratuti. La sua economia (con i suoi profitti) si basa sugli investimenti, mobili e immobili, sul patrimonio esistente, le rendite e sulle rimesse delle diocesi sparse nel mondo; sono 4649 riunite in 110 Conferenze Episcopali. Il bilancio di tutto questo è tenuto dall’Apsa (Amministrazione patrimonio sede apostolica) e la Prefettura per gli Affari economici, guidata dal cardinale Sergio Sebastiani, lo controlla. A quest’ultima è anche demandato il compito di controllare i bilanci dello Ior (l’Istituto per le opere religiose), la banca Vaticana. Ogni diocesi inoltre gestisce un patrimonio a sé. Fatto di immobili, titoli e offerte dei fedeli. La Città del Vaticano è composta da tre parti (a volte considerate personalità giuridiche altre no). Lo Stato, la Santa Sede e la Curia. Il primo è l’entità territoriale, la seconda è il vertice della Chiesa e la Curia è la struttura organizzativa. Tutte le istituzioni vaticane spesso rivendicano l’extraterritorialità e la non rispondenza alle leggi degli altri Stati-Nazione.

L’Apsa
L’Apsa è in pratica la Banca Centrale della Città del Vaticano. Essa svolge funzioni di tesoreria e gestisce gli stipendi dello Stato. Fra i suoi compiti c’è anche quello di coniare moneta. Nel 1998 infatti, l’Ue ha autorizzato l’Apsa ad emettere 670mila euro l’anno. Con la possibilità di emetterne altri 201mila in occasione di Concili ecumenici, Anni Santi o in occasione di un’apertura della Sede vacante. Secondo quanto riportato dai dati ufficiali della Prefettura per gli Affari Economici, per il 2002 il Vaticano e la Santa Sede sarebbero in deficit. 29,5 milioni di euro. Nel bilancio però non figurano strutture come le università pontificie, gli ospedali cattolici (Bambin Gesù di Roma, ad esempio), i santuari (Loreto, Pompei). Ma soprattutto non figura l’obolo. Una pratica che ha portato nel solo 2002 un gettito nella casse della Città del Vaticano di 52,8 milioni di euro.

Lo Ior
E’ la banca della Città del Vaticano. Dopo le vicende legate al banco Ambrosiano, al crac e al cardinale Marcinkus, nel 1990 papa Giovanni Paolo II lo ha riformato. Ora la responsabilità è stata affidata a persone laiche ma di credenze cattoliche; lo presiede infatti Angelo Caloia, professore dell’università Cattolica di Milano, ex presidente del Medio Credito Lombardo e attualmente a capo di due società di Banca Intesa. Lo Ior ha sede unica in Vaticano. Non ha filiali in nessun altro luogo. Non ha accesso diretto ai circuiti finanziari internazionali. Non aderisce alle norme antiriciclaggio sulla trasparenza dei conti. Il riferimento è la segreteria di Stato vaticana di monsignor Angelo Sodano. Oggi lo Ior amministra un patrimonio di circa 5 miliardi di euro. Ai suoi clienti (dipendenti del Vaticano, membri della Santa Sede, ordini religiosi, benefattori) garantisce un tasso annuo del 12%. Poco si sa sulle attività della banca; dove investa, a chi dia crediti. Nel 2002 il dipartimento del Tesoro americano ha segnalato che il Vaticano ha 289 milioni di dollari in titoli Usa. L’advisor inglese Guthrie Group ha reso nota una joint venture tra Ior e partner americani per un valore di 273,6 milioni di euro. Ultimamente, si sa che le isole Cayman, il noto paradiso fiscale internazionale, sono passate dal controllo della diocesi giamaicana, guidata dal cardinale Adam Joseph Maida, membro del collegio di vigilanza dello Ior, a quello diretto del Vaticano.

L’8 per mille
Secondo i meccanismi fissati dal Concordato del 1984 fra Stato italiano e Chiesa Cattolica, nonotante soltanto l’8% degli italiani versi direttamente l’8 per mille al Vaticano, gli italiani che pur non facendo nessuna firma sulla dichiarazione Irpef danno ugualmente soldi alla Chiesa sono circa il 67%. Il motivo risiede nel comma 3 dell’art. 46 del Nuovo Concordato firmato il 20 febbraio 1984, che recita in questo modo: «…in caso di scelta non espressa da parte dei contribuenti la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse». Cioè, quale che sia la percentuale delle scelte espresse, anche la quota su cui non è stata effettuata nessuna scelta viene distribuita alla Chiesa Cattolica o allo Stato, in percentuale alle scelte a loro favore. Un esempio a questo proposito lo troviamo sul libro di Mario Staderini, «Otto per mille»: «Nel 2000 – scrive Staderini – la percentuale degli italiani che non hanno espresso una scelta è stata del 64%, mentre il gettito complessivo derivante dall’8 per mille Irpef ha superato il miliardo di euro. Se non fosse esistito questo escamotage, solo il 36% (coloro che hanno espresso una scelta nella dichiarazione dei redditi) di 1 miliardo di euro sarebbe stato ripartito tra le chiese; un trucco legislativo senza precedenti nel mondo, che consente alle chiese di prendere 630 milioni di euro all’anno da cittadini che non vorrebbero darglieli! Al tempo stesso però colui che indicherà la sua preferenza per una confessione religiosa, ad esempio la Chiesa Valdese, non otterrà il risultato che crede, ovvero versare la sua quota interamente alla ‘sua’ chiesa: infatti, se l’87% di coloro che hanno espresso una scelta avrà indicato la Chiesa cattolica, vorrà dire che l’87% della quota di ciascun contribuente (di quello che ha ‘firmato’ per i valdesi come di quello che ha firmato per la Ciesa cattolica e così come di quello che non ha firmato affatto) andrà alla Chiesa cattolica».
I soldi destinati alla Chiesa Cattolica vanno alla Cei, la Conferenza episcopale italiana guidata dal cardinale Camillo Ruini. Per il 2003 si è avuto un gettito superiore al miliardo di euro. Nel 2002, i soldi sono stati ripartiti in questo modo: 425 milioni di euro per le esigenze di culto, 308 per il sostentamento del Clero, 175 per gli interventi caritatevoli, 120 per costruire nuove case canoniche e chiese nel sud Italia, 70 per il terzo mondo, 50 per beni artistici e culturali. Secondo l’articolo pubblicato da Adista invece l’Otto per Mille versato alla Chiesa Cattolica serve maggiormente a finanziare il clero; solo una parte delle entrate sarebbe destinata agli interventi caritatevoli preventivati.

La “roba clericale”
Fin dalla sua ricostituzione nel 1955, il Partito Radicale rivolge la sua attenzione alle strategie economico-finanziarie della Chiesa Cattolica. Sul primo numero della Prova radicale dell’autunno del 1971 Silvio Pergameno pubblica la prima parte di una ponderosa ed approfondita inchiesta su quella che i radicali, sfruttando la sintesi coniata da Ernesto Rossi, chiamano la “roba clericale”. Si tratta di un’analisi delle proprietà immobiliari, del regime fiscale di favore, dei finanziamenti al culto a carico dello stato italiano. Pergameno traccia una mappa delle proprietà immobiliari, delle attività bancarie, delle imprese industriali e del monopolio dell’assistenza sul “soglio di Pietro”. Incalcolabile risulta il valore dei beni immobilizzati nelle aree di proprietà degli enti ecclesiastici, mentre sembra in continua ascesa in quell’inizio degli anni Settanta lo sviluppo del capitalismo clericale. Seguendo lo sviluppo storico dei rapporti Chiesa-stato l’autore dell’inchiesta segue la linea delle attività assistenziali gestite dal Vaticano dall’unità d’Italia fino a quel momento. Si parte dalla legge delle Guarentigie del 1862 per passare ai lavori della Costituente nel ’46-48. L’analisi prende in esame anche il contesto del primo centro sinistra del 1963, quando si tentò di modificare lo stato dell’assistenza sociale attraverso alcune iniziative sia della DC che del PSI. L’indagine, anche se riguarda un momento ormai lontano della storia del paese risulta comunque molto utile, dato il suo carattere di approfondimento, per farsi un’idea dell’arcipelago degli interessi di “oltre Tevere”.

Le informazioni presenti in questa pagina sono state prese e riassunte da Radio radicale a partire dallo speciale di Marina Marinetti uscito su Panorama Economy l’8 gennaio 2004