di Paolo Lago
Michel Foucault, in una conferenza tenuta a Tunisi nel 1967 e pubblicata postuma nel 1984 col titolo Des espaces autres, al fianco di “utopia” introduce il termine di “eterotopia”. Se l’utopia si configura come un “non luogo”, l’eterotopia si presenta come un luogo reale separato dal normale contesto quotidiano, “una specie di contestazione al tempo stesso mitica e reale dello spazio in cui viviamo”1. Sono svariate le eterotopie secondo l’analisi dello studioso francese: i giardini, i teatri, le prigioni, le colonie, le fiere, le biblioteche. Alla fine della conferenza, Foucault definisce però la nave come “eterotopia per eccellenza”: la nave è un “frammento di spazio fluttuante, un luogo senza luogo, che vive per sé, che è chiuso su se stesso e che, nello stesso tempo, è abbandonato all’infinito del mare”2; è “anche la più grande riserva di immaginazione. La nave è l’eterotopia per eccellenza. Nelle civiltà senza barche i sogni si inaridiscono, lo spionaggio prende il posto dell’avventura e la polizia quello dei corsari”3.
L’immagine della nave come “contestazione al tempo stesso mitica e reale dello spazio in cui viviamo”, come “riserva di immaginazione”, come una specie di scrigno di sogni scaturiti da un immaginario libero e liberato prende corpo in questi giorni nella Global Sumud Flotilla, partita carica di aiuti umanitari pochi giorni fa alla volta della Striscia di Gaza con l’intento di rompere il blocco israeliano. Sono tante imbarcazioni a vela che assumono una dimensione quasi mitica nel loro movimento sulla superficie del mare alla volta della Striscia. Esse si muovono in quello che, secondo una definizione di Deleuze e Guattari, è lo “spazio liscio” per eccellenza, il mare, che l’apparato degli stati ha sempre cercato di rendere “striato”, cioè sottoposto al controllo4. Ma, andando per mare – proseguono i due studiosi – “anziché striare lo spazio lo si occupa con un vettore di deterritorializzazione in movimento perpetuo”5.
Il movimento delle navi, quegli scrigni di sogni e di immaginazione, libera lo spazio marino dal sistema del controllo restituendolo alla deterritorializzazione tipica degli spazi lisci abitati dai nomadi. Le navi della flottiglia sono mitiche anche perché si spostano come le navi degli eroi antichi creatrici di storie: le navi dell’Odissea, la nave Argo delle Argonautiche di Apollonio Rodio, come scrive Bertrand Westphal, “inanellano i luoghi come perle sulla collana di parole del poeta”6. È lo spostamento del viaggio per mare a creare il racconto, a farlo scaturire dall’immaginazione del poeta: gli esseri mitici e fantastici incontrati, i luoghi strani e meravigliosi visitati sono creati dal movimento delle navi sulla distesa marina. Così, la Flotilla apre il nostro immaginario a un’idea di libertà, scava in profondità nel malato immaginario contemporaneo occidentale incasellato in vuoti e imposti schemi di pensiero dominati dall’indifferenza, colpisce e ferisce nel profondo il pensiero unico dell’Occidente capitalista, irreggimentato dalle pratiche di controllo digitale e mediatico dell’epoca post-Covid. Il viaggio della Flotilla è anche questo: un poema che apre nuovi squarci possibili al nostro immaginario, apre varchi di fuga e di resistenza all’irreggimentazione incasellante del pensiero.
Foucault, nella sua conferenza, mette in opposizione la “polizia” e i “corsari”: se la prima rappresenta il controllo, ciò che secondo l’analisi di Deleuze e Guattari possiamo definire come “spazio striato”, i secondi sono invece l’immagine dello “spazio liscio” abitato dai nomadi, vettori di deterritorializzazione. Nella prima versione radiofonica della sua conferenza, lo studioso accentuava in modo poetico la dimensione del sogno e dell’immaginazione che si scontra con le dinamiche del controllo: “le civiltà senza navi sono come i bambini, i cui genitori non hanno un letto matrimoniale sul quale poter giocare. I loro sogni allora si inaridiscono; lo spionaggio si sostituisce all’avventura, e lo squallore della polizia prende il posto dell’assolata bellezza dei corsari”7. Naturalmente, si tratta di una visione essa stessa per certi aspetti ‘mitica’ e fantastica dei corsari e dei pirati, venata di connotazioni romantiche: come ha scritto Valerio Evangelisti, autore di una Trilogia dei pirati, la figura storica dei pirati e dei corsari è ben lontana dalla “favola del pirata romantico e vendicatore”8. Il corsaro della fantasia romantica è simbolo di sogno e di libertà, di pensiero liberato da qualsiasi orpello incasellante; la “polizia”, invece, è la macchina burocratica del controllo, l’apparato statale e militare che blocca, controlla, incasella, deporta e arresta. È quello stato che afferma che gli attivisti di Flotilla “saranno trattati come terroristi”, che conferisce un senso unico e vuoto alle parole, manipolandole fino al loro contrario e utilizzando quindi una parola come “terrorista” applicata a degli attivisti non violenti e pacifici. Gli stati e le loro macchine del controllo, irreggimentati nella ripetitività perennemente uguale dei loro gesti di divieto e ostruzione, non conoscono l’assolata bellezza dei corsari, niente sanno di quel “poema del mare” cantato da Rimbaud in Le bateau ivre.
Le imbarcazioni della Global Sumud Flotilla sono anche una contestazione reale dello spazio in cui viviamo: esse procedono infatti a vela, rifiutando una velocità che nell’universo contemporaneo si associa spesso alla produzione capitalistica anche violenta e alla manipolazione silenziosa degli individui: la costruzione dell’alta velocità che sventra montagne e vallate, la velocità come efficienza e iperproduzione, la flessibilità lavorativa, la competitività e la necessità di formazione continua, una sempre più pervasiva digitalizzazione della vita quotidiana. Gli attivisti vanno per mare lentamente, ponendosi contro l’idea di dominio del capitalismo contemporaneo che “supera i limiti degli apparati di Stato e passa in complessi energetici, militari-industriali, multinazionali”9 in una struttura che oggi assume l’aspetto di una guerra globale non dichiarata, fatta con qualsiasi mezzo. La Flotilla conosce l’idea di distanza, annientata oggi da un pervasivo processo di velocizzazione10: la sua navigazione viene incalzata da droni che la sorvegliano e la controllano, droni che altro non sono se non appendici violente della distruttiva velocità contemporanea.
Oltre che di immaginazione, le eterotopie della Flotilla sono una riserva anche di umanità perché rappresentano una possibilità importante, per l’Occidente, di restare umano, lontano dall’indifferenza e dal vuoto che circondano la società contemporanea. In un clima di disumanità diffusa sono capaci di restare umani, infatti, non soltanto coloro che sono a bordo delle imbarcazioni ma anche i loro sostenitori e i manifestanti pro Palestina che invadono le strade nonché quei lavoratori portuali pronti a scendere in piazza e a bloccare tutto se succederà qualcosa alle imbarcazioni umanitarie: insieme sfidano, ancora una volta, quel potere striato e reticolare che vorrebbe intorno a sé soltanto una squallida indifferenza. Il senso di umanità che si trova nelle stive delle imbarcazioni rappresenta anche una resistenza contro qualsiasi forma di fascismo, perché l’indifferenza, l’irrisione e ogni becera ironia mediatica di fronte al viaggio della Flotilla, altro non rappresentano se non una insidiosa e pericolosa ‘fascistizzazione’ della società.
M. Foucault, Eterotopie in Id., Estetica dell’esistenza, etica, politica. Archivio Foucault 3. Interventi, colloqui, interviste. 1978-1985, Feltrinelli, Milano, Milano, 2020, p. 311. ↩
Ivi, p. 316. ↩
Ibid. ↩
Cfr. G. Deleuze, F. Guattari, Mille Piani. Capitalismo e schizofrenia, a cura di M. Carboni, Castelvecchi, Roma, 2010, p. 458. ↩
Ibid. ↩
B. Westphal, Geocritica. Reale, Finzione, Spazio, Armando, Roma, 2009, p. 115. ↩
M. Foucault, Utopie Eterotopie, Cronopio, Napoli, 2011, p. 28. ↩
V. Evangelisti, Un mondo di canaglie, in “Carmilla online”, 12 luglio 2008. ↩
G. Deleuze, F. Guattari, Mille Piani, cit., p. 458. ↩
cfr. P. Virilio, La velocità di liberazione, a cura di U. Fadini e T. Villani, Mimesis, Milano, 2000, p. 151. ↩