clancy.jpgStrani i destini. Uno fa l’assistente di Henry Kissinger, di Cyrus Vance, di James Baker. Viene cooptato nell’infame CFR, il Council on Foreign Relations. Viene in Italia, su mandato della CIA, a coordinare il gabinetto che gestisce il caso Moro e, morto Moro, se ne torna in America. Dopo due decenni, spunta nuovamente sul Corriere della Sera, per affermare che “il Vaticano ha una rete di intelligence che noi americani ce la sogniamo”. E però, se qualcuno se ne ricorda, lo ritrova quale autore di bestseller: è il braccio destro di Tom Clancy, con cui ha firmato un buon numero di romanzi. Strani i destini. A volte si incrociano. I destini di intelligence e letteratura, per esempio, si incrociano nel nome e nell’esistenza ambigua di Steve R. Pieczenik: esperto di terrorismo su scala planetaria e autore di vendutissimi libri. Pieczenik è, da anni, l’uomo dei misteri. Pochi si occupano di lui. Colmiamo questo buco di conoscenza: al mondo c’è qualcuno che ci interessa di più di Massimo De Carolis.

11sett.jpgDopo avere concluso, nel modo che ben conosciamo, l’affaire Moro, Pieczenik ha fornito – sono parole di Alex Jones, che l’ha recentemente intervistato (qui l’intervista integrale) – una expertise psicopolitica a George Schultz, quand’era Segretario di Stato, occupandosi dei rapporti con Siria, Giordania e Israele – un’area che, oggi più che mai, scotta. Viene definito “infowarrior”, un risolutore di crisi internazionali. Nell’intervista a Jones – una sorta di confessione di una mente pericolosa – racconta con candida nostalgia quando fu inviato a comunicare a Noriega che gli Stati Uniti non gradivano più la sua presenza a Panama e ricorda a tutti che Noriega era “un generale che controllava il narcotraffico”. Tanto per dire come nasce un’idea letteraria.
Se vi capitasse di incrociare il destino oscuro del dottor Steve R. Pieczenik, state attenti: pare che non sia affidabile. Lo ammette egli stesso. Leggete e sbalordite per la mansuetudine con cui narra di vicende che inficierebbero la politica estera Usa degli ultimi due anni: “Mi occupo di psyops: operazioni psichiche. Ho lavorato con Osama Bin Laden nel ’78 e nell’81. Nel ’79 anche, quando Osama era in Afghanistan. E pure con Saddam Hussein, quand’era nostro alleato; e contro Saddam, quando non lo era più”.
Questa medesima agilità di valutazione fa da guida a Pieczenik se deve parlare della commissione Trilaterale o del CFR: “La fondazione fu opera della famiglia Rockefeller. Si era in odor di cospirazione. Però, da membro del CFR, ti garantisco che ora non c’è proprio sentore di complotto”. Vi aspettereste un elogio di tutta la costellazione che, dalla Trilateral Commission in poi, ha preso in mano le redini della politica occidentale? Tutt’altro. Pieczenik è dopotutto un autore di thriller e dissemina colpi di scena ben studiati. Ecco cosa ha detto a Jones a proposito del Carlyle Group, nel cui consiglio di amministrazione siedono George Bush sr e Dick Cheney: “Il Carlyle Group è guidato da tal Carlucci, ex Segretario alla Difesa, e sta speculando sulla guerra mediorientale in corso”. Bum!: un Pieczenik no-global! E chi se l’aspettava? E sentite come affonda il pugnale tra le scapole del suo ex datore di lavoro, quel buontempone di Henry Kissinger: “Non lo sopporto. Ha un temperamento narcisistico che non tollero. E’ impulsivo, bambinesco, bizzoso. Da psichiatra, non riesco a sopportare un atteggiamento del genere. In secondo luogo, non condivido in nulla la sua visione della politica internazionale. Ho lavorato per lui perché un deputato del suo giro, Lawrence Eagleburger, mi ha visto trattare durante crisi particolarmente difficili, e mi ha proposto di collaborare. Tutto qui”. Tutto qui. Stiamo parlando proprio della vigilia del caso Moro.
Non c’è da sorprendersi. Qualcosa sta accadendo all’interno del labirintico sistema dell’intelligence americana. Qualcosa d’importante. E’ sopratttutto il link tra potere politico (diciamo pure: élite tecnocratica) e agenzie di intelligence che sta scricchiolando. Come ha dimostrato l’incredibile questione del falso rapporto sulle armi di distruzione di massa di Saddam, la Presidenza Usa è pronta a scaricare le colpe sul sistema di intelligence. Pressappoco quanto accadde all’indomani degli attentati al World Trade Center e al Pentagono. Una componente importante dell’intelligence americana (ma, si badi bene, non si tratta affatto dei buoni: questa frangia non è una sorta di garante occulto della democrazia su scala planetaria) sta scaricando i potenti che hanno usato i servizi segreti per perpetrarne di ogni in tutto il mondo – perfino in America. La tesi del complotto interno viene enunciata senza equivoci dallo stesso Pieczenik: “Sappiamo tutti cosa è intercorso tra la famiglia Bush e la famiglia Bin Laden, connesse proprio dal Carlyle Group. Sappiamo tutto dei rapporti tra Cia e Osama negli anni Settanta/Ottanta. […] Stanno cercando di manipolare la pubblica opinione americana. […] Sono tecniche da controllo mentale, quelle studiate nel protocollo di ricerca sul mind control denominato MK Ultra. […] I servizi segreti conoscevano in anticipo quanto sarebbe accaduto l’11 settembre 2001″. E via di questo passo.
Che dire di questa svolta da teorico delle cospirazioni che il dottor Steve R. Pieczenik ha intrapreso? E’ una mossa pubblicitaria per ottenere qualche manciata di lettori in più per il suo prossimo bestseller? Lui che tentò di risolvere la crisi degli ostaggi in Iran durante la campagna elettorale ReaganCarter (e riuscì a risolverla soltanto dopo che Carter aveva perso contro il solido Ron) diventa adesso una pezza d’appoggio per chi denuncia la dittatura feroce dell’élite neoconservatrice angloamericana? E’ tutto molto strano, in effetti. Lo è un po’ meno se, invece, si inforcano gli occhiali dell’intelligence, per leggere una situazione di evidente spaccatura all’interno di un sistema che annovera 56 agenzie segrete diverse.
moropiek.jpgRestiamo a noi, per chiarire di quanta buona fede è capace questo nuovo difensore dei diritti e della verità. Leggiamoci quanto ne scrisse il Corriere della Sera il 18 marzo 1998:

“Non ha dubbi Giovanni Pellegrino, presidente della Commissione stragi: «Le dichiarazioni di Pieczenik sono molto dure e meriterebbero un’attenta verifica». E l’«affaire Moro», lungi dall’assumere la strada della pacata riflessione storica, continua a tormentare la vita politica italiana. L’ultimo scossone l’ha dato Steve Pieczenik, uno dei massimi esperti americani di terrorismo che fu chiamato dalle autorità italiane a fare parte del comitato di crisi istituito subito dopo il sequestro di Aldo Moro. La sua accusa: «Non c’era la volontà politica di salvarlo così me ne tornai in America prima del previsto». Secondo l’esperto statunitense infatti Moro poteva tranquillamente essere restituito alla vita politica, ma ai suoi danni ci fu «un complotto ad altissimo livello» il cui obiettivo finale era proprio quello che il leader democristiano «non venisse liberato». Accuse pesanti che hanno portato i capigruppo di Alleanza nazionale e dei Verdi in Commissione stragi, Enzo Fragalà e Athos De Luca, a chiedere l’audizione di Steve Pieczenik. E l’esperto americano ne avrebbe di cose da chiarire in Commissione. Per esempio secondo Pieczenik molte informazioni riservate che potevano essere note solo agli uomini che partecipavano alle riunione del gruppo ristretto per la gestione della crisi, arrivavano all’esterno. Persino alle Brigate rosse. Chi tradiva la segretezza? L’esperto statunitense non accusa nessuno. Ma sospetta di tutti: «Il responsabile avrebbe potuto essere l’allora ministro degli Interni Francesco Cossiga oppure Giulio Andreotti (che si apprestava a guidare un governo monocolore dc, ndr) o ancora Bettino Craxi». Insomma Pieczenik non salva nessuno dei leader politici di allora, tranne Enrico Berlinguer. «Il segretario del Pci – ricorda – era l’unico che aveva sinceramente tentato di salvare la vita di Aldo Moro». E infine le accuse agli 007 italiani: «All’epoca Cossiga aveva appena sostituito i vertici del Sisde e del Sismi. Il sospetto del ruolo della P2 è venuto in seguito. Quando un sedicente consigliere dell’ambasciata argentina a Washington mi avvicinò proponendomi di lavorare per il governo di Buenos Aires e mi parlò nel dettaglio di alcuni fatti del caso Moro che erano stati discussi solo nelle stanze romane di Cossiga».

Vecchia solfa: piuttosto che dirle in sede istituzionali, queste cose, il dr. Pieczenik ce le fa sapere a mezzo stampa. Se la Commissione d’inchiesta sul terrorismo decide di prendere in considerazione le dichiarazioni di questo ex agente Cia che decise cosa fare o meno durante il rapimento Moro, ecco cosa accade: riportiamo lo stenografico della seduta del 20 aprile ’99, in cui il presidente Pellegrino prese atto della posizione di Pieczenik:

“Comunico inoltre che il signor Steve Pieczenik si è reso protagonista di una vicenda singolare e prego i colleghi di visionare la corrispondenza che è intercorsa tra noi. Pieczenik ci ha scritto una lettera il 9 aprile 1999 dichiarandosi disponibile a venire davanti a questa Commissione e ci ha indicato anche le date possibili, che però erano estremamente ravvicinate. Mi sono allora permesso, senza consultare l’Ufficio di Presidenza, di rispondere che proprio domani – che era uno dei giorni da lui indicati – la Commissione era pronta ad ascoltarlo. Pieczenik ha risposto con una lettera molto stringata il 14 aprile 1999, comunicando che non ha più intenzione di venire. Bisognerebbe domandarsi da cosa dipenda, se non è dovuto a fatti caratteriali, questo improvviso mutamento di intenzione”.

Del resto, cinque anni prima, il 6 agosto 1994, Panorama aveva pubblicato un’intervista a Pieczenik, in cui il “consulente” americano spiegava a Robert Katz, in un’esclusiva storica, che cosa era venuto a fare a Roma durante il sequestro Moro, e come l’aveva fatto. E’ la prima volta che Pieczenik si fa intervistare sull’ argomento. Il suo ruolo non era mai stato ben chiarito tanto che Katz nell’ articolo riferisce un parere che viene attribuito al senatore Flamigni, secondo il quale l’ americano sarebbe stato “la longa manus di Kissinger incaricato di assicurare la fine di Moro”. Dall’intervista risulta, invece che Pieczenik tentò di salvare l’ostaggio. “Raccogliete le informazioni necessarie a individuare l’intermediario piu’ appropriato, – disse Pieczenik all’allora ministro dell’Interno Cossiga – come per esempio il Vaticano o la Croce Rossa internazionale, che possa a pieno titolo essere legittimato da entrambe le parti”. La proposta incontrò reazioni che Katz definisce “ambigue”. A questo punto Pieczenik si “vide costretto” a fare un discorso “molto franco” a Cossiga su chi avrebbe tratto vantaggio dal sequestro. “Saro’ poco diplomatico – chiese Pieczenik – ma molto obiettivo: lei come si giudica, Cossiga? Per quali motivi dovremmo escluderla dalla rosa dei candidati ?”. Allora lui si mise a ridere e rispose: “No, no lui e’ stato il mio mentore, gli ero troppo vicino”. Dopo una serie di altri episodi, Pieczenik comprese, sempre secondo quanto riportato da Katz, che “l’intera situazione era compromessa”. Pieczenik afferma che ripartì anzitempo perché sospettava che non “interessava affatto tirare fuori vivo Moro”, che durante la prigionia rimase “estremamente lucido ed attento”. Dall’intervista emerge anche che il rapporto venuto alla luce nel 1992 e attribuito a Pieczenik non è stato scritto dal consulente americano. Nel rapporto, tra l’altro, si suggeriva a Cossiga un sistema per promuovere l’idea che Moro avesse “in effetti subito un lavaggio del cervello”. Pieczenik, inoltre, racconta anche delle riunioni del ‘comitato degli esperti’ costituito da Cossiga due giorni dopo la strage di Via Fani, del ruolo del criminologo Franco Ferracuti, iscritto alla P2, e della “fuga di notizie” relative al lavoro del comitato. Su quest’ultimo punto Pieczenik afferma: “Un giorno lo dissi a Cossiga, senza mezzi termini. ‘C’e’ un’infiltrazione dall’alto, molto dall’alto’. ‘Lo so, da molto in alto’, rispose lui. Ma da quanto in alto non lo sapeva o forse non lo voleva dire. Cosi’ decisi di restringere il numero dei partecipanti alle riunioni ma la falla continuava ad allargarsi, tanto che alla fine ci ritrovammo solo in due, Cossiga ed io, ma la falla non accenno’ a richiudersi”.
La prossima volta che aprite un libro di Tom Clancy, considerate l’ipotesi che non state leggendo fiction: state leggendo la verità. Quella del dr Steve Pieczenik, l’uomo delle cospirazioni.