di Danilo Arona

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C’è un pregiudizio che procede sotterraneo, come un brivido inarrestabile e sottile. Un tabù scivoloso e scomodo. Quello che recita che un genere “popolare”, con tutti gli annessi della parola, di regola non dovrebbe occuparsi della guerra. Soprattutto quando la guerra ha le dimensioni e i sottintesi dell’attuale strike on Iraq, così battezzato dall’internazionale mediatica che immagina i suoi fruitori dipendenti e “posseduti” dai meccanismi della consolle.
E’ vero? E’ vero che l’horror, a differenza di quanto sta accadendo da tempo in ambito fantascientifico tanto all’estero quanto in Italia, possiede tanto un naturale bavaglio culturale quanto l’innata incapacità di tuffarsi nel presente per denunciarne l’orrore e l’assurdità? E’ vero che il gotico contemporaneo è poi alla fine, dopo mille dibattiti e ri-formulazioni del medesimo, null’altro che entertainment, vuoto e irrilevante quanto la commedia alla Neri Parenti?


No, naturalmente. No, almeno nell’opinione di chi scrive. Ma, allora, perché questo silenzio? Perché il mutismo di scrittori, di addetti, di pubblico? L’attacco — proditorio e delirante — all’Iraq è già, dopo pochissimi giorni, un tal pozzo di orrori che un genere, vitale e radicato, avrebbe dovuto riverberarne echi e presagi da mesi. Per carità, mi rendo conto che in tanta constatazione c’è anche, purtroppo, l’ineliminabile senno del poi. Però, osservando da buoni vicini di casa la contigua fantascienza e un geniale autore italiano di rango (sempre in anticipo quasi medianico sulla realtà) quale Valerio Evangelisti, dovremmo — noi “horroristi”, come ci autodefiniamo da qualche tempo complice l’amico Nerozzi — metabolizzare una grande lezione di stile e d’impegno civile (oltre che di eccelsa letteratura) e fare quello che non fa l’horror americano per mille e più motivi (non è del tutto vero, ma semplifico per brevità): far sì che il gotico contemporaneo italiano (europeo?) diventi veramente un genere antagonista, entrando nel reale, anticipandolo, spiegandolo in profondità, esponendosi, quasi un horror “civile”, se mi passate un’ironica tautologia.
Impossibile? No. Di certo non facile. Perché poi, alla fine dei conti, bisogna pubblicare. E chi si è buttato nell’ardua impresa di scrivere horror in Italia, ha già le sue magagne quotidiane nel proporre storie “normali”, intendendo per “normali” ciò che ognuno di voi più o meno sa: il Male contro il Bene, gli archetipi, una inemendabile anima religiosa nel “profondo” del genere (anche il più ateisticamente declinato), la forza morale (e non moralistica) del prodotto in quanto specchio del “produttore”, la paura, i terrori dell’umanità-bambina, e via dicendo. Appunto. E con questi presupposti l’horror non potrebbe occuparsi della guerra? Non potrebbe, a suo modo e con i suoi strumenti, “spiegare” al mondo che ne legge, i veri perché di un attacco belluino (la tecnologia occidentale contro l’arco e le frecce) e di un’assurda tragedia che sta sconvolgendo la culla della civiltà planetaria (nessuno lo ricorda mai, ma l’Homo Sapiens viene dalla Mesopotamia), i risvolti di un incubo orrendo — horror plenitudinis — che già ci sta intossicando la mente e lo spirito con immagini e contenuti questi sì degni di una fiction orrorifica?
Potrebbe. Può. Deve. Sta a noi. E, intanto, come critico fatemi cogliere, e denunciare in positivo, i germi disordinati, macchie di leopardo, di tanta (possibile) positiva contaminazione civile: l’insopprimibile valenza gotica nella letteratura di Valerio (che dimostra senza tante parole quanto sto scrivendo); tre inoppugnabili “sintomi” anche in un’apparentemente “disimpegnata” antologia quale la recente In fondo al nero (i racconti di Tonani, Nerozzi e Colombo); un classico e quasi dimenticato horror sugli orrori della guerra vietnamita di Peter Straub, Koko; un tentativo cinematografico di William Lustig, Uncle Sam, di “dire la verità” in salsa horror sulla censuratissima “sindrome del Golfo”, con Lustig che da allora non ha quasi più lavorato. E su tutti, non stupitevi, la presaga intuizione di William Peter Blatty, quando scrisse all’inizio degli anni Settanta di un certo demone sumero che invadeva metaforicamente l’America, occupando il sito vacante dell’adolescente Linda Blair. L’esorcista, libro e film, si apriva con un geniale prologo ambientato tra gli scavi archeologici di Mossul. Quella culla della civiltà che in questo momento stiamo distruggendo.
E’ un intervento volutamente breve. Dite la vostra. Cerchiamo di capire, tutti assieme, se un genere che si dice “popolare” (onde per cui democratico) lo sia poi autenticamente, non occultando la verità della storia come fanno oggi tante veline del potere.

Da www.horror.it