di Sandro Moiso

Diego Gabutti, Ucrònomicon. Ovunque e quandunque nel multiverso, WriteUp Books, Roma 2022, pp. 208, 21,00 euro.

Sono poco meno di 380 le ucronie esplorate e rivelate dal testo di Diego Gabutti, recentemente dato alle stampe dalla WriteUp Books. Un numero sufficiente per destare l’attenzione di chiunque sia appassionato o si interessi di letteratura fantastica o fantascientifica, anche se non tutte quelle contenute e riassunte nel volume provengono dalla penna di autori rinviabili alla paraletteratura o letteratura di genere.

Oltre ad autori come Harry Turtledove (un vero specialista del genere ucronico), Philip Josè Farmer, Michael Moorcock o Robert Heinlein, solo per citarne alcuni, possiamo trovare infatti Luciano Bianciardi (con le sue cronache garibaldine frammischiate a quelle delle proteste di piazza degli anni Sessanta), William Burroughs, Guido Morselli, Michel Houellebeq, Philip Roth, Winston Churchill (sì, proprio quello) e molti altri ancora che hanno scelto di parlare del proprio tempo magari immaginandone un altro, dalla storia pregressa o futura decisamente diversa e “impensabile” secondo gli standard di ciò che è stato acquisito come verità immutabile..

In cosa consiste in fin dei conti l’ucronia se non nell’immaginare tempi e modi di una Storia che non è mai stata, ma che avrebbe potuto essere. L’ucronia può infatti essere definita come una presentazione di eventi coerente, ma ipotetica, simulata sulla base di dati non realistici. Una “non storia”, come la battezzò Charles Rouvenier nel 1857, per metterla in rima con la parola coniata da Tommaso Moro nel 1516; utopia o “non luogo”. Un non luogo temporale che potrebbe aver sostituito, in altre dimensioni o in uno o più universi paralleli, la nostra realtà e le interpretazioni a posteriori che di questa sono state date.

Una Storia, ci dice Gabutti, fatta con i se piuttosto che con la documentazione storica, scritta e “certificata”, con cui è stata ricostruita la nostra, antica e recente.
Per questo l’autore divide meticolosamente l’antologia di autori, citazioni e riflessioni in una serie di capitoli (denominati Divergenze)che vanno Dal Big Bang (ma anche prima e di lato) al primo anno dell’era cristiana (prima “divergenza”) all’Anno Duemila e dove chissà (undicesima e ultima divergenza) passando per Crociate, Jihad e la scoperta di molte Americhe, Fine Ottocento e ancora le macchine a vapore parallele e Guerra fredda e rock’n’roll, per citarne solo alcuni a caso.

Metodo che permette al sempre ironico e smaliziato autore di mettere in evidenza come un po’ tutta la Storia sia fatta coi se, considerato il fatto che tutte le grandi (?) ideologie e i loro derivati, dal cristianesimo al marxismo, stalinizzato oppure ortodosso (aggettivo sempre estremamente ambiguo), fino al liberalismo o al fascismo e al nazismo, l’hanno prima di tutto interpretata e spiegata ancor prima che ricostruita “fedelmente”. Per annunciare tanto il socialismo in un solo paese e l’avvento dell'”uomo nuovo” sovietico quanto il Reich Millenario o la stessa “fine della Storia” per merito del liberismo globalizzante.

L’assunto teleologico di ispirazione giudaico-cristiana ha infatti finito col dominare la visione del tempo, del suo divenire e della sua o del suo fine. Trasformando lo scorrere, spesso disordinato e casuale, degli eventi in un motivato, ineluttabile e certo percorso per il raggiungimento di obiettivi sovra-determinati da un dio, dalla volontà soggettiva (o di una classe), dall’idea hegeliana oppure dallo scorrimento della tettonica a zolle costituita dai rapporti economici di proprietà e produzione.

Negli ultimi due secoli, mentre l’horror film della modernità scorreva macabro e interminabile, con rari intervalli tra un tempo e l’altro per uscire a sgranchirsi le gambe o a fumare una sigaretta, la storia e il potere si sono visti e piaciuti, così hanno stretto un patto d’acciaio, come a suo tempo l’Altissimo e i signori del mondo per diritto divino: il potere gioca la sua partita e gli storici badano a convalidare e anzi a consacrare ogni sua mossa. Da racconto più o meno ordinato degli eventi, un genere letterario come tanti, la storia esige d’un tratto la maiuscola, che subito ostenta come una croce di cavalierato, quindi scolpisce le sue leggi sulla carne viva dei popoli e si autoproclama «scienza»1.

In attesa di eventi “imprevedibili” che possano rimetterla in discussione, insieme ai suoi bonzi, la lettura, possibilmente attenta oltre che divertita, di questo ampio e come al solito, nello stile di Gabutti, implacabile excursus letterario, si rivelerà utile al fine di evitare di prendere troppo seriamente e considerare come verità assolute quelle che potrebbero rivelarsi come nient’altro che ipotesi tra le tante possibili. Insomma soltanto altre ucronie di cui un giorno qualcuno potrebbe ridere (atto che, comunque, se imposto dagli eventi, è sempre più desiderabile di quello di piangere). Buona lettura!


  1. D. Gabutti, Ucronia (o «non storia») versus utopia (o «non luogo») in D. Gabutti, Ucrònomicon. Ovunque e quandunque nel multiverso, WriteUp Books, Roma 2022, p. 15