di Gabriele Gallina

Qui la prima parte dell’articolo-

Mito.

“E tutto torna come il più classico dei racconti ciclici, con la chiusura del sipario che ci riporta al punto di partenza, vale a dire alle parole pronunciate in voice over nei primi giri di lancette del pilot: “Il più grande inganno del diavolo è farci credere che non esista. Invece è reale, reale come l’acqua in cui nuotano i pesci. Reale come la finanza che scorre in questa banca. Ho bevuto con lui, ho riso alle sue battute. Ho guardato nei suoi occhi e ho visto la spaventosa oscurità della mia anima, riflessa nella sua.” Morale della favola: il diavolo siamo noi, con il potere, l’odio e i soldi che ne sono la manifestazione”[1].

“In molti episodi la serie sottolinea come il diavolo sia un’entità che fa di tutto per nascondersi in piena vista, e si sa anche che si nasconde nei dettagli. […] Purtroppo, certe immagini e una certa retorica già viste, unite a un contesto d’incertezza socioeconomica e anche psicologica, le tagliano un po’ il fiato. A meno che certi dubbi e certe preoccupazioni che instilla non possano esserci d’aiuto o ispirazione di fronte all’ennesimo scenario finanziario destinato inevitabilmente a crollare”[2].

“La beffa più grande che il diavolo abbia mai fatto è stato convincere il mondo che lui non esiste, e come niente… sparisce. Il presupposto da cui muove Diavoli sembra voler rovesciare la celeberrima sentenza di Roger Kint da I soliti Sospetti. I diavoli esistono e sono in mezzo a noi, siamo noi. “Il più grande inganno del Diavolo non è farci credere che non esista, è lusingarci, per non farci vedere che il diavolo siamo noi.” (cit. dal film)

[…] Complice l’utilizzo abbondante ma ragionato di materiale di repertorio, la ricostruzione di dinamiche ormai storiche ed estremamente complesse assume la chiarezza dell’oggettività di fronte allo spettatore”[3].

Questi tre commenti sono corretti, quanto all’interpretazione degli aspetti manifesti offerti dalla vicenda narrata, non lo sono, però, quanto ai suoi, ben più importanti, aspetti “latenti”. Poiché la realtà delle cose è immensamente più sottile di quanto una critica che si occupi di redigere un mero commento protocollare, e non sia dunque analisi immanente del contenuto complessivo dell’oggetto, ossia di ciò che in quest’ultimo è più di ciò che esso mostra d’essere quanto alla sua mera configurazione cosale, possa anche soltanto immaginare.

Se il curioso giudizio fornito dal terzo estratto ci mostrerebbe piuttosto quanto l’inganno storico alberghi indisturbato nell’occhio di chi scrive, poiché egli giunge a ribadire che ciò che viene rappresentato possiede, per lo spettatore, perfino i caratteri di una “chiara oggettività”, nondimeno l’affermazione -che fonde il suo giudizio con quello proposto nel primo estratto, nonché con l’esplicito messaggio lanciato dal protagonista della serie- circa l’identità tra l’uomo e il diavolo (il diavolo siamo noi), è vera e falsa al tempo stesso. Vera, di nuovo, limitatamente alla falsa coscienza -coerente questa col proprio auto-inganno- proposta nella e dalla serie; falsa, però, poiché la verità non è tanto che i diavoli siano loro, noi stessi o simili facezie bensì, piuttosto, che il diavolo -se così si vuole chiamarlo-, è la stessa vigenza che non soltanto incede imperterrita ma, per di più, tende a trasmettere una impressione che è già lo stampo cifrato affinché ogni suo effettivo avanzamento venga percepito come l’unica strada praticabile: la vittoria stessa del buon senso.

Inoltre, diversamente da ciò che ritiene il secondo commentatore, proprio il volto sì tedioso ma familiare del già noto si rivela tra gli strumento più utili a far passare surrettiziamente, giacché introduce quanto più spontaneamente con tanta maggiore profondità nella percezione, in generale, elementi nuovi da esso celati, in questo caso particolare, invece, l’intervento di Draghi che viene presentato come risolutivo. Infatti, semmai esiste un dettaglio dove si anniderebbe il diavolo piuttosto che dio, in questa evenienza è da ravvisare nell’uso -scaltro- di quello come Deus ex machina.

Quello del Deus ex machina va qui considerato come un espediente formale che ha a che fare con la strutturazione del racconto, ai fini di un felice svolgimento della trama; che ha a che fare, in altri termini, col suo modo, col suo “come” ancor più che col suo “che cosa” ma che, al contempo, nondimeno possiede un valore contenutistico.

Infatti, proprio la leggerezza con cui tale contenuto viene, per così dire, naturalmente incastonato nella forma fa di essa il suo miglior veicolo, sicché un tale contenuto così sedimentato possa strizzare l’occhio a ciò che, ad oggi, è divenuta la trama stessa della vigenza. L’apparente neutralità della strutturazione formale conferisce, a sé medesima come all’intero prodotto, quella spontaneità che solamente è capace di esibire la storia come natura.

Non si tratta qui di mettere in atto qualcosa come una lettura “complottista”, benché le accuse in questo senso risulterebbero tanto semplici da formulare quanto lontane dal loro eventuale bersaglio; bensì del tentativo di rilevare quella logica non detta e ciononostante implicita alla procedura tecnico-compositiva di questa serie TV; quindi dell’intercettazione di modalità operative di coscienze reificate le quali, come sprofondate in un sogno, pure imprimono sulla viva carne della realtà il marchio di un non meno sognante mondo del dominio.

Tra i personaggi, quanto allo sprigionamento del significato ultimo della serie, il protagonista è forse il meno essenziale, checché la notevole interpretazione dell’attore abbia certo contribuito al suo successo. Viceversa, l’unico personaggio, per dir così, puro della vicenda è da ravvisare nell’attivista Sofia, divenuta tale per vendicare il fratello suicidatosi in seguito ad un crack finanziario che infine si scopre esser stato causato dal protagonista stesso. Proprio poiché innocente, ella è nondimeno destinata a soccombere, e la sua morte può esser vista come il controcampo dell’espediente Deus ex machina. Con questa viene sigillato, infatti, il cerchio dell’effettivo contenuto-sociale della rappresentazione: quanto più la scure del giudizio si abbatte violentemente nei confronti della finanza, tanto maggiormente viene, di rimando, celebrata la linea politica cristallizzata nel tempestivo gesto di Draghi.

            Solo in questo modo l’arte servile può svolgere le ultime due funzioni evocate in precedenza. Se il contenuto sociale della vicenda fa sapientemente piazza pulita delle vecchie ideologie e dei suoi rivali, segnatamente di quella sfacciata della capital finanza e dei movimenti anarchici, pure contribuisce alla creazione di un nuovo mito, al contempo nazionale, come si è cercato di mostrare, e globale, perché la nuova linea ipocritamente etica trova forti risonanze nelle politiche e nelle narrazioni mediatiche perseguite nei maggiori paesi del pianeta. Il provvidenziale gesto di Draghi viene messo in luce come un gesto di salvezza. Ciò rimanda, in modo tanto indiretto quanto immediato, allo stato attuale delle cose in Italia, dove nuovamente egli è stato celebrato come un salvatore.

La fondazione mitica è quindi al contempo costruzione di una non meno mitica preistoria. Per cui, gli aspetti contenutistico-formali della serie, se considerati dall’esterno, promuovono, sia pure nascostamente, gli interessi nazionali con la suddetta narrazione (secondo la quale l’Italia -insieme ai paesi PIIGS- è stata già salvata dal collasso per mano di colui che, se all’epoca non ancora, adesso ne regge il governo); ma, se considerati dall’interno, si allineano agli standard internazionali della realizzazione seriale.        All’obiettiva dispersione dei rapporti di produzione corrisponde la fantasmatica proiezione di un’Italia rediviva, ora capace di trovare la sola, retta, via sotto l’egida di Mario Draghi. 

Conclusioni.

Rispetto a tutto ciò, troverebbe singolare conferma quanto osservato da Poli sull’ideologia della religione culturale, la quale mira a fare della cultura “uno strumento per realizzare il mito della comunione nazionale, al di là delle divisioni di classe e dei conflitti sociali. […] Questa ideologia esprime una delle funzioni fondamentali che vengono attribuite alla cultura e cioè quella di determinare il consenso sociale mediante l’adeguamento di tutta la società agli schemi culturali borghesi”[4].

Dacché l’ideologia così diffusa mostra un notevole potere di suggestione, sarebbe quasi scontato rammentare che, rispetto all’attuale situazione economica e sociopolitica, i nuovi movimenti di estrema destra, al pari dei fascismi del passato, hanno gioco facile nella critica della democrazia. Nondimeno è utile ribadirlo, poiché se ciò rappresenta un pericolo sempre più minaccioso, le retoriche contrappostegli delle sedicenti tali sinistre o, in generale, delle forze democratiche, s’ingannano a loro volta sullo stato in cui tergiversa la democrazia. È proprio necessario tornare ad Adorno per ricordarsi che “il fascismo è anche effettivamente meno “ideologico” degli altri regimi politici nella misura in cui professa apertamente il principio del dominio che altrove preferisce nascondersi? -e che esso possa agevolmente- confutare tutti gli esempi di umanità e tolleranza che le democrazie sono in grado di opporgli facendo notare che quella non è l’umanità vera e completa, ma solo la sua immagine menzognera e fallace”[5]?

Se il blocco dominante in Italia, che riflette quello dominante nel mondo, ha recuperato con Draghi una tenuta, quest’ultimo -già a capo del parlamento- nondimeno getta le basi per un futuro come capo dello stato, in ciò paradossalmente coadiuvato dalla creazione di radici mitiche.

Draghi non è la faccia della crisi economica, né il volto cattivo della finanza, bensì colui che, se in passato ha sì contribuito a creare delle crisi, ugualmente oggi viene perlopiù percepito come l’unico in grado di gestirle, poiché può contribuire alla sua superazione restando all’interno del modo capitalista. Ma questo resta un modo interamente solcato da contraddizioni strutturali che non possono essere risolte al suo interno se non attraverso un improbabile sfinimento dei processi, che sia tale da segnarne la fine. Tutto ciò si riflette nella politica, ma quello che questa stenta a cogliere è che, se la verità della sua crisi è quella della crisi economica, la quale vieppiù tende a scacciare ciò che c’è di politico dalla politica, a sua volta, la verità della crisi economica risiede in quella della politica, proprio in quanto il capitale, ancorché sia molte cose, resta essenzialmente un rapporto sociale.  Soltanto lungo il movimento di comprensione della natura politica dell’economico sarebbe forse possibile un rovesciamento di tendenza, ossia un mutamento di tipo qualitativo. Se l’ambito economico sta a quello politico come il sogno alla veglia, la comprensione della politicità del primo sta al risveglio come la critica di un mondo che sogna. Lo scopo della critica è sempre lo stesso: estinguere l’apparenza.

In conclusione, se contro la falsa eticità propugnata dai grandi blocchi di potere dominante la distruttività del culto del male resta forse tra i rimedi più efficaci, esso deve pertanto mirare all’annientamento di tutti quei valori ed usi dell’estetica che ancora vengono abilmente maneggiati dai poteri per la propria autolegittimazione.

Così stanno le cose quanto alle modalità con cui la vigenza si racconta. Qual è la risposta delle forze costruttive dell’umanità?

 

Bibliografia.

 Theodor Wiesengrund Adorno, Minima Moralia, Einaudi, Torino, 2015.

Theodor Wiesengrund Adorno, Note per la letteratura 1961-1968, Einaudi, Torino, 1979.

Theodor Wiesengrund Adorno, Noten zur Literatur, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1996.

Walter Benjamin, Angelus Novus, Einaudi, Torino 2014.

Walter Benjamin, Das Kunstwerk im Zeitalter seiner technischen Reproduzierbarkeit, Suhrkamp, Frankfurt am Main 2013.

Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Donzelli 2012.

Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Phänomenologie des Geistes, Meiner, Hamburg 1988.

Francesco Poli, Produzione artistica e mercato, Einaudi, Torino 1975.

Karl Marx, F. Engels, Scritti sull’arte, a cura di C. Salinari, Laterza, Bari 1967.

***

Sitografia

 

Paolo Armelli, Diavoli, una serie sulla finanza che racconta bene ciò che sapevamo già, https://www.wired.it/play/televisione/2020/04/17/diavoli-alessandro-borghi-sky-recensione/.

Francesco Del Grosso, Diavoli: recensione del finale di stagione, https://www.cinematographe.it/recensioni-serie/diavoli-recensione-finale-stagione-sky-atlantic/.

Leonardo Di Nino, Diavoli | Recensione della serie Sky, https://www.lascimmiapensa.com/2020/04/27/diavoli-recensione-sky-alessandro-borghi/.

Luca Marchetti, Diavoli: gli orrori dell’alta finanza su Sky Atlantic, https://www.sentieriselvaggi.it/diavoli-gli-orrori-dellalta-finanza-su-sky-atlantic/.

 

[1] Il virgolettato nella citazione riporta parte di uno dei monologhi del protagonista, Del Grosso, op. cit.

[2] Paolo Armelli, op. cit.

[3] Leonardo Di Nino, Diavoli | Recensione della serie Sky, https://www.lascimmiapensa.com/2020/04/27/diavoli-recensione-sky-alessandro-borghi/.

[4] Francesco Poli, op. cit., p. 35.

[5] Theodor Wiesengrund Adorno, Minima Moralia, Reflexionen aus dem beschädigten Leben, Suhrkamp,Frankfurt am Main 2020 (trad. it. a cura di Renato Solmi, id., Minima Moralia, Einaudi, Torino 2015, p. 122)