di Iuri Lombardi

Mi sono trovato più volte a parlare dello Spurio letterato, sia dello studioso sia del saggista e del narratore, ma con entusiasmo per la prima volta lo affronto da poeta. E lo faccio nell’occasione dell’uscita della raccolta Il restauro delle linee (edizioni Ensemble, 2021). Un lavoro questo che raccoglie in sé il miglior Spurio come poeta. Ma subito mi sorge una domanda al cospetto di questa mia riflessione: Che poeta è Lorenzo Spurio.
La risposta penso sia contenuta nella prefazione all’edizione della poeta Michela Zanarella che lo definisce – e mi trova d’accordo- un poeta sperimentale.

Nel senso che a Lorenzo piace adoperarsi con il linguaggio e nelle sue fatiche letterarie, che sono sempre un cantiere aperto, diventa non solo materia d’indagine ma qualcosa di fisico. D’altronde stando alla tradizione a noi coeva la fisica stessa si divide in due distinti filoni: da una parte la tradizionale e dall’altra la quantistica. Lorenzo, che da anni conosco personalmente, è un quantista sotto questo aspetto. Lo è perché tratta ogni singola parola come fosse un quanto di luce, un quanto da analizzare tramite la lente della poesia. Si tratta di elementi, di germogli linguistici di gerghi, locuzioni, interpunzioni che poi lui, con maestria, cuce, assembla facendo di ogni lavoro un mosaico. Uno sperimentatore dunque che si muove nel nostro tempo, lontano dai cliché delle avanguardie però, sia di quelle storiche sia quelle della seconda metà del secolo scorso. In Lorenzo non c’è l’ombra di uno sperimentalismo fine a se stesso, autoreferenziale, troviamo invece il movente, il trampolino di lancio per mettere in piedi una seria analisi del e sul linguaggio. Poeta ermetico dunque? Neppure, lontanissima per noi come per lui la stagione dello Ermetismo. Meglio parlare – a mio avviso- di post-modernità, di essere somigliante per assonanza a diversi autori del suo tempo ma non di essere affine ad altre dimostrazioni poetiche lontane dal nostro presente. Autori che hanno sperimentato con il linguaggio mantenendosi lontani dalle avanguardie (per fortuna!), autori, scrittori, poeti, musicisti, cantautori – il panorama di riferimento di Spurio, un pozzo inesauribile di sapienza- che con onestà intellettuale hanno fatto del linguaggio materia di indagine. E allora, appurato questo, come non ricordarsi dello Egitto prima delle sabbie di Franco Battiato, che a metà degli anni settanta proponeva in un vinile lo studio diretto del linguaggio del suono. Il restauro delle linee di Lorenzo Spurio va dunque verso questa direzione, attinge a certi autori e con una certa musicalità. Il poeta jesino è infatti più vicino per sintonia letteraria a certi lavori di Panella rispetto ai detti ermetici. I testi di Lorenzo, l’utilizzo del linguaggio come corpo, come indagine di vita e ontica ricordano il Panella dell’ultimo Battisti quello di Hegel, C.S.A.R, Don Giovanni, dove alcuni parlarono erroneamente di ermetismo. Non si tratta di essere ermetici, non si tratta di essere così impliciti e introversi con le parole, si tratta di giocare con il linguaggio. Il poeta lasciamolo divertire e come diceva Palazzeschi a lui è data la ludicità del verso, della parola. Questo lavoro del critico e poeta marchigiano ricorda certe sperimentazioni della linea lombarda, di Sereni, ad esempio, ricorda più da vicino versi di Beniamino Del Fabbro, altro grande giocatore del linguaggio.

Detto questo, subito dopo viene la musicalità e la profondità dei versi dello jesino. Una musicalità innata che sta nel ritmo della versificazione, nella scelta delle parole. Ogni parola di Lorenzo non è solo un quanto di luce, ma un vero elemento che assemblato con altri elementi viene a reggere il mosaico.
Si tratta di un affresco che solo nella materia trova una sua ragione e la materia impiegata è il linguaggio stesso; attraverso la cifra linguistica, mediante la scelta dei termini, delle singole locuzioni si compie il miracolo poetico. L’acqua si trasforma in vino, vengono disposti sulla mensa del lettore i pani e i pesci divisi equamente. Palesandosi ciò Spurio ci trasporta nella sua poesia musicale, nel suo mondo interiore fatto di possibilità, di intenti, di chimere, ma anche di vita vera, di progetti.

Il giocare con il linguaggio porta dunque a fare di ogni testo della raccolta una istantanea precisa del momento. L’io del poeta è un moto di impazienza, si muove nello spazio e nel tempo della propria stagione storica, consapevole che la poesia contemporanea non ha e non può avere posteri: è la poesia dell’oggi. E nelle diverse e singole poesie che compongono il libro, non è un caso che ce ne sia una dedicata a un grande – forse il più alto- sperimentatore del linguaggio Andrea Zanzotto. Un poeta a cui Lorenzo per la peculiarità che dicevo prima si sente affine, molto vicino se non storicamente per sintonia elegiaca.

Infine, parlando dell’ossatura dell’opera non può mancare l’attenzione al registro metrico. L’utilizzo del verso lungo, epico, oramai frequente ai poeti della nuova generazione, è impiegato per distendere la narrazione. Non usando – che pur ci sono in casi isolati- l’utilizzo dell’endecasillabo tradizionale questo permette a Spurio di poter narrare, di poter emettere il suono della singola parola e comprenderne l’eco.
Tuttavia, come sostiene Zanarella nel suo intervento di prefazione al libro, lo scrittore jesino ha una sensibilità sua nel ristabilire il mondo, di dare anima alle piante ai fiori, agli albero, all’erba dei prati. Ecco che allora emerge l’attenzione per il floreale, per la natura che l’autore attinge per sintonia da Garzia Lorca, suo poeta di riferimento, suo mentore artistico. E da Lorca apprende appunto tutto un mondo interiore, un modo di percepire la sensibilità poetica.

Insomma, ancora una volta ci troviamo davanti a un lavoro particolare che si distingue per autenticità sperimentale nel panorama letterario contemporaneo e che fa di Lorenzo Spurio un giocoliere scaltro della nostra civiltà letteraria.