di Jay McInerney

fosterwallace2.jpgmcinerney.jpgSono uno sfegatato ammiratore dei racconti di David Foster Wallace raccolti in Ragazza dai capelli strani. Lo sono meno del romanzo La scopa del sistema che – lo ammetto – non ho nemmeno finito. Se Foster Wallace disponesse di meno talento, potreste risultare inclini a sparargli verso pagina 480 di Infinite Jest – in alternativa, potreste sparare a voi stessi. Beh, in effetti potreste comunque inclinare verso questa soluzione.
Tedioso e sfolgorante con alterno ritmo, Infinite Jest può sembrare – e certe volte è tout court – un cartone animato portato alle sue estreme conseguenze. Però va detto che questo scheletro narrativo composto di satira pura viene ricoperto da una polpa di narrazione del quotidiano quasi iperrealistica. L’effetto finale è quello di una scocca alla Vonnegut riverniciata con la letteratura di uno Zola di inizio millennio.

infinitejest.jpgLe prime prove narrative di Foster Wallace rivelavano il suo apprendistato postmodernista presso Barth e Coover, in pieno flirt con i tropi della metafiction e della letteratura autoreferenziale. Qui, in Infinite Jest, a dispetto di scene in cui risulta iridescente il magistero del Pynchon di Gravity’s Rainbow, Wallace sembra volere convicere il lettore della veridicità della sua visione, operando un accumulo di dettagli di matrice realistica.
Costruito su due plot distinti che continuano a convergere e a divergere tra loro, Infinite Jest si edifica su capitoli che sono perfettamente interscambiabili con le oltre 400 note a pié pagina, alcune delle quali durano anche più di dodici pagine. Come indica il titolo – una strizzata d’occhio allo Yorick dell’Amleto – il tema centrale è che noi americani – ma a questo punto il pianeta tutto – ci incateniamo al divertimento fino alla morte. Un terrorista canadese in sedia a rotelle dice al suo interlocutore americano: “Arrancate nel buio, questa confusione totale di opportunità. L’obbiettivo di una felicità senza fine ha permesso a qualcuno di farvi scordare le buone vecchie possibilità che, la felicità, la permettevano davvero”.
Rende tutto ciò plausibile – e spesso anche piacevole – il talento di Foster Wallace – un talento stilistico, satirico e mimetico – al pari della sua erudizione, che va dal mondo della microcriminalità alle più avanzate teorie matematiche. E’ possibile incappare in pagine poco interessanti, in questo romanzo, ma mai in frasi banali. E ci sono scene memorabili. Si ride molto, ma l’abilità di Foster Wallace è riuscire a fare di Infinite Jest una narrazione che va ben oltre la letteratura ironica.
Questo libro è molto di più di una barzelletta interminabile: è un capolavoro.

[da New York Times Book Review del 6 marzo 1996]