di Danilo Arona

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A volte si scrive per essere soli. Altre volte per capire se qualcuno ti legge. Qualche tempo fa, in piena avanzata americana in Iraq, ho avanzato stravaganti ipotesi di lettura per il genere horror in un articolo ospitato su Carmilla online che s’intitolava L’horror e la guerra. Sono giunte alcune reazioni tramite il sito Horror.IT, al momento defunto. Tutte a senso unico, ovvero la guerra è terribile, noi non siamo insensibili a tutto questo, leggiamo horror proprio perché non rimaniamo indifferenti, però preferiamo non parlarne. Punto di vista che viene difeso strenuamente da persone come Raffaella di Bergamo che scrive:

“Non ne possiamo più, io non ne posso più. Non mi ritengo una persona insensibile, anzi tutto il contrario, ma proprio per questo non si può andare avanti in questo modo.

Io sono una persona normale, che vive e lavora come tutti, bombardata da brutte notizie, da orrori più o meno grandi, da tristezza e malinconia. E nei miei passatempi cerco una via di fuga da tutto questo. Perché non si può resistere sempre sotto pressione! L’horror per me rappresenta proprio questa via di fuga e questo sito, che con gli anni mi ha consentito di conoscere molti altri appassionati come me oltre che tenermi aggiornata e farmi sentire molto meno sola in questa pazza passione, non dovrebbe (secondo me) occuparsi di guerra. Vi chiedo di continuare a intrattenerci, a informarci, a darci una via di fuga, ma non occuparvi di questa guerra. Chi legge o vede film horror lo fa già per una sua particolare sensibilità, non credete? Siamo qui proprio perché la guerra è uno schifo. Ma qui preferiremmo non sentirne parlare. Scusate lo sfogo, so che mi capirete.”

Quindi c’è Luigi di Salerno (e come lui molti altri) che offre la sua spiegazione del perché di questa repulsione degli appassionati di horror verso simili temi:

“Posso accogliere l’invito di Danilo Arona? Allora, secondo me la narrativa horror-gotica è già antagonista nei confronti della realtà che viviamo quotidianamente. Oltre che per i motivi puntualmente indicati da Arona, anche e in primo luogo direi per la generale impostazione anti-materialistica che pervade il genere: ipotizzare un Oltre che va al di là dei dati sensibili e materiali, una dimensione spirituale antagonista rispetto alla dittatura del concretamente sensibile, è già un modo (forse IL modo) per opporsi al dominio del “dato di fatto”. Perché non occuparsi della guerra? Credo si possa anche fare (perché no?), ma tutto sommato la guerra è già horror. Non necessita di una chiave di lettura gotico-horror. Una delle funzioni della narrativa horror è quella di esorcizzare le paure concrete, del reale. La guerra, come tutto l’”horror” che ci circonda (la violenza sociale, il terrificante dramma dell’infanzia tradita e brutalizzata quando non uccisa sul nascere, la povertà dilagante, la mortificante precarizzazione di tutto, la disoccupazione ecc. ecc. ecc.) è già un film horror. Perché andare a scomodare i nostri scrittori horror? Bastano la Gruber e Rumsfield e Saddam Hussein. Grazie.”

Infine Bishop dalla Sicilia con una testimonianza quanto mai pregevole:

“Orrore” (e guerra?). Cronaca dalla città impazzita. Catania. Ore 12. Sto andando con un amico all’ ufficio di Sviluppo Italia. Dobbiamo parlare con un funzionario per presentare il nostro progetto di ristrutturazione di una sala cinematografica. C’è una bellissima giornata di sole, turisti, aria frizzantina e un po’ di traffico. Quello non manca mai. Ma l’ ufficio è temporaneamente indisponibile (cioè vuoto). E’ scaduta la convenzione con il Comune. Se ne parla tra una cinquantina di giorni. Orientativamente. Burocrazia. Troviamo altre strade, ci diciamo. Stiamo risalendo la via Etnea e d’un tratto una sirena squarcia questo quadretto perfetto. Una macchina della polizia seguita da due in borghese si lanciano contromano verso Piazza Università. Dopo cinque secondi non si vedono più. E’ successo qualcosa. Mezz’ora dopo passiamo dalla libreria Mondadori dove devo prendere Legenda, una rivista con un mio racconto dentro. Vediamo un bel tascabile con alcune short-stories americane contemporanee: Zoetrope. Si, Francis Ford Coppola c’entra eccome. Ha scritto l’introduzione. Stiamo per andare via quando alla radio danno la notizia: un ‘folle’ di 32 anni ha sparato all’ impazzata ad Acicastello, uccidendo cinque persone tra cui il sindaco. Sgomento. Torniamo a casa. Mi sintonizzo su un’emittente tv locale e seguo la vicenda. Il tipo che ha sparato si chiama Giuseppe Leotta ed è un ‘lavoratore socialmente utile’. I giornali li chiamano anche ‘precari’. Significa che lavorano per la Regione quando capita, per periodi di tre o sei mesi, sugli autobus, negli uffici pubblici. Sono diverse migliaia in Sicilia e se ne sente parlare da anni sui media. Vogliono che il loro lavoro diventi stabile. Vanno in onda i primi filmati: scene di panico per la strada, agenti col giubbotto antiproiettile e le automatiche in mano. La soggettiva di un cameraman che corre per una via, lungo un muro: si sta allontanando da qualcosa. Poi inquadrano una panchina in piazza Castello, su di essa un lenzuolo bianco. Sotto quel lenzuolo c’ è il corpo di un pensionato, la prima vittima. Quella piazza la sera è frequentatissima. Ci si prende il gelato, si guarda il panorama. Pare che Leotta fosse andato diverse volte presso gli uffici comunali per i suoi problemi di lavoro. Stavolta c’è andato con una pistola. O quantomeno stavolta l’ha usata. Chiamo mio fratello per sapere se sta bene. Mio fratello è un cameraman per una tv locale. Sta bene, sta già tornando a Catania. Verso le 14,30 arriva la notizia della cattura presso la stazione di Catania. Ma pochi minuti dopo la smentita, falso allarme. In tutto questo casino arriva quest’altra velina: ad Acireale un cartomante è stato assassinato con 26 coltellate. Basta, ho fatto il pieno per oggi. Sono le 16,30 ed ancora non l’ hanno preso. Mi chiedo se il killer sia riuscito a saltare su un treno, o magari a rubare una macchina. Ecco caro Danilo Arona, un po’ di orrore reale. Quel morto su una panchina con una macchina fotografica a 20 centimetri dalla faccia (è un’immagine precedente, ancora non l’hanno coperto con il lenzuolo). Le grida della gente per una strada del centro, con un poliziotto che dice “tutti a terra, tutti a terra”. I nomi dei morti che vengono dati subito, al volo. Senza pensarci due volte. Il sangue e i bossoli sulla pietra lavica.”

Commento? Ma certo. Intanto, che bello. Butti la pietra e la gente risponde, partecipa. Giuro, non sto scherzando. Mi piacciono un sacco Raffaella di Bergamo, Luigi, Bishop e tutti quelli alle loro spalle che ne vengono rappresentati. Questa è forza, gruppo, democrazia. Eguaglianza, proprio così: siamo tutti “equipollenti”, chi legge e chi scrive. Quanto mai salutare sarebbe per la letteratura e la critica in genere scendere più spesso dalle tribune e farsi mandare a stendere da chi non è d’accordo. Ma chi siamo noi, chi sono io (quanti io ci sono qua dentro?), per brunovespizzare che l’horror si debba occupare (anche) di orrore reale? Presumiamo — perché siamo presuntuosi, o forse è il contrario — che la letteratura debba anche interessarsi di questo? Se per chi ci segue, e forse ci ama, la presunzione è irreale e infondata, statene certi: seguiremo voi e non le nostre congetture.
Però mi viene in mente un certo signor King, quello Stefano del Maine che ancora qualche zuccone di bassa provincia italica definisce re dell’horror. Uno che non si è mai occupato di mostruosità reali, di guerra, di generali paranoici o di presidenti che portano il pianeta sulle soglie dell’apocalisse, dello sfacelo della famiglia contemporanea, di abusi sui minori ed emarginazione dell’infanzia, di violenza sulle donne, di sterminio degli animali, di alcolismo, del cancro che dilaga, del rapporto uomo-macchina e di stragi del sabato sera, di conflitti generazionali, di reinserimento dei reduci, di pazzi che sparano dalle finestre o sequestrano i loro scrittori preferiti e…Fermatemi, sto solo leggendo il giornale di oggi.
Na, na, na…King è uno scrittore horror (sì, ogni tanto gli salta il ghiribizzo di farla fuori dal vaso, ma il suo Amico Lettore lo fa subito rientrare nei ranghi) e dagli anni Settanta ci parla solo di vampiri, licantropi, fantasmi e zombi (di tanto in tanto anche gli alieni), ovvero i grandi temi della letteratura “antagonista” che ci tengono lontano dalle porcherie della cronaca.
E’ proprio così? Anzi, volete che sia così? No problem. Io continuo invece a pensare che certo horror e certo noir (non tutto l’horror e non tutto il noir) siano le letterature realistiche di questi anni. Mi basta comparare King — certo King, quello che non va in vacanza con Gli occhi del drago per intenderci — al giornale di oggi. King spesso, non sempre per carità, mi offre una chiave di lettura, un tentativo di analisi ancor prima che l’evento brutale e ribattuto con enfasi dai media mi venga a saturare l’anima e il cervello. King sta dentro, ganglio vitale della circolazione energetica dell’anima mundi del pianeta. Mamme assassine? Margareth White. Bush? La stretta di mano di Johnny Smith. La SARS? L’ombra dello scorpione. E si possono riempire tre cartelle con gli esempi della sua preveggenza, del suo anticipo nei confronti della cronaca, del suo analizzare quest’ultima con gli strumenti dello scrittore, incidentalmente “re dell’horror”.
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In un giornale di parecchi anni fa che tutti comperavamo in edicola (ma, come sempre, noi tutti non siamo mai abbastanza, data la chiusura troppo anticipata di quella rivista) e che si chiamava Nosferatu lessi che la cosa peggiore che si poteva dire di King era quello di definirlo “re dell’horror”. Ma come, mi chiesi, e che altro dovrebbe essere? Avevano ragione i ragazzi di Nosferatu. King è altro, anzi Altro. L’horror è altro, anzi l’Altro. Quella diversità che ci fa reagire con indignazione all’orrore quotidiano, straripante e omologante, al punto da farcela fraintendere in maniera così fanciullesca, alla Raffaella di Bergamo, e vedere in lei una sorta di bunker protettivo al terribilis che ogni giorno c’intossica. I vampiri contro la guerra in Iraq, gli zombi contro gli stupri e il traffico d’organi prelevati dai neonati. No, gente…I vampiri sono la guerra in Iraq, gli zombi sono i trafficanti d’organi. Ci piaccia o meno, è così. E non ce lo ricorda solo King, ma anche il più vitale dei narratori fantastici italiani, il magister Valerio che con i suoi romanzi del ciclo dedicato a Pantera ci parla proprio degli orrori quotidiani, “politici”, che qualcuno s’illude di poter chiudere fuori dalla porta.
C’è una ragione in più che me lo fa credere. Ma l’approfondirò un’altra volta, unicamente se ricevo sollecitazioni a farlo, data anche la vastità del tema. E’ che la letteratura gotica, antimaterialistica come ci ricorda Luigi, non ha inventato quasi nulla. Ve lo garantisco, ne ho le prove. Esistono le prove. Ci ritorniamo, ma solo se lo desiderate.