di Sandro Moiso

AA.VV., Tumulti rusticani. Rivolte e resistenze contadine tra il Medioevo e la Modernità, edizioni TABOR, Valsusa 2025, pp. 72, 4 euro

In occasione del solstizio d’estate, 20 – 21 e 22 giugno 2025, si è tenuto a Villar Pellice (TO) un interessante convegno sulle rivolte contadine e sul rapporto tra specie, ambiente e agricoltura a partire dal cinquecentesimo anniversario della guerra dei contadini tedeschi del 1525. Iniziativa assolutamente necessaria se si considera che, come si afferma nelle note editoriali legate al nuovo volumetto della collana «Bundschuh» ovvero “lega dello scarpone”, simbolo della “gente comune” contro i “signori”, da cui prende il titolo la collana stessa:

Nella storia “ufficiale”, i contadini appaiono come un fastidioso rumore di fondo. Li si ricorda soltanto – con terrore – le volte in cui, armi in pugno e in fitte schiere, hanno preso d’assalto i castelli, le chiese, i palazzi dei potenti. Non si tratta soltanto di un altezzoso sguardo di classe, è un vero e proprio disprezzo, quasi antropologico. I rustici sono una maledizione da rimuovere, gente rozza e ignorante, arcaica e sporca, perché legata alla terra, l’esatto contrario dell’individuo moderno, l’uomo nuovo, razionale, sofisticato, libero dalla “schiavitù della natura”. Oggi, a cinque secoli dalla “grande guerra dei contadini” del 1525, possiamo fare un bilancio di dove ci ha condotto questa perversa concezione di libertà e progresso: in un abisso di genocidi, disastri, ingiustizia, infelicità. [Mentre] è forse anche il momento di ribaltare la storia che ci hanno raccontato, e di far riemergere dalle sue pieghe nascoste quel mondo rurale: non soltanto nei suoi momenti di furiose ribellioni, ma anche nelle sue quotidiane strategie di resistenza, nei suoi saperi, nelle sue forme di autonomia e di autogoverno comunitario. Quel mondo stritolato negli ingranaggi della macchina capitalista e statale, che è oggi più che mai urgente e vitale riscoprire, risollevare, riarmare.

Proprio per tutti questi motivi, le edizioni Tabor e la collana «Bundschuh» proseguono nella meritoria opera di riscoperta e riedizione di pubblicazioni oggi dimenticate oppure mai tradotte in italiano per ricostruire la lunga storia dei poveri insorti per difendere le loro comunità e le loro autonomie. Ma non solo, perché a quella storia si intrecciano altri momenti fondamentali della nostra modernità, come la Riforma protestante – con le sue correnti radicali, profetiche e rivoluzionarie – i roghi delle donne bruciate come streghe, i massacri degli indigeni nelle colonie, l’inizio di quell’economia di rapina che ha permesso l’accumulazione originaria all’origine del Capitale. È in quegli anni, in quegli slanci e in quelle tragedie, che nasce il presente in cui viviamo. In tal senso conoscerne le origini non è un mero esercizio di curiosità intellettuale. È il primo passo per raccogliere il testimone di chi ha combattuto prima di noi. Per ritornare a combattere…

L’ultimo volume pubblicato nella collana raccoglie due testi. Uno di Werner Rösener tratto da I contadini nella storia d’Europa (Laterza, Roma-Bari 1995) e significativamente intitolato I contadini si oppongono e si ribellano. Mentre il secondo è la traduzione di un saggio di Paul Freedman, intitolato Peasant Resistance in Medieval Europe (Resistenza contadina nell’Europa medievale), pubblicato originariamente sulla rivista «Filozofski Verstnik» il 18.2. 1997.

Ed è in particolare il secondo dei due testi, sulla scorta anche delle ricerche condotte sul campo in Estremo Oriente da James C. Scott, ad allargare il campo temporale e geografico delle resistenze contadine: dai primisecoli dopo il Mille alla guerra dei contadini tedeschi fino alle guerre contadine in Russia in epoca stalinista nel periodo delle collettivizzazioni forzate ovvero dell’”accumulazione socialista”. Mostrando così come il problema delle rivolta contadine e dell’analisi dei conflitti sociali nelle campagne abbia visto in prima linea per l’interpretazione erronea e semplicistica spesso data proprio quei movimenti politici, come il marxismo, che della Rivoluzione avevano fatto la propria bandiera.

Oltre alle grandi e note guerre tardo-medievali e alle confederazioni contadine, esistevano altre forme di conflitto rurale medievale. Soprattutto a partire dal XIV secolo si verificarono frequenti rivolte contadine locali e regionali. Per il solo Impero tedesco si contano 59 insurrezioni contadine tra il 1336 e il 1525.
Eppure, fino a poco tempo fa, i contadini del passato e dell’epoca contemporanea sono stati considerati da storici e studiosi come estranei al dramma del progresso storico. Se sono stati coinvolti in eventi importanti, è stato come vittime inconsapevoli o come folle manipolate. Il loro ruolo nella resistenza alla Rivoluzione francese in Vandea, ad esempio, avrebbe incarnato sia il loro attaccamento agli assetti tradizionali sia la futilità dei movimenti rurali organizzati1.

Così, anche se alcune correnti marxiste hanno favorevolmente interpretato certi aspetti dei movimenti contadini, pur sempre relegandoli a ruolo di gregari del corso dello sviluppo delle contraddizioni della società feudale e delle moderne forze produttive:

per la maggior parte del Novecento gli scienziati sociali – marxisti e non – hanno concordato sul fatto che i contadini rappresentavano un fattore retrogrado nello sviluppo economico e che il progresso li avrebbe lasciati indietro. Nel pensiero marxista ortodosso i contadini sono un ostacolo al progresso rivoluzionario o al massimo possono rincorrerlo, partecipandovi indirettamente. Che solo il proletariato urbano potesse forgiare una vera rivoluzione fu ribadito da Stalin, che considerava le prime rivolte contadine russe degne di nota, ma le loro motivazioni “zariste” le rendevano irrilevanti per dei veri rivoluzionari. La collettivizzazione forzata dell’agricoltura in Unione Sovietica fu il risultato logico, anche se particolarmente brutale, di un atteggiamento che vedeva il proletariato come avanguardia della rivoluzione e la modernizzazione industriale come possibile in una società arretrata solo distruggendo i piccoli proprietari agricoli2.

D’altra parte, per i teorici dello sviluppo di stampo occidentale, il grado di sviluppo e di progresso industriale ed economico di una società è stato spesso interpretato sulla base della progressiva oppure definitiva scomparsa della popolazione rurale.

L’atteggiamento contemporaneo nei confronti del mondo rurale è curiosamente parallelo a quello del Medioevo, che vedeva i contadini come disgraziati, inarticolati, capaci di ribellioni pericolose ma irrazionali e senza obiettivi, e privi di qualsiasi programma o senso del progresso. La resistenza contadina è considerata un fenomeno ricorrente ma inutile, espressione di una rabbia istintiva piuttosto che di un piano organizzato. I movimenti contadini che sembravano degni di nota erano o esplosioni irrazionali (di cui la Jacquerie francese del 1358 potrebbe essere presa come esempio tipico), o dipendenti dall’iniziativa di classi più consapevoli e articolate (soprattutto cittadine).
Negli ultimi anni, tuttavia, molto è cambiato, poiché la razionalità e l’uso delle risorse da parte dei contadini sono state rivalutate in maniera più positiva. In parte ciò è avvenuto come risultato di un tardivo disincanto nei confronti dei costi sociali e degli effetti ecologici dello sviluppo. Lo spettacolare fallimento dell’agricoltura sovietica e gli effetti deleteri del disinvestimento nell’agricoltura a favore di programmi sconsiderati o corrotti (ad esempio in Africa) hanno incrinato la fiducia in ciò che è “razionale” o “irrazionale” nelle pratiche agricole3.

Per questi motivi si rende, oggi, estremamente necessario tornare a riflettere su quelle esperienze, non soltanto da un punto di vista storico e “militare”, ma anche da quello della riscoperta di un rapporto con la terra, il lavoro e la comunità che rivela come le promesse di un radioso futuro, sia di stampo capitalistico che socialista, devono ancora fare i conti con resistenze che si possono rivelare più profonde, antiche e motivate di quanto sia sempre stato, immotivatamente, dato. Come quelle delle comunità indigene ancora in corso in tante parti del mondo, a cominciarere dal Messico zapatista, sta ancora lì a ricordarci.


  1. P. Freedman, Peasant Resistance in Medieval Europe in AA.VV., Tumulti rusticani. Rivolte e resistenze contadine tra il Medioevo e la Modernità, edizioni TABOR, Valsusa 2025, p. 45.  

  2. P. Freedman, op. cit., p. 46.  

  3. Ivi, pp. 48-49.