di Sandro Moiso

In assenza di più vaste mobilitazioni contro la guerra, che non siano soltanto per implorare la “pace”, fa bene notare e ricordare che uno dei settori del mondo del lavoro più impegnati contro la guerra e i suoi catastrofici effetti sociali ed economici è quello del trasporto ferroviario e marittimo.
Non soltanto qui in Italia dove una significativa manifestazione in tal senso si è svolta a Genova, indetta dai portuali, ma anche in Giappone e in Corea, dove sono stati i ferrovieri a promuovere una risoluzione contro il riarmo giapponese su larga scala. Risoluzione che sottolinea come la guerra iniziata in Ucraina stia trascinando il mondo intero nel vortice della guerra. In cui l’amministrazione statunitense di Biden, mano nella mano con l’amministrazione giapponese di Kishida, intende scatenare una guerra contro la Cina e la Corea del Nord.

Lo scorso dicembre l’amministrazione Kishida ha deciso di stanziare oltre 43 mila miliardi di yen (300 miliardi di euro) in cinque anni in un gigantesco programma di riarmo destinato da un lato a calpestare la vita e le condizioni di lavoro dei salariati e dall’altro una guerra contro la Cina anche a costo di centinaia di migliaia di morti e feriti. Mentre nel bel mezzo di questa situazione, il presidente coreano Yoon Suk-yeol ha attuato una straordinaria repressione nei confronti della KCTU (Confederazione coreana dei sindacati) attraverso la legge sulla sicurezza dello Stato.

Il governo giapponese sembra in questo modo voler cancellare senza vergogna il fatto che l’imperialismo giapponese ha una storia di annessione della Corea e ha posto la Corea sotto una dura dominazione coloniale e anche che l’invasione imperialista giapponese si estese alla Cina e ad altri Paesi asiatici, privando della vita 20 milioni di persone. Oltre che l’oltraggiosa storia dell’arruolamento dei coreani per lavori forzati di guerra. E proprio per questi motivi i ferrovieri giapponesi del sindacato nazionale ferrovieri di Chiba (Doro Chiba) e coreani del Sindacato dei ferrovieri coreani (sede regionale di Seul) si sono impegnati ad unirsi a lottare contro il riarmo.

Mentre in Grecia, ad Atene e Salonicco soprattutto ma anche a Patrasso e in altre città, le violente proteste di piazza scaturite dal grave incidente ferroviario del 28 febbraio in cui hanno perso la vita 57 persone, in prossimità della città di Larissa sulla tratta Atene-Salonicco, hanno visto la partecipazione di almeno 50.000 manifestanti e lo sciopero di 24 ore indetto dalla Federazione ferroviaria panellenica (Pos).

“La mancanza di rispetto mostrata nel tempo dai governi nei confronti delle Ferrovie greche ha portato al tragico risultato di Tempi. Purtroppo le nostre continue richieste di assunzione di personale a tempo indeterminato, migliore formazione, ma soprattutto l’applicazione delle moderne tecnologie di sicurezza, vengono gettate nel cestino” Ha affermato il Pos nel suo comunicato. Concludendo poi, ancora: “Oggi la famiglia Railway è più povera. Oggi la Grecia è più povera. Il giorno dopo il disastro è un giorno di riflessione e di lutto per i nostri colleghi perduti”.

Tutto ciò per sottolineare come il settore dei trasporti e della movimentazione delle merci e delle persone, proprio per la sua funzione strategica sia in tempo di pace che di guerra, abbia da sempre rappresentato e ancora rappresenti un settore vitale e di punta delle lotte dei lavoratori. Per questo motivo hanno fatto bene i compagni della CUB Rail a diffondere nel corso degli ultimi anni una serie di opuscoli, usciti come Quaderni di «CUB Rail Wobbly» (giornale di collegamento tra i ferrovieri), destinati a ricostruire alcuni momenti salienti di queste lotte, a cavallo tra XIX e XX secolo, sia in Italia che all’estero e, nello specifico, negli Stati Uniti.

Opuscoli la cui stesura non è stata affidata a ricercatori o studiosi di ambito accademico, ma quasi sempre al lavoro militante di chi lavora e studia la storia della classe di cui fa parte. Motivo che rende tali pubblicazioni da un lato più accessibili al comune lettore e, dall’altro, più libere di esprimere giudizi, anche storici, più apertamente classisti cosa che, non dimentichiamolo mai, non vuole dire per forza “più ideologizzati”.

Il secondo di tali Quaderni, purtroppo al momento non disponibile poiché esaurito, era infatti dedicato al 1877 La grande insurrezione dei ferrovieri statunitensi (CubRail quaderno 2, Milano, 15 dicembre 2015). Come si afferma nella prima pagina del testo:

Nel centro di molte città americane sono posizionati grandi arsenali, tetri edifici di mattoni e pietra risalenti al XIX secolo. Sono fortezze con tanto di massicce mura e feritoie per le armi. Qualcuno potrebbe chiedersi cosa ci facciano in quei luoghi, ma probabilmente non gli sarà mai venuto in mente che vennero costruiti per proteggere l’America non già da un’invasione esterna, bensì contro le rivolte popolari interne. Essi rappresentano un monumento alla grande insurrezione del 1877.

Il testo, che è la traduzione ampliata dai curatori di un testo di Jeremy Brecher1 già comparso alla pagina internet Libcom.org/history/great-upheaval-1877.jeremy-brecher, oltre a ricordarci che fin dagli albori dell’impero americano gli Stati Uniti furono percorsi da vaste ondate di lotte e sollevazioni proletarie, quasi sempre armate, che ben poco hanno da invidiare alla tradizione del movimento operaio europeo, ci rammenta anche che una lotta condotta con decisione e in autonomia di classe può arrivare a stravolgere l’ordine del capitale e dei suoi funzionari in armi e in marsina.

Il luglio 1877 in molti libri di storia non rientra affatto tra le date memorabili; eppure segna il primo grande sciopero di massa degli Stati Uniti, un movimento considerato come una vera e propria ribellione violenta. Gli scioperanti bloccarono e s’impadronirono della più importante industria d’allora della nazione, le ferrovie, le masse sconfissero – o, in ogni caso riuscirono ad avere la meglio – prima sulla polizia, poi sulle milizie statali ed in alcuni casi anche sulle truppe federali.
Lo sciopero generale paralizzò tutte le attività in una dozzina di grandi centri, e gli scioperanti presero la gestione diretta di varie comunità sparse per tutto il paese.
Tutto ebbe inizio lunedì 16 luglio nella cittadina di Martinsburg, West Virginia. Quel giorno la compagnia Baltimore and Ohio Railroad aveva effettuato l’ennesimo taglio dei salari:; si trattava del secondo taglio in otto mesi2.

Lo sciopero derivatone e che andò avanti per alcuni mesi allargandosi, come si diceva prima, a numerose altre città americane, tra le quali, prima di tutte, Philadelphia in cui il governo fu costretto ad inviare un numero rilevante di soldati muniti di 30 pezzi di artiglieria per sedarlo, costituì alla fine un fallimento ma, allo stesso tempo, rivelò il potere che possedevano i lavoratori delle ferrovie di bloccare il traffico su molte linee, anche per molti giorni consecutivi.
Per la prima volta si scopriva la mobilità come arma vincente degli scioperanti, cosa che rendeva chiaro che uno sciopero dei trasporti non può mai essere considerato soltanto locale, come invece può succedere con quello di una fabbrica.

Il terzo quaderno si occupa ancora degli Stati Uniti, Lo sciopero di Pullman3, e precisamente dello sciopero iniziatosi negli stabilimenti della Pullman Palace Car Company, fabbrica di Chicago costruttrice di tram, vetture letto e carrozze ristorante che occupa 50 mila dipendenti e che vede crollare gli ordinativi a seguito del “panico del 1893”, che era ancora parte di quella “Grande depressione” che durava ormai da vent’anni essendo iniziata con il “panico del 1873”.

Il proprietario, George Pullman, taglia i posti di lavoro e salari, aumenta gli orari di lavoro fino a 16 ore giornaliere, e gli affitti e i prezzi dei generi di prima necessità nella città dello stesso nome, alle porte di Chicago, in cui vivono come in un classico villaggio operaio i dipendenti della ditta stessa.
Per sviluppare la lotta contro tale decisione i rappresentanti degli operai si rivolgeranno all’American Railway Union (ARU) un sindacato di ferrovieri che, fondato a Chicago con l’intento di unificare i ferrovieri dispersi in dodici confraternite di mestiere, aveva avuto il suo battesimo del fuoco con la lotta, coronata dal successo, contro la Great Northern Railway, e che nel giro di quindici mesi era riuscito ad avere 45 sezioni locali cui aderivano 150mila ferrovieri.

Non si trattava dunque di un sindacato di fabbrica, ma sfruttando il fatto che Pullman era anche proprietario di alcuni chilometri di ferrovia, e poiché il nuovo sindacato offriva più garanzie e speranze delle confraternite di mestiere dei costruttori treni, il trenta per ceno degli operai di Pullman chiesero l’iscrizione allo stesso. Bell’esempio di collegamento di classe , anche tra settori apparentemente diversi.

Per il 26 giugno 1894 viene fissato l’ultimatum da parte di lavoratori per iniziare la tratattiva con il proprietario, ma ancor prima dello scadere dell’ultimatum si registrano blocchi della circolazione a La Salle; i ferrovieri di Des Moines, Rock Island, della Grand Trunk Railway, della B&O sono pronti alla lotta.

Quando il primo manovratore che a Chicago si rifiuta di agganciare una carrozza Pullman a un treno viene licenziato, scatta l’azione preventiva: in appoggio al primo licenziato e agli operai di Pullman i ferrovieri delle varie compagnie si rifiutano di manovrare treni che abbiano in composizione le vetture Pullman.
In breve lo sciopero dilaga dappertutto. Il 27 giugno scioperano 5mila ferrovieri. Il 28 giugno 40mila, ad ovest di Chicago il traffico è paralizzato. Martin Elliott, dirigente dell’ARU, dichiara sciopero a St. Louis; 80mila lavoratori incrociano le braccia. Il 29 giugno sono 100mila. Il 30 giugno il numero degli scioperanti sale a 125mila, sono 29 le compagnie ferroviarie coinvolte. Presto il numero degli scioperanti salirà a 250mila, con 27 stati dell’Unione coinvolti; considerando tutti i settori che entreranno in lotta la cifra degli scioperanti si fisserà a 660mila. Sei su dieci ferrovieri e degli operai ferroviari in sciopero si sono iscritti all’ARU.
Traffico paralizzato da Chicago a San Francisco; azzerati i trasporti di cereali, ortaggi, frutta, carne; fermo il servizio postale della US Mail, fermi tutti i treni che hanno in composizione vetture Pullman […] Nella settimana fino al 30 giugno su dieci linee ferroviarie di Chicago erano state trasportate 42.892 tonnellate di merci verso est; la settimana successiva erano scese a 11.600; Baltimora & Ohio 52 tonnellate; Big Four Railroad: zero. E così via. I principali quotidiani parlano della più grande battaglia tra capitale e lavoro mai svoltasi negli Stati Uniti e gridano all’insurrezione4.

Ance questo sciopero finirà con una sconfitta e per giungere a ciò, ancora una volta il capitale farà ricorso all’intervento delle forze armate, all’arresto dei dirigenti dell’ARU, che sarà sciolto nel 1897 da Eugene Debs che era tra questi e al licenziamento degli scioperanti delle singole imprese sostituendoli con personale non sindacalizzato. Mentre la Pullman compilava “liste nere” coi nomi degli scioperanti che vennero inviate alle compagnie ferroviarie affinché non fossero più assunti i rivoltosi. Per festeggiare la repressione dello sciopero e diffondere la “pace sociale” il presidente Cleveland e il Congresso approvarono il Labor Day come festa nazionale da celebrarsi il 1° settembre di ogni anno. Ma rimane ancora un gigantesco esempio del perché alla classe e alla sua unità serva, per identificarsi e riconoscersi in antitesi al capitale, la lotta, quella che ancora oggi spaventa e terrorizza padroni, Stato e sindacati istituzionali.

Parlando di lotte, e arrivando finalmente in Italia, il quarto quaderno di Club Rail Wobbly è dedicato allo sciopero dei ferrovieri italiano del 19205. In questo caso è la storia di una vittoria a tutto campo dopo una lotta durata dieci giorni e che farà scrivere al quotidiano del Partito Socialista Italiano: Lo Stato ha ceduto.

Ma come un’onda che sale e scende di lì a poco, quello stesso Stato si farà fascista, armato contro qualsiasi insorgenza o protesta proletaria e proprio a quest’ultimo tema è dedicato il sesto dei quaderni6.

I nemici dello Stato, i fannulloni e gli incapaci non devono rimanere più a lungo nell’amministrazione. Il giudizio sull’incapacità e sullo scarso rendimento è giudizio meramente di fatto […] chi risulterà aver partecipato in qualsiasi modo a quell’opera deleteria di sobillazione delle masse, di istigazione continua agli scioperi, che per poco non valse a condurre il nostro Paese a irreparabile rovina, dovrà senz’altro essere allontanato. La presenza di questi elementi infidi negli uffici e nei servizi costituisce un pericolo permanente che deve essere inesorabilmente eliminato al più presto. Tali agenti sono a ritenersi di scarso rendimento7.

44mila furono i ferrovieri licenziati dal regime e questo, più che dimostrare la forza del regime, ne dimostra l’intrinseca debolezza di fronte ad una frazione di classe indomabile e irriducibile, come illustrano le lettere riprodotte dell’opuscolo. Una storia di classe orgogliosa, indipendente e assolutamente da ricordare in funzione di una memoria che va ben oltre quella istituzionale e mummificata che ci viene propinata ogni giorno in funzione di un antifascismo di sola facciata.
Che, tra le altre cose, ha come scopo soltanto quello di spaventare e indebolire l’antagonismo di classe per impedirne qualsiasi sua più energica e determinata reazione contro il capitale e i suoi servi di sempre.

In conseguenza del mio “dimissionamento” sono costretto abbandonare la residenza di Benevento, e con dolore la Rappresentanza del nostro battagliero periodico, che ha reso fiera la categoria di macchinisti e fuochisti e che ancora oggi non ha indietreggiato di un millimetro a sostenere i veri interessi della nostra categoria; e quando la raffica sarà passata, il tempo, che è il più perfetto galantuomo, dirà che la categoria dei Macchinisti e Fuochisti è sempre «In Marcia!».
(15 settembre 1923 – Gennaro Piccardi, Macchinista)

In un’epoca in cui la circolazione delle merci si è fatta sempre più frenetica ad opera della cosiddetta “globalizzazione”, le lotte nel settore dei trasporti e della logistica sono diventate ancora una volta non solo centrali ma, a tratti, addirittura esiziali nella definizione sia dei profitti del capitale che della funzione offensiva dell’iniziativa dal basso, come ha sottolineato in un recente testo, Riot. Sciopero. Riot, l’americano Joshua Clover8.
Per questo motivo l’iniziativa portata avanti dai Quaderni di Cub Rail si rivela certamente di grande importanza nel risollecitare le memorie delle lotte del passato e l’arco di esperienze che ancora possono ricollegarsi a quelle del presente e del futuro.


  1. Già autore di un testo fondamentale sulla storia del movimento operaio americano: J. Brecher, Sciopero!, 2 voll., La Salamandra, Milano 1976 (ed. originale americana 1972)  

  2. 1877 La grande insurrezione dei ferrovieri statunitensi, op. cit., p. 2.  

  3. Quaderno Club Rail Wobblyb 3, Milano, 4 ottobre 2017  

  4. 1894 Lo sciopero di Pullman, op. cit., pp. 5-6.  

  5. 1920 Quei nostri giorni meravigliosi. 20-29 gennaio. Il grande sciopero dei ferrovieri italiani (contenente la ristampa anastatica di «In Marcia!» del febbraio-marzo 1920), Milano, il cui testo è estratto da Giorgio Sacchetti, Il Sindacato Ferrovieri Italiani durante il “Biennio rosso”, in Il Sindacato Ferrovieri Italiani dalle origini al fascismo 1907-1925, a cura di M. Antonioli e G. Checcozzo, Unicopli, Milano 1994, pp. 241 e ss.  

  6. 1922-1924 Né domi né vinti. Lettere dei ferrovieri licenziati politici, Introduzione di Giorgio Sacchetti, Quaderno 6 Club Rail Wobbly, Milano (contenente la ristampa anastatica del N.2 – Febbraio 1923 di «In Marcia!» Organo dei macchinisti fuochisti e affini).  

  7. Circolare dall’Alto Commissario per le Ferrovie indirizzata ai presidenti delle commissioni centrali e compartimentali di esonero in applicazione del Regio Decreto 28 gennaio n. 143 art. 3 comma a, ora in 1922-1924 Nè domi né vinti. Lettere dei ferrovieri licenziati politici, op. cit., p. 19.  

  8. A cui si rimanda qui