di Franco Pezzini

The Huysmans Zone

(Qui e qui le puntate precedenti)

L’uscita di Là-bas di Joris-Karl Huysmans, 1891 (L’abisso, Lindau, 2019, ma con la traduzione di Annamaria Galli Zugaro apparsa nel 1970 per la sulfurea collana “Olimpo nero” di Sugar), segna il dilagare di una vera febbre satanica tra i lettori. Non si tratta solo della definitiva rottura col naturalismo allo schiudersi di un decadentismo simbolista o dell’itinerario interiore che conduce alla conversione al cattolicesimo: con buona pace della reazione a una volgarità di massa, l’eruzione in letteratura di un occulto che puzza di zolfo e umori sessuali prenderà a intrigare sempre più ampie platee particolarmente – ma non solo – in Francia.

Va detto che una certa diabolicità regna tra i conoscenti del Nostro. Il colto e prolificissimo dandy Jules-Amédée Barbey d’Aurevilly (1808-1889) è autore tra l’altro de Le diaboliche (1874), illustrato dal perverso Félicien Rops (già autore della serie Le sataniche), dove il concetto è espresso in chiave metaforica ma non per questo tranquillizzante, indagando i bassifondi dell’interiorità. Un pupillo di Barbey, Auguste de Villiers de L’Isle-Adam (1838-1889) cerca quasi col lumicino storie terribili e Racconti crudeli (così una sua raccolta 1883, seguita dai Nuovi racconti crudeli, 1888) oltre a portare in scena tra i romanzi il bizzarro Eva futura (1886), nel segno di uno scientismo cupo e misogino: in una versione contraffatta e decaduta dell’Eden, uno stregonesco Edison dona un androide femmina al protagonista Lord Ewald. Un altro affezionato discepolo di Barbey è Léon Bloy (1846-1917) che tra carnalità assortite e impennate mistiche partorisce Storie sgradevoli (1894) dai connotati spesso neri. C’è poi Jules Bois (1868-1943), giornalista, poeta, critico d’arte ed esoterista, noto per la turbinosa relazione con la cantante Emma Calvé (1858-1942) e per l’altra, gravida di curiose rivelazioni, con la medium Florence Cook (1856-1904), ma anche per i leggendari duelli contro gli occultisti Papus e Guaita, e autore di opere sul paranormale, l’occultismo e il satanismo. O, ancora, lo scrittore, critico d’arte e giornalista Octave Mirbeau (1848-1917), politicamente scorretto e inclassificabile, oggi ricordato soprattutto per il suo romanzo Il giardino dei supplizi (1899), dove due testimoni europei si calano in un inferno di estatica crudeltà, il bagno penale di Canton, e una di loro – l’inglese Clara, sadica e isterica secondo i più vieti stereotipi – gode sessualmente dello spettacolo delle torture tradizionali cinesi. Gran parte di costoro conoscono bene e stimano Huysmans, e almeno alcuni ne condividono il passaggio dall’estetismo a una mistica più o meno estenuata.

Però per venire a lui, e a demonicità più convinte, la vicenda in Là-bas dello scrittore Durtal alter ego dello scrittore, della sua indagine disturbante su Gilles de Rais (il Barbablù storico, che non mogli uccideva ma bambini, nell’ambito di perverse pratiche occulte nel giardino dei supplizi del suo castello) e dell’attrazione magnetica nutrita per quelle torbide vicende dalla dark lady madame Hyacinthe Chantelouve, che diventa amante di Durtal precipitandolo nel sottomondo del satanismo, suscita non solo curiosità e interessi, ma spinte a scrivere su simili temi. Permettendo di mettere a fuoco che simili realtà non si sono esaurite nel Medioevo, ma conoscono seguiti nella Francia moderna (e anzi, si può supporre, offrendo involontariamente spunti). Così, Madame Chantelouve che introdurrà Durtal a una messa nera è ispirata (con qualche tratto della musa Henriette Maillat, 1849-19..?) soprattutto dalla demi-mondaine, scrittrice e satanista Berthe de Courrière (1852-1916), già modella per il busto della “Marianne” al Senato, presentata a Huysmans nel 1889 dall’amico Remy de Gourmont, ma nel 1890 internata per un mese in un ospedale psichiatrico dopo una certa passeggiata seminuda sui bastioni di Bruges (una vicenda che aveva fatto emergere certe prassi bricconcelle legate alle sacrestie), e poi nuovamente nel 1906, stavolta a Bruxelles; mentre il dottor Johannes del romanzo è modellato sul profilo dell’equivocissimo spretato Joseph-Antoine Boullan, coinvolto in una faida magica contro Guaita (o piuttosto il reciproco, Guaita contro di lui). D’altra parte il Gilles de Rais studiato da Durtal, con un piede in Sade e l’altro in Bataille, è provocatoriamente il compagno d’armi della cattolicissima liberatrice nazionale Giovanna d’Arco, proclamata venerabile da Leone XIII nel 1894, beatificata nel 1909 da Pio X, canonizzata nel 1920 da Benedetto XV, e proclamata santa patrona di Francia nel 1922. Per inciso, del 1882 è il dipinto Joan of Arc di Dante Gabriel Rossetti (Fitzwilliam Museum, Cambridge), a documentare l’ingresso della Pulzella nella stessa galleria immaginale vittoriana. In effetti, mistica celeste e mistica infera conoscono strane tangenze, come la stessa svolta di Huysmans testimonierà, ma già Là-bas le trattiene in nuce.

Non stupisce che romanzi di contenuto esoterico/nero più o meno conditi di speziata divulgazione sorgano sull’abbrivo dell’opera, anche a distanza di tempo e con le inevitabili libertà: da The Magician di William Somerset Maugham, pubblicato nel 1908, a The Devil Rides Out di Dennis Wheatley, 1934, entrambi per motivi diversi idealmente a cavallo tra Londra e Parigi, entrambi ispirati da Aleister Crowley ma con Là-bas idealmente alle spalle. Lo stesso The Great God Pan di Arthur Machen (1890; 1894) fu giudicato effetto della febbre satanica di Là-bas, anche se l’autore – che pur frequentava la letteratura francese – non l’aveva letto, e concluse che i critici non avessero letto neanche Huysmans.

Per inciso, anche il successo dell’uso del termine messe nere viene plausibilmente da lui, e Là-bas: un uso spesso estensivo e improprio, come spiegherà lo stesso Crowley accusato a torto di celebrarne, visto che requisito sarebbe la presenza di un prete regolarmente ordinato. Un uso che tuttavia dilagherà: come nel caso delle presunte messe nere citate sui giornali italiani nel 1907 in riferimento al “caso Besson” su nefandezze consumate nel collegio salesiano di Varazze, un caso di pedofilia in ambito ecclesiale complicato pare dalle fantasie di uno studente, che porterà a violentissimi scontri di piazza tra cattolici e fautori di una scuola pubblica e laica (cfr. Pier Luigi Ferro, Messe nere sulla Riviera. Gian Pietro Lucini e lo scandalo Besson, Utet Libreria, 2010); o le messe nere attribuite dalla stampa francese a Jacques d’Adelswärd-Fersen (1880-1923) dopo l’arresto nel 1903 in seguito a composti convivi con efebi seminudi  in forma di tableaux vivants giudicati (anche in seguito al ritrovamento di un teschio e a chiacchiere di vicini) come orge demoniache (sul tema, cfr. il bel romanzo dello stesso Jacques d’Adelswärd-Fersen, Lord Lyllian. Messe nere, Pendragon, 2022).

Fin qui i derivati citati di Là-bas, veri o presunti, sono testi noti: mentre su uno, riemerso con clamore in tempi recenti ma pubblicato inizialmente nel 1921 piuttosto in sordina, la potenza di un lascito può richiedere qualche sottolineatura. Il misterioso Carlo H. De’ Medici è stato – si dice – un colto studioso di esoterismo, e il suo godibilissimo romanzo Gomòria. Racconto magico (meravigliosamente edito da Cliquot, 2018, con le splendide illustrazioni liberty dell’autore) è un tormentone di tutto ciò che l’occulto abbia potuto macchinare, dal patto faustiano ai sistemi per vincere al gioco, dalle profezie sinistre agli pseudobiblia. La chiave per avvicinare il romanzo è stata però colta solo da una parte dei commentatori: certo, si dice, il protagonista Gaetano Trevi di Montegufo è un dandy decadente d’inizio Novecento, a metà tra Dorian Gray e Andrea Sperelli ma in versione malata, nevrotica e malriuscita. L’incontro con la zingarella quindicenne Zimzerla, che lui trasforma per il gusto cattivo e torbido di gettarla poi via, cambia tutto: non si tratta infatti di una qualunque ragazzina infelice ma nientemeno che del demone Gomòria, uso a epifanizzare in forma di donna e non certo garbato e ironico come la Biondetta di Cazotte…

Il fatto è che De’ Medici, pur collocando trasparentemente l’opera nel solco di Là-bas (opera da lui tradotta nel 1929 per Corbaccio) ricorre invece per la struttura all’altro romanzo arcinoto di Huysmans, cioè À rebours, 1884, per Praz il “libro cardinale del decadentismo”: assai più che i citati Dorian Gray e Andrea Sperelli, Gaetano Trevi ricorda il nevrotico Jean Floressas Des Esseintes (a sua volta più o meno ispirato a Robert de Montesquieu, il Charlus di Proust) con la sua biblioteca di testi estremi e le sue allucinazioni. De’ Medici rende Trevi un Des Esseintes malato di occulto nel senso più osceno e disturbante: certo vi mixa anche lacerti di racconti neri dell’ottocento italiano tra ville isolate, boschi, preannunci di morte e naturalmente diavoli, nonché qualche assaggio del quasi coevo feuilleton (per esempio Gaston Leroux L’uomo che vide il diavolo, 1908, in italiano per Galaad Edizioni, 2009) – anzi la struttura un po’ sbilanciata svela la pluralità degli influssi –, ma appunto l’eredità di Huysmans non è avvertibile solo nel tema.

Un primo indizio sta nella “Notula” iniziale, dove De’ Medici cita la Pseudomonarchia Daemonum del Wierus, visionario repertorio demonologico, e in particolare menziona Gomòria,

 

Forte e possente duca del terzo inferno che appare sempre sotto il sembiante di una donna. Invocandolo nelle ore di sconforto e di miseria, risponde facilmente alla congiurazione, aiutando i disperati nella ricerca di tesori nascosti e insegnando la formula che fa vincere a tutti i giuochi.

 

Abilità quest’ultima che l’apparenta alla Biondetta di Cazotte, in cui potremmo dunque riconoscere Gomòria. Avverte comunque De’ Medici: “Per i suoi inestimabili servigi, dice l’egregio Wierus, Gomòria si accontenta, come un buon diavolo qualunque, dell’anima del suo evocatore”. Ma già qui, con un puntuale richiamo libresco tratto dalla biblioteca di Trevi, troviamo, assai più che le ricerche sul campo di Durtal, il mondo di libri commentati di Des Esseintes e le sue nevrosi. E il prosieguo conferma: la sezione prima, “L’uomo”, mostra Trevi nella sua casa-museo di infinite e preziose bizzarrie, di storie collezionate e di sesso estetizzante, con teatri morbosamente a tema, di proclami (“Che schifo, l’umanità!”) congrui a Des Esseintes, di colori profumi gusti e “masturbazione delle facoltà sensitive”. Certo, c’è un corrispettivo in sedicesimo della Chantelouve – Matelda la Rossa, “la donnina più conosciuta e più in voga della città” – e ci sono richiami a Sade e allo stesso Gilles de Rais che strizzano l’occhio a Là-bas: ma persino più forte, anche strutturalmente col ritirarsi di Trevi nella sua proprietà isolata in Maremma (seconda sezione, “La Malanotte”), è il rinvio ad À rebours. Per cui, nell’eco della “Notula” iniziale ma soprattutto della biblioteca di Des Esseintes, in Gomòria compare – forse non casualmente a metà romanzo – la rassegna commentata dei libri rari, qui tutte opere su profezie, stregonerie e diabolismi, seguita dal racconto dalla progressiva deriva di Trevi. Non solo, come in Huysmans, nella nevrosi (o psicosi – da cui comunque, a differenza dell’autore, Des Esseintes non riesce a salvarsi con la svolta esistenziale pure invocata nelle ultime righe) ma nel buco nero dell’anima.

La terza sezione (“Il presagio”) descrive dunque Trevi, arricchito dal gioco in grazia del commercio con le tenebre, e insidiato da fantasmi simili alle allucinazioni dell’antieroe di À rebours, scomparire in ultimo in un desiderio agonico di salvezza parallelo a quello di Des Esseintes. Non so se davvero si possa parlare, come fa la postfazione di Guido Andrea Pautasso fin dal titolo, di Il mistero iniziatico di Gomòria: il rischio di vedere sottotesti esoterici o iniziatici in opere dove l’occulto è più semplicemente il tema e il linguaggio/forma di una narrazione, e il mistero è piuttosto quello letterario, resta sempre presente nei testi “strani” anche solo per contingenze storiche (per esempio qui la vita ritirata e poco nota dell’autore). Ma in ogni caso lo spasmo finale di Gomòria tanto simile a quello di À rebours denuncia un’alchimia d’epoca, quella che conduce dall’estenuazione estetizzante postnaturalistica a una ricerca di salvezza individuale nel grembo della fede cattolica.

E viene il sospetto che questa chiave sia riproposta in chiave sovvertita nel riconvocare Des Esseintes – o meglio la sua stirpe – in una cornice narrativa mitteleuropea molto più tarda ma retroflessa, nello strano romanzo Il conte di Saint-Germain del viennese Alexander Lernet-Holenia, 1948, ambientato negli anni che conducono all’affermarsi del nazismo. Uccidendo un Des Esseintes amante della donna che lui ama, l’industriale Philipp Branis vanifica solo in apparenza una profezia settecentesca (nientemeno!) del conte di Saint-Germain, secondo cui la famiglia Des Esseintes sarebbe sopravvissuta all’impero asburgico. Tuttavia dall’amante la donna – che Branis sposa – è stata messa incinta, e nel contesto turbinoso della finis Austriae la profezia può compiersi. Il romanzo però è sghembo, con temi che restano sospesi e un senso generale un po’ sfuggente: forse Lernet-Holenia si ritrova specchiato nell’esteta nevrotico di Huysmans (“chi una volta ha ‘visto con i suoi occhi la Bellezza’ e sa quanto è brutto il Brutto, diventa vigliacco”, spiega l’agnostico Branis), ma nessun ripiegamento salvifico individualistico sembra più possibile a fronte della provocazione della Storia. In concomitanza con l’Anschluss, mentre “il bastardo” figlio di Des Esseintes cresce, Branis finisce linciato dalla folla filonazista. Ben altri demoni si stanno scatenando sul mondo.