andersonhard.jpgliberazione.gifdi Nico Gallo (da Liberazione, 17.7.02)
Quando gli intellettuali pongono la loro attenzione sull’oggetto “pornografia” spesso si rivolgono a quel complesso di testi un cui effetto, tra gli altri, è di eccitare lo spettatore (o il lettore). In questo senso è molto frequente che l’analisi della pornografia sia associata a quella di fenomeni di elevata tradizione letteraria come l’erotismo, associati anche per la pratica della censura, la quale, per sua natura, tende più ad assimilare che distinguere le differenze. Susan Sontag in un suo saggio intitolato “L’immaginazione pornografica”, compreso nel volume Interpretazioni Tendenziose (Einaudi, 1975), si occupa in realtà più delle opere di Georges Bataille e di un romanzo come Histoire d’O che specificatamente del fenomeno di massa di pubblicazioni e film dedicati alla proposizione di taglio documentarista dell’azione sessuale che si sono capillarmente diffusi a livello mondiale.

Seconto Susan Sontag, il successo della pornografia consiste proprio nell’onesta e facilmente rilevabile reazione che produce nel soggetto percepente, ovvero quanto lo eccita. Infatti, sempre secondo la studiosa statunitense, “la pornografia è uno dei settori della letteratura – un altro è la fantascienza – che mira al disorientamento, alla dislocazione psichica”. All’interno di questa “dislocazione”, che mi sembra assomigli a una forma decisamente più intensa di quella sospensione della credulità necessaria per assumere, e godere, della narrativa, “la pornografia, anche quando è letteratura seria, mira a «eccitare», nello stesso modo in cui i libri che registrano una forma estrema di esperienza religiosa mirano a «convertire»”.
All’interno di questo processo di dislocazione, così diffuso, e che, temo, in via d’espansione verso altre forme d’intrattenimento considerate moralmente più elevate, un libro appena tradotto dall’editore Guanda offre una radicale opera di demistificazione. Hard (pp. 198, 13 euro) è un romanzo scritto da Raffaëlla Anderson, un’ex attrice di film pornografici divenuta famosa fuori dalla pornografia come attrice di un film al limite come Baise-moi – Scopami, diretto da Virginie Despentes nel 2000. Hard racconta la storia di una diciottenne, Raffaëlla appunto, che risponde a un annuncio di lavoro e, senza alcuna esperienza sessuale alle spalle, diventa attrice di film porno. Lo sguardo che Raffaëlla posa su questo mondo è scarno e impietoso. Poche ore di lavoro per molti soldi, soldi sempre destinati rapidamente a finire per un lavoro che non riesce a essere confinato alle esperienze del set, ma che invade ogni spazio della vita privata. Raffaëlla riporta sulle pagine del libro le le giornate di una vita che sembra costantemente essergli quasi estranea. Pochi aggettivi, frasi brevi, descrizioni essenziali, Hard è un diario esistenziale di rara profondità che conduce, senza falsi pudori, il lettore al di là della dislocazione godereccia e allegra della pornografia. Come uno spaesato viaggiatore che raggiunge una città di Utopia, e che ci riporta asetticamente l’organizzazione e le leggi di quella comunità utilizzando lo sguardo acuto dello straniero, così è la visita di Raffaëlla nella città antiutopica dell’hardcore.
Se leggiamo Hard attraverso altri libri come L’uomo flessibile di Richard Sennett, La solitudine del cittadino globale di Zygmunt Barman o La società del rischio di Ulrich Beck, ovvero opere ormai classiche sulla trasformazione del lavoro contemporaneo, ritroviamo nel lavoro indecente di Raffaëlla tutte le caratteristiche dello sfruttamento tipiche del lavoro flessibile. Orari massacranti, precarietà, alto rischio, nessuna tutela sindacale. L’attore porno condivide con il lavoratore precario (in mano ad agenzie che non sembrano tanto differenti dai tanti boss dell’hardcore) e con certi consulenti delle tecnologie avanzate la flessibilità assoluta, la necessità di accumulare più soldi possibile per poter affrontare un futuro che per tutti assomiglia a un buco nero, la fragilità psicologica dell’individualismo tipico del lavoro a chiamata. Questa “incertezza come condizione naturale dell’uomo”, di cui parla Barman a proposito della vita quotidiana nella società neoliberista, è il contraltare delle acrobazie sessuali e dell’ingenua utopia della pornografia. Da un lato il mondo apparentemente allegro della “situazione pornografica”, dove in ragione del piacere vengono annullate tutte le odiose differenze del nostro mondo (economiche, razziali, di genere sessuale), forse l’unica raffigurazione oltre alla fantascienza capace di proiettare un immaginario egualitario. Dall’altro lato l’inevitabile rivelarsi della logica dello sfruttamento nella sua versione più aggiornata ed efficiente.
La visione dissacrante che ci propone Raffaëlla Anderson con Hard non è l’unica. Re del porno è l’autobiografia di John Holmes, pubblicata in Italia da una casa editrice politica come DeriveApprodi. Scritto quando ormai contagiato dall’AIDS la sua vita stava per finire, John Holmes rilegge la propria esistenza con una nuova coscienza, quella di aver vissuto in ambienti dominati dal mito del denaro e dalla trasformazione in merce di ogni relazione affettiva e di ogni piacere. Oggi, nell’epoca dello sfruttamento globale, sono in molti a osservare la trasformazione in merce della comunicazione e delle relazioni umane. Un processo brutale che non risparmia nessuno.