di Luca Baiada
Valerio Renzi, illustrazioni di Toni Bruno, Essere Tempesta. Vita e morte di Giacomo Matteotti, Momo edizioni, Roma 2024, pp. 112, euro 15.
Viene voglia di leggerlo sotto le lenzuola, alla luce di una pila elettrica. E così, guardare le illustrazioni di Toni Bruno, cominciando dalla copertina che sa di battesimo celeste: la scintilla di un martire. Ma qui retorica non ce n’è. Tutti i dati sono frutto di approfondimento e dietro il linguaggio asciutto c’è lo studio. Poi si affacciano tante cose: canzoni, scritte sui muri, volantini. Anche santini, di quelli che sotto il fascismo potevano costare bastonature o galera (viene in mente il cartoncino, vero, in Porte aperte di Leonardo Sciascia).
Una bella carrellata su vita, formazione e percorso del grande socialista. Matteotti «usa la legge e la capacità di argomentare, che ha imparato studiando giurisprudenza, per difendere i contadini, i braccianti, gli ultimi, contro i privilegi e le angherie». Niente paura, ci sono risparmiate le diatribe teoriche se fosse rivoluzionario o riformista. Lui è un fuoriclasse:
Non è molto d’accordo con quello che i leader del socialismo riformista sostengono e non ne fa certo un mistero! Anzi scrive articoli su diversi giornali e riviste, polemizza, sostiene le sue posizioni anche contro l’opinione dei grandi leader nazionali, interviene nei comizi. È uno che pensa con la propria testa, Matteotti.
Teste pensanti, cosa rara. A riprova, un’interpretazione eccezionalmente lucida su di lui risale a Piero Gobetti, cioè al 1924:
Era rigidissimo, sobrio, rettilineo, senza vizi – come dicono – : e così si rispettava la sua severità verso gli altri, il suo fanatismo protestante contro chiunque avesse avuto una debolezza colpevole. Questa sicurezza non era sostenuta da una credenza religiosa, ma solo da una fede di stampo austero e pessimistico[1].
Essere tempesta impara il succo della lezione e sintetizza nel formato migliore:
Si dice spesso che la sinistra litiga e si divide su tutto. E forse questo è uno di quei famosi luoghi comuni che possiedono un fondo di verità. Ma Matteotti, anche in questo, appare diverso tanto dai suoi compagni riformisti quanto dai massimalisti: ogni volta che può, infatti, lavora (e spesso con successo) all’unità del proprio partito. […] Soprattutto bada al sodo, questo Matteotti[2].
Così tutti i lettori sono messi di fronte al Tempesta, come lo chiamavano i compagni: un intellettuale applicato che non è in vendita, un socialista energico che fa, senza innalzare castelli dottrinari. Un uomo che salda già nelle sue radici Risorgimento e lotta di classe. Il Polesine è terra di Carboneria, con la Congiura della Fratta, e a fine Ottocento di moti contadini, quelli di «la boje, la boje e de voto la va de fora»[3]. Terra di fame e pellagra, ma poi di conquiste sociali: riduzione dell’orario di lavoro, imponibile di mano d’opera, camere di consumo.
La Grande guerra è lo spartiacque tra cose serie e contraffazioni. Da un lato i fatti, dall’altro le vuote retoriche di Mussolini e di tutti gli agitatori e declamatori che poi tradiscono il popolo. Matteotti vede lontano:
Accusa gli uomini come Mussolini di essere «capaci di porre come dogma assoluto per ogni luogo e tempo quello che dieci minuti dopo rinnegheranno». Non si stupisce che «il predicatore delle maggiori intransigenze» voglia ora collaborare con gli industriali e il governo per portare l’Italia in guerra, perché questo socialista di provincia, abituato a lavorare sodo senza urlare troppo, non crede a chi la rivoluzione la vuole fare solo a parole[4].
Ottimo, che i giovanissimi leggano: sanno distinguere i bulli al volo. Ogni vittima di bullismo è un antifascista in erba che può diventare quercia.
Ma ad ogni età, in Essere Tempesta si incontra la storia di un libro formidabile: Un anno di dominazione fascista. Matteotti lo scrisse poco prima di morire; volle metterci all’inizio la denuncia dell’amministrazione fraudolenta e dopo, a seguire, l’elenco delle violenze fasciste. Valerio Renzi ne dà conto rispettando l’ordine originale, benone. Così è chiaro che i fascisti sono sciatti ladri con le mani insanguinate, non severi costruttori di nazioni a prezzo di crudeltà. Matteotti se ne rende conto subito, mette a nudo la situazione e smonta ginnastiche parolaie e falsificazioni contabili:
I fatti, alla fine, hanno la testa dura. Me lo immagino, Matteotti, convinto di questo mentre è preso nella stesura febbrile dell’opera, fatta mettendo insieme migliaia di documenti. Sappiamo dai suoi familiari e collaboratori che ci teneva tantissimo, tanto da portarlo a termine di notte, togliendo tempo al sonno.
Onirica, qui, l’illustrazione di Bruno, col socialista che corre sui tasti della macchina da scrivere. Ebbe davvero questo incubo? Chissà.
È valorizzata la seduta celebre: 30 maggio 1924, alla Camera; a giugno morirà di pugnale. In quel discorso di Matteotti verità e vita rifluiscono l’una nell’altra, segnando il destino che un uomo scrive con le scelte. Chi legge è accompagnato nel contesto per una scossa salutare:
Immaginate di essere in quell’aula, dove ormai la maggioranza dei deputati è fascista o è stata eletta grazie al fascismo […], e di dover prendere la parola non solo per denunciare le violenze ma per chiedere che le elezioni vengano annullate formalmente. Immaginate di parlare e di dire tutto questo in faccia ai capi di quelle squadracce che vi hanno fatto sequestrare e picchiare, che vi hanno messo al bando dalle vostre terre, che vi minacciano quotidianamente.
In quella seduta il fascismo è denunciato come regime, ma nell’insieme, non solo per i singoli episodi violenti: «C’è il riconoscimento della fine della legalità democratica: le elezioni vanno invalidate perché chi detiene il potere non avrebbe comunque accettato di perderle». Sullo sfondo della situazione di allora c’è qualcosa – con altre misure e altri mezzi, certo – da accostare alla fanfara suonata oggi in Italia dalla destra, e dieci anni fa dal governo Renzi. Le sue note irritanti sono fatte di investitura popolare autodichiarata, dagli accenti mistici e olimpici, oppure di toni perentori, di proclami a effetto, di vanterie su successi epocali; tutto questo mentre si proteggono gli interessi di pochi ambiziosi e dei loro referenti di classe.
Lasciamo a chi legge la ricostruzione incalzante del delitto, del clima febbrile delle ricerche della salma, del funerale; insomma di quei mesi sconvolgenti del 1924 quando il fascismo vacillò e poi si riprese. Vediamo solo come è presentata la Ceka del Viminale, una banda di sicari:
A Mussolini serviva uno strumento con cui essere sicuro di colpire i nemici. Un’organizzazione segreta ai suoi ordini diretti, composta da uomini con una certa esperienza e senza scrupoli, e che agisse in modo diverso dallo «spontaneismo» dello squadrismo.
Un buon modo, che parte da lontano, per ragionare anche sulle cellule fasciste che dagli anni Sessanta in poi, con ramificazioni e implicazioni sino ai «mondi di mezzo» della malavita, sono servite per compiere delitti atroci. Il sacrificio di un eroe fa chiare le cose. E a certi eroi, come al vino buono, il tempo dà più sapore.
Sul movente dell’assassinio si dà conto con cautela della pista del petrolio (l’affare Sinclair), una vicenda intricata da non sopravvalutare. Quella pista è un elemento collaterale; Stefano Caretti la esclude decisamente[5], Valdo Spini la considera un movente «per far buon peso» insieme a motivi ben più profondi per uccidere il socialista[6]. Ecco una considerazione interessante:
Matteotti l’aveva subito intuito e già l’aveva messo nero su bianco in Un anno di dominazione fascista: fin dalla sua nascita il fascismo, mentre annuncia di tagliare le spese inutili e gli sprechi e di lottare contro la corruzione, si caratterizza come una cleptocrazia, in cui a ogni livello gli uomini del fascismo utilizzano la loro posizione per riempirsi le tasche, e per favorire gli imprenditori privati o gli elementi più disposti a versare mazzette e a elargire favori[7].
Chi ha la vita davanti deve capirlo presto: la democrazia ha bisogno di critiche. Quelle sguaiate, però, non vogliono spazzare via la corruzione e lo spreco burocratico, ma la mediazione politica e i contrappesi fra poteri, compresa la garanzia costituita dall’indipendenza del potere giudiziario. Il bullo vuole creare disordine per comandare. Qui, per Bruno, l’ombra del fascio è il tentacolo di una piovra.
Ancora sulla pista del petrolio. Serve a depoliticizzare il delitto Matteotti facendolo slittare nella cronaca e nella criminalità comune. Oggi accade qualcosa di simile sui delitti Falcone e Borsellino: la destra vuole scartare la pista di alto livello, che coinvolge la politica e le convergenze della criminalità organizzata con apparati dello Stato, e invece privilegiare la pista «mafia-appalti». Se la memoria funzionasse, tenendo presente il caso Matteotti sarebbe più facile respingere le ricostruzioni strumentali di ciò che è accaduto nel 1992.
Al tempo del processo sul delitto Matteotti, quello pilotato e messo in scena lontano, a Chieti («la farsa di Chieti», dissero gli antifascisti), Mussolini manda un messaggio a Roberto Farinacci, segretario del Partito fascista e difensore dei sicari. Avete letto bene: un processo in cui il segretario del partito al governo – un partito con una milizia sua, legalizzata a spese dello Stato – difende i suoi camerati, imputati dell’assassinio del più temuto politico dell’opposizione. E poi dicono che la giustizia è sbilanciata adesso, perché giudici e pubblici ministeri sono colleghi. Là, alla farsa di Chieti, ci voleva la «separazione delle carriere», e più precisamente di quelle nell’apparato fascista da quelle nei diversi ruoli del processo penale.
A proposito. Al referendum costituzionale, la prossima primavera, ricordiamoci della farsa di Chieti, impariamo a distinguere i processi di regime, alla Farinacci, da quelli che non prendono ordini dal governo. Votare NO salva la Costituzione da una pugnalata: lo smembramento del Consiglio superiore della magistratura, i sorteggi al posto delle elezioni, la bulimia del governo, il pubblico ministero che diventa «avvocato della polizia». La strada verso i «pieni poteri». Votare NO è un ottimo regalo alla memoria di Matteotti e di tutti i martiri antifascisti.
Torniamo al messaggio durante il processo farsesco. Mussolini dice a Farinacci che l’Italia non deve «matteottizzarsi», ma cosa intende? Essere Tempesta risponde:
Leggendo questo biglietto di Mussolini mi sono convinto che, in particolare, fosse un certo modo di essere tenace, forse pedante (e quasi pignolo), tipico di Matteotti, che mandasse su tutte le furie il capo del governo. L’implacabilità con cui Matteotti diceva le cose come stavano: date, numeri, cifre, nomi, utilizzando ogni palcoscenico che avesse a disposizione, senza mai perdere un’occasione. L’Italia non deve «matteottizzarsi»: nessuno deve più interrogarsi sulla verità e nessuno deve più dire le cose come stanno[8].
Nessuno deve ragionare e dire come stanno le cose. Altrimenti?
Altrimenti, a seconda dei casi, c’è un trattamento Pier Paolo Pasolini, Peppino Impastato o Mauro Rostagno; se va meglio c’è violenza sulle cose per minacciare le persone, cioè un trattamento Sigfrido Ranucci. Oppure ci sono schedature, ricatti sul lavoro, querele bavaglio.
Ma attenzione. Matteotti ha una sua specificità. Il lottatore aveva qualcosa di davvero temibile: era un giurista, ferrato nell’amministrazione pubblica, esperto di contabilità, organizzatore tenace, oratore instancabile, prosatore tagliente, poliglotta, stimato anche all’estero, attento alle nuove tendenze nel diritto e nell’economia. Ci teneva a controllare anche i compagni di partito: la corruzione apre al giustizialismo becero e agli sbandamenti a destra.
Tutto da ricordare, da apprezzare. Magari godendosi un libro alla luce di una piccola lampadina. Essere Tempesta è chiaro: Mussolini voleva cancellarne la memoria, ma Matteotti non se n’è mai andato. E Bruno riassume col seme della lotta, messo in terra per dare frutti.
[1] Piero Gobetti, Matteotti, Piero Gobetti Editore, Torino 1924, p. 25.
[2] Valerio Renzi, illustrazioni di Toni Bruno, Essere Tempesta. Vita e morte di Giacomo Matteotti, Momo edizioni, Roma 2024, p. 15.
[3] Diego Crivellari, Francesco Jori, Giacomo Matteotti, figlio del Polesine. Un grande italiano del Novecento, prefazione di Francesco Verducci, postfazione di Marco Almagisti, Apogeo Editore, Adria 2023, p. 15. Recensito qui: Carmilla on line | La pentola bolle, poi Amazon, prima i carbonari e in mezzo Matteotti.
[4] Renzi, Essere Tempesta, cit., p. 19.
[5] Marzio Breda, Stefano Caretti, Il nemico di Mussolini. Giacomo Matteotti, storia di un eroe dimenticato, Solferino, Milano 2024, pp. 31-32 e pp. 199-207. Recensito qui: Carmilla on line | Barricate Matteotti: sono di mattoni e resistono al petrolio.
[6] Convegno Giacomo Matteotti, martire e maestro, Cerreto Guidi, 14 settembre 2024, e Monsummano Terme, 22 ottobre 2024.
[7] Renzi, Essere Tempesta, cit., p. 95.
[8] Ivi, p. 105.



