referendum18picc.jpg di Roberto Sturm

C’è una discriminazione palese, oggi, tra i lavoratori di aziende con meno di 15 dipendenti rispetto agli altri. A questi è negato il reintegro nel proprio posto di lavoro anche di fronte a un licenziamento senza giusta causa. Il giudice, nel caso deliberasse che il licenziamento non fosse stato legittimo, definisce un risarcimento al dipendente che in genere non supera le 4/6 mensilità, quasi mai 15 come prevede al massimo la legge. Nelle aziende con più di 15 dipendenti, riconosciuta la mancanza della giusta causa, il datore di lavoro è costretto a reintegrare il lavoratore.
Risulta evidente come l’applicazione di questo articolo non sia altro che una garanzia per i diritti dei lavoratori (e non dei privilegi), di quel diritto costituzionale che è il lavoro.


Come è facile comprendere, i piccoli imprenditori hanno oggi una completa libertà di licenziamento che il governo, anziché ridurre, vorrebbe estendere sospendendo l’efficacia dell’articolo 18 per due anni.
In media, per scendere brevemente in cifre tecniche, ci sono all’anno circa 2000 cause di questo tipo di cui la metà si risolvono a favore del lavoratore. Cifre irrisorie di fronte ai 250000 licenziamenti l’anno dovuti a ristrutturazioni, trasformazioni e chiusure aziendali. Cifre poco significative che illustrano in maniera eloquente come questa sia per Confindustria (e di conseguenza per il governo) una battaglia di principio.
La sospensione e la successiva eliminazione dell’articolo 18, infatti, non sarebbe altro che il grimaldello per scardinare l’intero stato sociale italiano che fin dal dopo guerra si è basato sul principio della solidarietà tra cittadini e lavoratori. Fatto grave che sia la CISL che la UIL, per ragioni di opportunità politica, abbiano avallato la tesi del governo per cui una sospensionedell’articolo 18 faciliterebbe nuove assunzioni e farebbe emergere parte del lavoro nero. Tesi fragili, facilmente confutabili, che nascondono la volontà di Pezzotta e Angeletti di togliere dal tavolo delle trattative con il governo il sindacato più rappresentativo d’Italia. La CGIL, appunto, che nonostante recenti e meno recenti errori politici, oggi si è schierata in prima linea per il SI al referendum. Con la CGIL, Verdi, Comunisti Italiani, Rifondazione e movimenti ‘no global’.
Assolutamente inqualificabile la mancata presa di posizione di alcuni partiti della cosiddetta sinistra, DS in testa, che invece di tentare la spallata ai partiti di governo dopo la sconfitta elettorale alle recentissime elezioni amministrative, hanno optato per posizioni defilate, lasciando una libertà di voto che non fa altro che il gioco del Cavaliere. Questo atteggiamento la dice lunga sullo stato di una sinistra italiana frammentata e priva di personalità che continua la sua deriva verso il centro anziché cercare l’unità a sinistra, unico progetto da perseguire per tornare credibili e vincenti.

L’obiettivo da raggiungere è il quorum, il 50% più uno dei votanti, che garantirebbe ai SI una vittoria schiacciante. La latitanza dei media sul referendum non è altro che la prova della paura del governo, con Berlusconi in testa che invita a disertare le urne. Nel caso di vittoria dei SI, infatti, il governo, con l’opinione pubblica palesemente contraria, si troverebbe in fortissima difficoltà a deregolamentare ancora più selvaggiamente un mercato del lavoro che già oggi, in Italia, conta più di cinquanta tipi di contratti atipici.
Per tutti questi motivi, il risultato del referendum del 15/16 giugno prossimi rappresenta uno strumento di svolta, la maniera più diretta per condizionare la politica sociale del governo, che mira allo smantellamento del welfare, e per garantire pari dignità a tutti i lavoratori. E un invito, alla sinistra, a ricompattarsi su un programma politico più attento alle esigenze delle fasce più deboli.
Un primo passo verso un’inversione di tendenza, una fortissima voce dissonante contro un governo che viola e attacca continuamente lo stato di diritto per motivi di mero interesse personale, dove l’attacco ai più elememtari diritti dei cittadini (previdenza, sanità, scuola e giustizia) è quotidiano.
Un SI per i diritti dei lavoratori, delle persone, per ristabilire un’equità, una giustizia sociale che inesorabilmente stiamo perdendo.
Un SI per la dignità di tutti i lavoratori.
Andiamo a votare domenica, lasciamo cadere gli inviti di craxiana memoria, non solo per esercitare un nostro diritto, ma per scegliere. Altrimenti lo faranno altri per noi.
In questo caso il governo Berlusconi. Il che è tutto dire.