di Luca Cangianti

Un gruppo di pischelli scavalca un muro e si fa strada tra la vegetazione selvaggia. Ridono e scherzano, ma hanno anche un po’ paura: sono entrati in una proprietà privata. Alla fine si bloccano e rimangono a bocca aperta: gli uccelli gridano dall’alto e la luce del sole si riflette su grande specchio d’acqua purissima. Hanno scoperto un lago, proprio vicino a casa loro, nella periferia romana.

Adesso un “pischello” di quel gruppo ce l’ho di fronte a me, anche se sono passati più di trent’anni: «Le panche di legno per noi erano vascelli pirata», racconta. «Con gli amici ci divertivamo a giocare a battaglia navale sul lago. Poi un giorno in un edificio diroccato ho trovato delle schede di cartoncino: c’erano le foto di chi lavorava qui, le loro mansioni e persino le punizioni che subivano. E così mentre gli altri facevano i graffiti, io me ne rimanevo imbambolato per ore a sfogliare l’archivio abbandonato della Snia Viscosa». Marco si riferisce alla fabbrica di fibre tessili artificiali fondata nel 1923. Dopo trent’anni di attività e quaranta di abbandono, l’area è acquistata nei primi anni novanta da una società che inizia i lavori per costruire un centro commerciale, intercettando però una falda idrica. Questa è l’origine del lago metropolitano di diecimila metri quadrati di superficie. Dopo molti esposti presentati dai residenti riguardo alla correttezza delle concessioni edilizie e la richiesta di destinare gli spazi al verde pubblico, inizia una lunga vicenda giudiziaria. Su parte del terreno espropriato nel 1997 viene aperto al pubblico il Parco delle energie, grazie a una battaglia del Centro sociale Ex Snia sorto dall’occupazione di alcuni capannoni del complesso industriale. Nel 2015, infine, il lago è finalmente aperto alla cittadinanza. «Adesso dobbiamo completare il lavoro: è giunta l’ora di far arrivare al sindaco la voce dei residenti: bisogna espropriare gli ultimi quattro ettari e mezzo di terreno in mano ai privati per impedire l’edificazione di un polo logistico e di uno studentato per ricchi di cui non c’è alcun bisogno, mentre invece è vitale tutelare gli spazi verdi in una zona di Roma interamente edificata.»

Questa storia centenaria è raccontata nella mostra “Viscosa di Roma. 100 anni di Storie, Lotte e Natura all’ex Snia”, la cui apertura gratuita dal venerdì alla domenica (ore 16.00-20.00) è stata prolungata fino al 6 di giugno. A promuovere l’iniziativa sono il Centro di Documentazione Maria Baccante e il Forum Parco delle Energie.
Guardo le foto e vedo le immagini sbiadite di alcuni alberelli; adesso sono enormi pini centenari. Vedo i volti delle donne e degli uomini che migrarono dalla provincia per affollare borghetti e baraccopoli; che fecero la Resistenza, che condussero scioperi lunghi e coraggiosi, che erano multati dalla dirigenza per tremore delle mani e lavorazione incompleta. Anni dopo si sarebbe scoperto che si trattava di solfocarbonismo, una malattia professionale che provocava disturbi al sistema neurologico, allucinazioni, vertigini e, per l’appunto, tremori. Molti operai finirono i loro giorni all’ospedale psichiatrico Santa Maria della Pietà.
«Il quartiere ci riconosce ormai come depositari delle loro memorie» afferma Maria. «Se qualcuno trova un documento della Viscosa viene a donarcelo.» E poi passa a elencare le attività di public history e di mobilitazione sociale che rendono così originale questa esperienza di attivismo: percorsi di storia industriale e del quartiere, studio dell’immigrazione italiana e straniera, analisi della fauna e della vegetazione locale, coinvolgimento delle scuole, ragazzi che raccolgono le memorie degli abitanti del quartiere e persino una piccola Colonna di Traiano a manovella realizzata dai bambini per raccontare la storia del territorio.

È il 25 aprile, finisce la visita guidata della mostra e inizia un percorso che si ferma davanti alle case dei partigiani e delle partigiane. A ogni tappa prende la parola un residente e ne racconta la storia. In mezzo alla piccola folla di partecipanti rimugino su quel che vedo e sento: dalla fine del ciclo di lotte degli anni settanta a oggi tanti si sono affannati a costruire gruppi e partiti residuali di sinistra più o meno radicale; tanti hanno corso appresso a una rappresentanza elettorale ormai deprivata di qualsiasi potere dal reset postfordista. Il risultato? Nuove sconfitte, depressione e masochistica coazione a ripetere. E invece questi attivisti qui combattono il processo di individualizzazione e atomizzazione capitalistica creando una nuova mitologia territoriale. Fanno parlare le vie, i palazzi e le vecchie fabbriche dismesse; risignificano lo spazio urbano, creano identità condivise, comunità. Lontano dai centri commerciali, lontano dal loro immaginario seducente e traditore. Senza questo lavoro umile e grandioso, mi dico, come possiamo pretendere di suscitare una nuova coscienza rivoluzionaria? Un nuovo e prorompente desiderio di veder realizzato un mondo migliore?
Ma forse sono solo mie elucubrazioni e quindi chiedo a Marco se tutte queste attività facciano parte di un progetto politico più ampio: «E certo!», mi risponde di getto, come se la mia domanda fosse scontata. In quel momento il suo sorriso malizioso mi ricorda un pischello che trent’anni fa scavalcava i muri delle proprietà private.