di Giovanni Iozzoli

– Pronto… fratello… sei tu? Dammi notizie.
– Non buone, Omar. Non buone. Nostro padre ha avuto un crollo. Mi dice il dottore che ormai si può parlare di pre-coma.
– Co…sa? Pre-coma? Ma me lo dici così? Eravamo rimasti d’accordo che mi avresti avvisato in anticipo su eventuali peggioramenti…
– Sì… certo… ma fino a ieri sera eravamo ancora speranzosi, si era anche ripreso un po’. Ci siamo detti: non facciamo di nuovo correre Omar da Miami, aspettiamo che la situazione sia più chiara. Poi stanotte è stato di nuovo male. Si lamentava mentre dormiva… si svegliava di soprassalto… pregava un po’… piangeva… aveva dei dolori, con tutta quella morfina in corpo. Adesso qua sono le nove e la situazione è quella che è. Nessuno ha più speranze. Il vecchio stavolta ci sta proprio lasciando. Stanno arrivando anche i giornalisti…
– Arrivano i giornalisti prima del figlio maggiore, che vergogna… dovevo partire ieri… adesso sarei già lì. Comunque ora attivo subito la segretaria dello studio, è una ragazza sveglia, ci metterà poco a trovarmi un biglietto… Prendo il primo volo per Istanbul, all’arrivo mi mandi tuo figlio all’aeroporto o qualcun altro… ci metterò una giornata, maledizione… dovevate avvisarmi prima.
– Ma è successo stanotte… un po’ alla volta… adesso la situazione sta precipitando e ti ho chiamato subito. Che altro dovevo fare?
– Vado a casa a preparare una valigia.
– Aspetta… aspetta un attimo… devo dirti un’altra cosa… è meglio che lo sai prima.
– Cioè? Cosa devo sapere prima?
– Qualche giorno fa nostro padre ti ha scritto una lettera.
– A me? Una lettera?
– Sì, l’aveva chiusa in una busta senza farla leggere a nessuno e la teneva sul comodino. Era indirizzata a te ma non l’aveva fatta ancora spedire.
– E allora?
– L’altro ieri, l’ultimo giorno che era stato lucido, ha preso la lettera e ha chiesto a Fatima di spedirtela con un corriere espresso, lì da te, al tuo indirizzo di casa a Miami.
– …
– Omar, sei lì?
– Sì… sono… qui.
– Ascolta fratello, io non so che cosa abbia scritto là dentro; non lo sa Fatima né zio Abdullah… nessuno l’ha letta. Però è meglio che ti prepari. Psicologicamente dico… perché sai cosa poterebbe essere…
– …
– Omar, mi senti? Hai capito quello che sto dicendo?
– Ho capito… ma se nessuno l’ha letta… come fai a dire quello che stai dicendo? Forse era una lettera d’addio. Un saluto. Si sentiva mancare le forze. Lui non era tipo da telefonate, lo sai.
– Appunto. Non era tipo da telefonarti o da mandarti una mail per dirti quello che penso ci sia scritto là dentro. Lui faceva le cose sempre nel vecchio stile. E ci voleva un pezzo di carta firmato. Lo sai come funziona.
– Mashallah…
– Intendiamoci… è una mia supposizione… però credo sia plausibile, anzi probabile.
– Non… non è possibile. Sarebbe una pazzia. Il vecchio aveva una testa eccelsa. Come avrebbe mai potuto fare una scelta del genere? Lui non amava le improvvisazioni o le eccentricità.
– Non sarebbe né l’una né l’altra cosa, lo sai. Anzi, sarebbe il naturale svolgimento delle cose…
– Ma che svolgimento? Io sono a Miami da dieci anni. Faccio il chirurgo. Come si può pensare che…? Sono sposato con un’americana.
– Lo so. Ma sei il fratello maggiore.
– Io avevo pensato che sarebbe toccato a te, a zio Abdullah, a Sheik Kurban… ce ne sono di figure degne, adeguate, ben più del sottoscritto.
– Adesso non esagerare. Hai studiato 15 anni nelle migliori madrasse della Turchia, non sei mica uno di passaggio.
– Io faccio il chirurgo! Lo capite o no?
– E allora, che ci sarebbe di male?
– Io non ho mai neanche spiegato bene a nostro padre il mio mestiere qual è…
– Certo. E’ un mestiere nobile. Sei un chirurgo plastico.
– Sai cosa significa vero?
– Svolgi un lavoro utilissimo. Non operi mica le attrici. Tu aiuti i bambini ustionati a rimarginare le loro…
– Anche le attrici. Lavoro in uno studio. Faccio tutto quello che mi dicono.
– Astaghfirullah. Non lo sapevo. Comunque non c’entra nulla, il lavoro che uno faceva prima…
– Ma prima di che? Insomma, la mia vita è qua. Adesso fammi andare, devo preparare la valigia, avvisare mia moglie… però attenzione… tu sei sicuro che nessuno di voi abbia letto quella lettera?
– Si, sono sicuro.
– Aspetta, però. Ma se io vengo là e la lettera arriva qua, io non saprò neanche cosa c’è scritto. A meno che non abbia lasciato istruzioni orali a qualcuno…
– No. Le avrebbe lasciate a me.
– E io mentre sono in volo per Istanbul, come faccio a sapere quello che c’è nella lettera?
– Non lo puoi sapere.
– Ma non è mica un dettaglio.
– Magari il corriere arriva che tu sei ancora lì.
– Non credo. Vedrai che arriverà mentre sarò in viaggio o magari già in Turchia.
– Comunque è facile: quando arriva la lettera a casa tua, chiedi a tua moglie di aprirla, fa una foto e te la gira.
– No… no. Se c’è scritto quello che pensi tu, non voglio che lo impari così… devo gestirla io la faccenda.
– Ma tua moglie è di Miami, mica legge il turco? No?
– Lei no, ma la bambinaia si.
– Hai una bambinaia?
– Certo mia moglie è una dottoressa anche lei, chi le seguirebbe le bambine?
– E la bambinaia legge e capisce il turco?
– Si è una ragazza turca che era senza lavoro e l’abbiamo presa a casa. Ora: se la lettera arriva a mio nome, mia moglie non l’aprirebbe mai; ma se le chiedo di aprirla e di fotografarla, ci sono molte possibilità che chieda alla bambinaia di leggergliela. Intuirebbe che è qualcosa di importante. Qualcosa che riguarda la famiglia. Aspetta fratello… bussano alla porta… ti richiamo tra poco, dimmi se ci sono aggiornamenti… sulla salute del vecchio… sulla lettera… su tutto… adesso attacco, a dopo. Chi è?… avanti…
– Caro Omar, buongiorno, si può? Stai lavorando? Ti disturbo?
– Dottor Murray, prego, si accomodi, venga, venga dentro, stavo ricevendo proprio ora brutte notizie da mio padre… penso ci sia un aggravamento… credo che dovrò scappare… ma stia tranquillo, non avevo interventi in calendario per questa settimana, ho controllato l’agenda. Solo qualche appuntamento che posso spostare.
– Ma caro Omar, non stare a preoccuparti. Mi dispiace tanto per il tuo papà, so che gli eri molto affezionato. So anche che è una persona importante dalle vostre parti, è giusto che tu corra subito da lui. La famiglia viene prima di tutto, lo sai quali sono i nostri valori. Puoi tranquillamente staccare, per una settimana. E speriamo che tutto si aggiusti per il meglio. Sarà anche l’occasione per riflettere su una proposta che adesso ti anticipo brevemente. Mi rendo conto che non è il momento migliore, ma magari stare lontano ti aiuterà a valutarla meglio.
– Che… che proposta?
– Ne ho parlato anche con Levinsky e con gli altri. E sono tutti d’accordo. Omar, noi ti vogliamo dentro.
– Come dentro?
– Dentro la società, con noi. Anche se sei qui da soli tre anni, valutando il tuo curriculum, la tua professionalità e soprattutto la persona che abbiamo avuto modo di apprezzare, ti chiediamo di diventare socio.
– Ma io non so… se…
– No, non devi rispondere adesso. Mi rendo conto della tua sorpresa e capisco che è una responsabilità importante. Ma secondo noi tu sei pronto per assumerla. Non stare a preoccuparti della parte finanziaria, quello è l’ultimo problema e lo gestiremo con le banche. A noi, che stiamo invecchiando, interessa avere un giovane di valore che porti avanti la storia di questo studio medico quando noi non ci saremo più o quando saremo semplicemente pronti per uscire di scena. Tu sei il profilo giusto, non abbiamo dubbi. E’ un onere certo, ma anche (mi permetto di dirtelo) un grande onore. Sai che siamo tra i primi in Florida, conosci il giro d’affari, sai tutto. Tu hai l’età giusta per fare questo passo, l’età della maturità. Ti vedo perplesso, lo capisco bene. Sarà anche per via delle brutte notizie che arrivano dalla Turchia. Non ti preoccupare. Parti, pure, va dal tuo vecchio padre, speriamo che vada tutto per il meglio e poi tra una settimana, al tuo ritorno, ci sediamo al tavolo con gli altri soci e ne parliamo con calma. Va bene?
– Va… bene… grazie… adesso sono un po’ confuso… mi scusi…
– Torno al mio lavoro, ciao Omar, auguri per il tuo papà.

Omar si accasciò sulla scrivania che odorava di disinfettante, come tutto il resto del suo studio. Le donne delle pulizie esageravano sempre con i prodotti detergenti. Avvertiva un prurito fortissimo alla base dei capelli ma resisteva e non si grattava, perché sentiva che avrebbe peggiorato le cose. Il dott. Murray, dopo solo due anni di impiego nel loro studio, lo aveva appena invitato a diventarne socio. Non riusciva a crederci. Una cosa addirittura inconcepibile, fino a pochi giorni prima. Ma anche la preannunciata lettera di suo padre, sarebbe stata da considerare nel novero delle cose inconcepibili. Forse era solo lui che in tutti questi anni aveva rimosso il problema, facendo finta di ignorare quella che era una possibilità concreta che era sempre stata nel suo futuro. Cominciava una leggera emicrania. Doveva scuotersi da questo eccesso di emozioni che lo paralizzava. Chiamò la segretaria e le chiese di prenotare il primo volo per Istanbul disponibile. Non aveva però ancora risolto il problema della delicata missiva in arrivo. Come fare a leggerne il contenuto mentre era in viaggio? Voleva richiamare la moglie, ma mentre stava componendo il numero, suo fratello ritelefonò.

– Omar… eccoci… si, ti confermo che la situazione è irreversibile, adesso è stabilizzato e respira senza ossigeno, ma non si sa quanto durerà.
– E l’altra cosa?
– Quale?
– La lettera.
– Ti ho detto che non ne sa nulla nessuno. Lo sai che su queste cose il vecchio non si consultava con nessuno. Prendeva le decisioni e via. Ascolta, adesso devo andare, c’è già la folla dei murid e stanno arrivando i giornalisti, la televisione… è un manicomio e devo gestire tutto io… Fatima e zio Abdullah piangono sempre, che Dio li perdoni. Sai già a che ora arriverai a Istanbul?
– No… sto aspettando notizie sui voli disponibili. Non ti preoccupare. Ti mando un messaggio appena so qualcosa. Volevo chiederti l’ultima cosa… ma aspetta… vedo il numero di mia moglie… meglio che risponda… scusa metto giù e poi ti richiamo..
– Pronto Omar. E’ un po’ che chiamo non mi rispondi mai.
– Scusa ero in linea con mio fratello. Devo correre a Istanbul. Le cose stanno precipitando.
– Lo so. Me lo ha detto la baby sitter, ha detto che ha sentito la notizia su Al Jazeera turca.
– Eh si, è pieno di giornalisti. Vorresti venire anche tu, vuoi che prenoto un posto anche per te?
– Scherzi? Come farei col mio studio? E le bambine? Mica posso lasciarle a questa qui che non parla neanche bene inglese.
– Non insisto, lo so. Dico a tutti che sei indisposta…
– Non c’è bisogno. Di la verità, che avevo dei lavori in sospeso che non potevo piantare lì. Non sono una casalinga. Sono un’oncologa. Non faccio lifting.
– Adesso passo da casa a prendere un po’ di roba e vado.
– Ascolta, so che non è il momento ma tu lo sai io come sono fatta, non riesco a procrastinare come fai tu… Questa mania che avete voi orientali di girarci intorno, ai problemi. Quando torni da Istanbul bisogna che parliamo.
– Di cosa, Debbie? Di cosa dobbiamo parlare? Ti sembra questo…
– Dobbiamo parlare di un matrimonio che è finito da un pezzo. E della responsabilità che finalmente devi assumerti, rispetto a due bambine che stanno crescendo con un padre assente. Noi due dobbiamo prenderci un periodo di pausa e riflettere sul da farsi; ma nel frattempo tu dovrai stare con le tue figlie di più. Se ci separiamo, il tempo e l’attenzione per le bambine si divide tutto a metà, sia chiaro. Adesso il fatto che stai partendo magari ti aiuta a riflettere meglio sulla situazione. Non voglio assillarti, ma comincia a pensare a come riorganizzare la nostra vita… soprattutto metti al centro di tutti i tuoi ragionamenti le bimbe…
– Possiamo riparlarne al mio ritorno? Io non sono in condizione di pensare serenamente a niente… stamattina c’è una confusione tremenda nella mia testa. Anche il dott. Murray, prima, è venuto a farmi una proposta…
– Che proposta?
– Di diventare socio.
– Mi congratulo con te per i tuoi successi professionali. Ma quelli sono affari tuoi. Quello che a me preme è che tu ti assuma più responsabilità con le tue figlie. E che possibilmente non mandi a puttane la mia, di carriera professionale.
– Fammi andare. Ne riparleremo presto. Devo scappare. Tu dove sei adesso, al lavoro? Io passo un attimo per casa, preparo la valigia e parto. Ciao.

Omar guardava il cielo sereno dalla finestra grigia. Ma il telefono era implacabile: era Murray che lo richiamava:

– Omar, scusami, non voglio assillarti con i problemi del lavoro. Hai detto che la prossima settimana avevi degli appuntamenti che potevi spostare. Va bene, però fai attenzione al piccolo Ortega, quello dell’incidente. Sono profughi, il sindaco ci ha messo la faccia, ci tiene molto, per tutte le loro benemerite campagne. Mi raccomando, appena rientri convoca subito la famiglia e programma l’intervento. E’ una cosa facile, lo hai già visitato, no?
– Certo, mi ricordo. Stia tranquillo. Grazie dott. Murray. Ci sentiamo al mio ritorno.

Neanche il tempo di posare il cordless, che squillò il suo cellulare.

– Dott. Omar, sono Nancy. Buon giorno, la disturbo?
– No… dica Nancy… sto partendo ma le posso dedicare qualche minuto prima di uscire…
– La trattengo poco, non si preoccupi. Non voglio rubarle tempo. Anzi, non la chiamerei affatto, se non avessimo quel problema in comune, io e lei.
Nancy… guardi… tutto si può affrontare… ne abbiamo già parlato, sono un chirurgo e sono abituato ai contrattempi. Non voglio assolutamente evitare la discussione. Se abbiamo fatto degli errori, siamo pronti ad assumercene la responsabilità e porvi rimedio…
– Se avete fatto errori? Se avete fatto? Ci mette anche il se, davanti? Ma con un orecchio ridotto in questo stato, lei pensa ancora di assumere un tono dubitativo? Lo sa che questo maledetto orecchio mi sta marcendo?
– Stia calma Nancy, le ho già spiegato diverse volte, che quella situazione è interamente addebitabile a problemi post-operatori, che significa gestione ambulatoriale della ferita…
– Inutile girarci intorno…io i soldi li ho dati a voi. E da voi esigo piena soddisfazione…
– Ma la cura antibiotica la sta facendo?
– Lasci stare l’antibiotico, dottore… glielo anticipo verbalmente poi ci penseranno gli avvocati: io ho intenzione di chiedere 500.000 dollari di danni a lei e allo studio. Ho già perso due scritture, per questo dannato orecchio, chiaro?
– Mi scusi Nancy… ma proprio non riesco a trattenermi oltre. Se lei ha già deciso di procedere, la questione passa ad avvocati e assicuratori.
– Vada al diavolo. Avrei dovuto esigere un chirurgo americano fin dall’inizio…
– Arrivederci, Nancy… mi scusi ma devo proprio mettere giù.

Mentre parlava un gabbiano si era fermato per qualche secondo sul davanzale e lui gli aveva sorriso. Com’era fortunato quel pennuto; nessuno voleva niente da lui. Si strofinò la faccia, come a spremere via la stanchezza e la confusione dalla sua testa. Chiamò la segretaria e chiese se avesse prenotato il volo, poi uscì senza salutare nessuno, scese nel grande garage interrato, in cui ancora gli capitava di smarrirsi, montò sulla sua Toyota e corse verso Spring Garden, il sobborgo dove abitava, a circa un’ora da lì. Durante il viaggio non riusciva a focalizzare nessun pensiero, tutti gli sfuggivano davanti come gli svincoli, le sopraelevate e i quartieri che si lasciava alla spalle. Arrivò e parcheggiò l’auto nel suo curatissimo vialetto. La casa era vuota, fortunatamente. La bambinaia era andata a recuperare le piccole a scuola, mentre la moglie era nel suo prezioso ambulatorio, da cui non sarebbe tornata prima delle 20. Si guardava intorno stranito, continuando a stringere le chiavi di casa nel pugno; le foto di tutti i familiari ammiccavano dalle mensole e lungo le pareti bianche, come una finzione di felicità. Tra poco avrebbe dovuto essere in aeroporto, non c’era il tempo di rimuginare, ma i dubbi lo maceravano impietosamente.

– Cosa ci sarà in quella lettera? Cosa voleva il vecchio cheick da questo chirurgo plastico imbolsito, da questo figlio in eterna fuga? Forse lo imparerò al ritorno. Forse non è quello che crede mio fratello. Nessuno vuole quell’eredità. Tutti sperano che tocchi a qualcun altro. E mia moglie? Cosa devo fare con mia moglie? E Murray, col suo maledetto studio? Dio mi aiuti. La testa mi scoppia.

Aveva già tirato fuori la valigia e l’aveva appoggiata sul letto, quando sentì suonare al citofono. Non stette troppo a pensarci e scese veloce ad aprire. Un presentimento vertiginoso lo fece traballare lungo le scale. Appena aperto il cancelletto, la prima cosa che vide fu la scritta sul giubbino arancione dell’uomo: FedEx. Il corriere era davanti alla sua porta. La lettera da Istanbul era finalmente arrivata. Firmò, con la mano un po’ tremante e la prese in consegna. Riconobbe persino la calligrafia ordinatissima di sua sorella Fatima, che aveva personalmente compilato il talloncino del pacco. I brividi gli correvano su e giù lungo la schiena. Avrebbe potuto rifiutarla, quella lettera. O farla in mille pezzi. Si, sarebbe stata una soluzione possibile; se nessuno aveva letto quella lettera, eliminandola si sarebbe semplicemente fatta sparire ogni traccia di quell’eredità. Del resto è legittimo rifiutare un’eredità. Conosceva anche qualcuno che lo aveva fatto, magari per ragioni fiscali. Perché non poteva anche lui sottrarsi a quel lascito non richiesto? Se avesse fatto a pezzettini quella lettera, chi avrebbe potuto reclamarne il contenuto? La teneva in mano e la soppesava, senza decidersi ad aprirla. Forse là dentro c’era il suo destino, leggerissimo, appoggiato sul palmo della sua mano.

Rientrò nella villetta, appoggiò delicatamente la busta sul tavolinetto, slacciò la cravatta e si accasciò sul divano. Non ci fu bisogno di aprirlo, quel messaggio. Sapeva perfettamente cosa fosse. Guardò di nuovo le foto delle bimbe e della sua bella moglie americana, che troneggiavano intorno a lui; e i mille piccoli segni dell’eccellenza, di quei dieci anni di insediamento americano – quadri, mobili bianchi, attestati professionali. Tutto sembrava vacuo, trasparente, inconsistente, fatto della stessa materia dei sogni. Quella vita era stata una parentesi sognata – né brutta né bella, solo passata e ormai lontana.

Accettava l’eredità. Non sarebbe stato neanche possibile immaginare il contrario. Toccava a lui. Sarebbe stato il ventisettesimo successore del venerato lignaggio Saiddya. Il dott. Omar Beloglu, stimato chirurgo americano, era morto esattamente nel momento in cui un anonimo fattorino FedEx aveva suonato a quel citofono. Il lignaggio era salvo. Della casa, della moglie, persino delle bambine, non era il momento di occuparsi. Il nuovo cheik doveva correre al capezzale del suo predecessore, onorarlo e raccogliere il suo bastone. L’aereo sarebbe partito fra quattro ore.

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