pirina.jpgDa: Claudia Cernigoi, Operazione foibe: tra storia e mito, Kappa Vu, Udine 2005:

Altro epigono del revisionismo storico è il pordenonese Marco Pirina [nella foto], nato a Venezia nel ’43, di famiglia friulana, figlio di un ufficiale della Guardia Nazionale Repubblicana (Francesco Pirina, insegnante di educazione fisica) ucciso dai partigiani nel luglio del ’44.
Negli anni Sessanta Pirina frequenta l’università La Sapienza a Roma, diventa presidente del FUAN romano e poi del Fronte Delta, il gruppo di estrema destra che operava all’Università di Roma e che, stando ai piani del tentato golpe Borghese, avrebbe avuto l’incarico di tenere il controllo dell’Università.
Viene arrestato per coinvolgimento nel tentato golpe e prosciolto e rilasciato nel giro di un mese (estate ’75). Ha affermato nel corso di una conferenza tenuta a Cormons nel novembre 1998, di essere stato arrestato solo perché il suo nome era stato trovato nell’agendina del “comandante” (così l’ha chiamato Pirina) Saccucci [1].

Così si racconta in un libro che parla della “strategia della tensione” che ha insanguinato l’Italia nel dopoguerra:

Nel febbraio del ’76, nell’ambito dell’inchiesta sul tentativo di golpe Borghese, uno dei fascisti inquisiti, il dirigente romano del FUAN (e dell’organizzazione Fronte Delta) Marco Pirina, rivelerà di essere stato contattato anni prima da esponenti del Fronte Nazionale (fra cui Mario Rosa e Sandro Saccucci) che gli proponevano di associarsi al tentativo di golpe. Durante tali colloqui il Rosa avrebbe minacciato lo sconcertato Pirina ricordando che il F.N. aveva “sistemato (…) una persona che parlava troppo” facendo il nome di Calzolari” [2].

Calzolari era l’ex marò della Decima, uomo di fiducia di Junio Borghese, che fu trovato annegato (lui che era un esperto sub) in un pozzo di mezzo metro d’acqua poco tempo dopo la strage di piazza Fontana.
Pirina verso la fine degli anni ’80 si è stabilito a Pordenone e per un periodo ha militato nella Lega Nord. In seguito è passato a Forza Italia e poi ancora ad Alleanza Nazionale. A Pordenone ha fondato il Centro Studi Silentes Loquimur, assieme alla moglie Annamaria D’Antonio, goriziana, figlia del pilota Raffaele D’Antonio che “negli anni ’30 spaziò con il Duca d’Aosta nei cieli di Gorizia” [4].
Nella sua carta intestata sostiene di essere “dep. Parlamento Mondiale per la Sicurezza e la Pace”, una strana organizzazione che pare abbia sede in Sicilia ed il cui nome trovammo sui giornali nell’estate del 1999 come coinvolta in un traffico di barre d’uranio: la notizia scomparve subito dai “media” e non se ne seppe più nulla. Di questo parlamento pare facciano parte il piduista Salvatore Bellassai e l’avvocato Michele Papa del quale il giudice Carlo Palermo scrisse che era “l’ambasciatore” segreto degli interessi di Gheddafi in Italia e frequentatore del Circolo Scontrino di Trapani, centro studi alla cui inaugurazione sarebbe intervenuto anche Licio Gelli. Con Papa sarebbe stato promotore di iniziative filoislamiche anche l’avvocato Sinagra, il promotore delle denunce che portarono al cosiddetto “processo alle foibe”, del quale parliamo successivamente.
Della “Silentes loquimur” fu, per breve tempo all’inizio dell’attività, presidente l’avvocato d’origine fiumana Claudio Schwarzemberg, missino, sindaco del “libero comune di Fiume in esilio”, un articolo del quale darà lo spunto all’avvocato Sinagra per presentare denuncia contro Oskar Piskulic, come vedremo poi.
[…] Pirina, che a volte è stato sconsideratamente definito sulla stampa il “Wiesenthal italiano” per la sua costanza nel cercare di accusare esponenti del movimento partigiano (sia italiani che sloveni o croati) di essere stati dei “criminali”, ha redatto più volte elenchi di presunti “responsabili” dei “crimini delle foibe”, elenchi spesso utilizzati dalla stampa per ipotizzare rinvii a giudizio ed incriminazioni, spesso mai verificatesi.
Il libro Genocidio…, pubblicato nel 1995, è stato da noi analizzato approfonditamente nella precedente edizione di Operazione foibe a Trieste, rilevando nell’elenco di “scomparsi” dalla provincia di Trieste redatto da Pirina il 64% di errori, in quanto il sedicente “storico” aveva inserito nell’elenco di 1.458 “infoibati od uccisi dai partigiani a guerra finita” anche più di 900 nominativi di persone che non erano morte in quelle circostanze: partigiani uccisi dai nazifascisti, caduti in guerra o addirittura nomi di persone che erano sì state arrestate ed anche imprigionate ma erano sopravvissute; ma anche numerose duplicazioni di nomi per errori di trascrizione o perché inseriti in elenchi di “scomparsi” anche di Gorizia, Istria e Fiume. In seguito alla pubblicazione di questo studio, Pirina ha risposto, a modo suo, dando alle stampe un pamphlet dal significativo titolo Ecco il conto!, che non a caso riprende in copertina il titolo, la grafica ed una delle foto che apparivano nell’omonimo libello edito dai nazisti nell’inverno del ’43 sulle foibe istriane. Per amore di precisazione, va detto che nulla nelle critiche di Pirina è andato ad inficiare i contenuti dello studio da lui contestato, anzi il suo pamphlet è servito a fornirci ulteriori dati che ci hanno permesso di ricostruire le vicende di presunti “infoibati”.

Note:

1. Sandro Saccucci (parlamentare del MSI, ex parà, coinvolto nel golpe Borghese), nel 1976, durante un suo comizio, sparò ed uccise un militante diciannovenne della FGCI a Sezze; si rifugiò in Argentina dove morì un alcuni anni or sono).
2. AA.VV. La strage di stato vent’anni dopo, cit., pag.44
3. Così leggiamo nella dedica in Adria Storia 1, Silentes Loquimur 1993