di Giorgio Bona

È trascorso più di mezzo secolo. Avevo sette o otto anni, non di più. Aprii i cassetti di un mobile nel ripostiglio di casa mia e trovai l’intera collezione dei fumetti de Il grande Blek, che mio padre conservava come una reliquia.

Come tanti coetanei e dintorni, anch’io ero alla scoperta del mondo del fumetto, un viatico per la nostra immaginazione che conduceva alla rivelazione di  un universo che forse avrebbe lasciato un segno nel tempo.

L’ambientazione era quella del Nord America della metà del XVIII secolo, dove una colonia di trapper combatteva contro lo strapotere della corona inglese nella regione dei Grandi Laghi ai tempi delle lotte di indipendenza. Questo manipolo di uomini coraggiosi, abitatori della foresta, temerari come pochi, si sacrificava per una causa giusta: la conquista della libertà.

Il loro capo era un erculeo personaggio chiamato Blek Macigno, aiutato dal giovanissimo Roddy e dal Professor Occultis. Affrontava i suoi nemici a calci e pugni sfruttando la sua poderosa forza, ma era bravo anche a usare il coltello e il fucile dei trapper di marca Kentucky, dimostrando una mira infallibile. Blek era il capo riconosciuto da tutto il popolo dei boschi che si affidavano alla sua guida nella lotta contro i soprusi delle forze militari inglesi, le giubbe rosse, trasformandosi da semplici cacciatori di pelli in patrioti.

Io non so dire se tutti i grandi lettori di un fumetto come questo si possano identificare nel film Il grande Blek di Giuseppe Piccioni del 1987, con un titolo, appunto, che fa riferimento alla passione del giovane protagonista per il mondo dei fumetti e in particolare alla collana degli albi dell’eroe in questione. Allora speravo di veder realizzato sullo schermo un film dedicato all’invincibile trapper, lo immaginavo nelle distese praterie del Canada con paesaggi mozzafiato che avevano sullo sfondo montagne innevate e corsi d’acqua entro verdi vallate. Alla fine degli anni Ottanta Gianfranco Manfredi ebbe la possibilità di una co-produzione con il Canada per realizzare un telefilm su Blek Macigno, ma il progetto per problemi di produzione non andò in porto.

E allora che dire di quei fumetti a stelle e strisce che raccontano un grande periodo della storia di un’America che cerca di scrollarsi di dosso il colonialismo inglese e lo fa attraverso un manipolo di uomini coraggiosi, senza macchia e senza paura? Come i grandi fumetti del dopoguerra, nato nel 1954, Il grande Blek rispecchiò certamente la rappresentazione dell’eroe. Il contesto storico è ben determinato e se l’eroe è quello che deve stare dalla parte dei più deboli, degli oppressi, ecco che il nemico non può che essere la dominazione britannica con i soprusi, le angherie e le violenze di chi spadroneggia. Il fumetto, ideato dal gruppo EsseGesse (sigla che riunisce i nomi dei tre disegnatori Giovanni Sinchetto, Dario Guzzon e Piero Sartoris) nasce negli anni in cui è in corso la ricostruzione del Bel Paese (1954), quando il discorso sulle libertà e i diritti sta alimentando le coscienze. All’interrompersi dei rapporti tra editore e autori (1965), la serie ha ormai un tale successo da poter continuare con altre firme.

Al di là di una certa ripetitività nei temi, storie come queste riescono a essere libere da dimensioni propagandistiche e di pressione psicologica connotanti invece per una parte importante il fumetto degli anni del regime. Tale tipo di vincolo è stato spezzato col dopoguerra, offrendo a questa forma artistica uno slancio sicuramente diverso e aprendo a potenzialità letterarie. Non tanto, ovviamente, nel caso di prodotti popolarissimi come Il grande Blek, e si può discutere sulla considerazione del fumetto come genere propriamente letterario; ma è importante ricordare che all’inizio del secolo scorso, con tutte le ragioni del caso, Paola Lombroso Carrara (1871-1954), figlia del noto Cesare, ebbe la straordinaria idea di dare impulso ai giornali illustrati come strumento di alfabetizzazione dei fanciulli dei ceti più poveri, meno avvicinabili in modo diretto alla letteratura. Nasceva così per esempio il Corriere dei piccoli (1908), coi suoi fumetti.

A distanza di tempo, leggendo qualche episodio de Il grande Blek dopo oltre mezzo secolo viene quasi spontaneo chiedermi: si tratta di un buon medium per la memoria o la conoscenza della Storia? Ma è ovvio che il fumetto rappresenta un mezzo dell’immaginario come lo sono il cinema e la letteratura che alla Storia attingono.

Il west americano con le sue praterie era il luogo deputato dei sogni d’avventura di noi ragazzi, tanto che la frase “Arrivano i nostri”, lanciata dagli spettatori dei film western nelle fumose sale di terza visione o nei cinema parrocchiali agli squilli del terzo reggimento di cavalleria in un insperato intervento di salvezza della carovana attaccata dagli indiani cattivi, era in voga, accompagnata da applausi e urla di giubilo.

Dunque ecco un eroe, Blek Macigno, adattato ad ambienti a noi lontani, sconosciuti alle nostre immaginazioni di bambini e, perché no, degli stessi adulti di quegli anni. E una delicata ironia tutta italiana trapela da questi racconti che stanno attaccati alla Storia come un pesce all’amo, e si differenzia per una sua originalità dai modelli americani. L’eroe protagonista indiscusso nella grande tradizione americana è una figura necessaria al potere politico per costruire la Storia; mentre Blek Macigno rispecchia il mito dell’eroe in versione casareccia, dove comicità e sberleffo sono sempre in agguato per rispecchiare ingredienti che il Bel Paese chiede. Ecco perché la presenza di comprimari come il Professor Occultis con le sue teorie e di Roddy sempre pronto a mettersi nei guai. Ma un eroe sta sempre dalla parte giusta e la parte giusta è quella dei più deboli, degli oppressi e non degli oppressori.

Rileggendo a distanza di tempo alcune ristampe di questo fumetto trovo una notevole analogia con il periodo storico della rivolta dei meticci francofoni in Canada nella prima metà dell’Ottocento. La figura di spicco era Louis Riel (1844-1885), il capo indiscusso dei trapper che organizzò la rivolta e finì successivamente impiccato.

Ora diventa impossibile accostare la figura della fantasia del fumetto di Blek Macigno con Louis Riel. Anzitutto per l’interpretazione offertane da Francis McDonald in Giubbe Rosse, film del 1940 di Cecil DeMille, che aveva protagonista Gary Cooper e racconta con toni romanzati e antifrancesi la ribellione del nord ovest. Poi Blek è l’eroe, il paladino che ci cattura sulla pagina, mentre Riel era un politico, membro del parlamento canadese condannato all’esilio e rientrato dagli Stati Uniti per costruire una repubblica indipendente.

“Gli eroi sono tutti giovani e belli” cantava Francesco Guccini in una sua celebre canzone. Da smentire subito se si pensa all’eroe del cinema western: e mi torna in mente quando Ronald Reagan, attore di film western e non solo, fu eletto presidente degli Stati Uniti (1981). All’ingresso dell’università di Via Balbi, a Genova, tra le tante scritte sui muri ne campeggiava una che colpiva particolarmente: “Reagan cowboy, ritorna con gli eroi”.

Non i nostri eroi.

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